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CORTE SUPREMA

Kavanaugh, tutti in campo per fermare un conservatore

Voto rimandato all'intero Senato per la conferma del giudice Brett Kavanaugh, nominato da Trump alla Corte Suprema. Viene accusato di tentato stupro, un episodio del lontano 1982, da Christine Blasey Ford. Democratici alla carica, Repubblicani divisi.

VA IN ONDA IL FEMMINISMO ANTI-MASCHIO di Alessandra Nucci

Esteri 29_09_2018
La protesta di fronte alla Corte Suprema

Settimana prossima la vicenda del giudice Brett M. Kavanaugh, nominato alla Corte Suprema dalla Casa Bianca e in attesa di ratifica, avrebbe potuto giungere finalmente a conclusione e invece ci sarà ancora da aspettare. Ieri la Commissione senatoriale bipartisan e a maggioranza Repubblicana (rispecchiando le proporzioni del Senato) incaricata di valutarne la candidatura ha votato per rimettere la parola all’intero Senato, ma solo dopo almeno una settimana di altre indagine dell’FBI. Il voto decisivo in tal senso è stato quello del Repubblicano Jeff Flakes.

Alle spalle c’è stata la giornata drammatica di giovedì 27 settembre, con l’attesissima audizione di Christine Blasey Ford, che accusa Kavanaugh di tentato stupro ai tempi del liceo, seguita da quella di discolpa di Kavanaugh stesso. Due tempi diversi, nessun incrocio. Hanno esordito entrambi leggendo una memoria. Poi si sono sottoposti alle domande dei senatori della Commissione. In realtà solo a quelle dei Democratici. I Repubblicani hanno infatti lasciato il posto al procuratore Rachel Mitchell, donna, Repubblicana dell’Arizona, esperta di casi di aggressione sessuale e di stupro. Una mossa insolita. Ma gli è che gli 11 Repubblicani della Commissione sono tutti uomini e che in questi tempi la malizia regna sovrana.

La Blasey Ford ha iniziato con voce rotta e così ha proseguito per ore, quasi a tratti rantolando. Non ha però versato una lacrima, né usato un kleenex. Ha chiesto presto del caffè e dopo la prima pausa si è presentata con una Coca-Cola. Ha ripetuto per filo e per segno quanto oramai da giorni sanno anche i sassi grazie ai giornali. Nulla di nuovo. I Repubblicani della Commissione, a partire dal presidente, Chuck Grassley, hanno fatto di tutto per metterla a proprio agio, gentili, educati, comprensivi, le hanno lasciano il tempo che ha voluto, ne hanno lodato il coraggio. Il procuratore Mitchell le ha chiesto conferma di tutto quanto detto sinora sulla vicenda o, se credesse, di correggere. Qualche dettaglio non ha collimato, ma ci sta. Prova di veridicità, dicono i Democratici, perché chi ricorda troppo perfettamente cose lontane decenni è sospetto. La Blasey Ford non ricorda come sia tornata a casa dopo l’incidente. Ha parlato molto di ippocampo, del resto è una tecnica del ramo. Ha detto che lì si fissano i ricordi brutti: ci si può dimenticare il contesto, ma non certi particolari. Ancora la tormenta l’eco delle risate dei molestatori, compiaciuti e divertiti: senza dubbio Kavanaugh e il suo amico Mark Judge. Quando il Democratico Dick Durbin le ha chiesto secco e diretto con quale percentuale di certezza identifichi in Kavanaugh il proprio aggressore, la Blasey Ford ha scandito «100%».

Le domande dei Democratici durante l’audizione sono state così, retoriche. Forse che una nota professionista di mezza età con famiglia che scateni questo putiferio possa arrivare al giorno X e, con voce rotta, dire di essere certa di avere accusato il finora specchiatissimo giudice candidato alla Corte Suprema dalla Casa Bianca un po’ sì e un po’ no? Non ci sono state domande vere, insomma, solo assist per andare in goal con affermazioni assertive. I senatori hanno avuto cinque minuti ciascuno per chiedere. Così ogni cinque minuti, più i muniti della riposta (mai più di 10 in tutto), i Democratici hanno disposto di tempi rotondi per sciorinare dichiarazioni senza contraddittorio. Poi il procuratore Repubblicano ha avuto i propri turni per imbastire un processo vero che però continuava a interrompersi mentre il disegno generale si appannava.

I Democratici si sono congratulati con la Blasey Ford, l’hanno definita un’eroina, una patriota. Al termine è rimasto solo il fatto che la sua denuncia contro Kavanaugh è diventata pubblica non si sa come più il fatto di essersi sottoposta alla macchina della verità a spese di non si sa chi. Chi invece le lacrime le ha versate è Kavanaugh. In audizione ha sbottato, denunciando un complotto. I Democratici hanno calato l’asso lì, dicendo che l’FBI non ha finora indagato come avrebbe dovuto. Lo hanno rinfacciato persino a Kavanaugh stesso, il quale ha tentennato. Se avesse approvato, si sarebbe tirato la zappa sui piedi: se avesse contestato, sarebbe stato finito. Ma ha avuto ragione. A prima vista, infatti, l’indagine dell’FBI parrebbe cosa logica, ma non lo è. Primo perché nessuno può nascondersi che quello in corso è un processo politico. Secondo perché l’FBI è già nell’occhio del ciclone, da tempo, per i suoi strani rapporti con la Casa Bianca: dalle email scomparse di Hillary Clinton alle coperture dell’allora ministro della Giustizia, Loretta Lynch, mentre Barack Obama guardava altrove, dal licenziamento del direttore James B. Comey al “Russiagate” mai dimostrano. Insomma, serve davvero fare seppuku per omaggiare un’idea astratta e catara di rispetto (a senso unico) delle regole?

Anche perché l’FBI che cosa potrebbe poi scoprire? Sempre nulla. Grazie al senatore Flakes, però, adesso l’FBI indagherà. Per trovare lo stesso nulla che hanno aggiunto alla faccenda le due testimonianze di giovedì. C’è la parola di lei contro la parola di lui, e nessuno ha elementi per dire ragionevolmente che né lei né lui siano persone d’onore. Eppure qualcuno dei due mente, almeno in parte. Chi? Impossibile dirlo. Non ci sono testimoni, non ci sono prove, non c’è nulla. Potremmo essere smentiti domattina solo da una confessione di Kavanaugh qualora fosse colpevole, e allora riformuleremmo il giudizio. Ma se questa non avverrà, non si potrà mai provare l’accusa né si potrà mai provare la difesa. Restano dunque le domande sul perché adesso e sul perché così brutalmente. Ma la risposta c’è, e viene nientepopodimeno che da Radio Popolare, la quale, per bocca di Roberto Festa, nella rassegna stampa internazionale del 27 settembre, in onda poco dopo il giornale radio delle 8,30, ha detto che se entrerà nella Corte Suprema Kavanaugh sposterà «stabilmente a destra per decenni l’equilibrio» di quell’assise. Malandrino, icastico, ma perfetto.