Ostruzionismo democratico contro il giudice pro-vita
Le audizioni per la conferma del giudice Brett M. Kavanaugh hanno scatenato il putiferio. Protestano i senatori democratici, perché ritengono di aver ottenuto i voluminosi documenti sul suo passato troppo a ridosso del dibattito. Protestano in aula le femministe, perché Kavanaugh è un cattolico pro-vita. Sarà ancora una battaglia dura.
Solo un ingenuo poteva immaginare che le audizioni per la conferma del giudice Brett M. Kavanaugh non avrebbero scatenato il putiferio. Ciò detto, a tutto c’è un limite. Ma non così se il giudice in questione è quello scelto dal presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump per la Corte Suprema federale, e questo sia perché il prescelto è Kavanaugh sia perché a sceglierlo è stato Trump. Nel mondo del pensiero unico e sinistro, infatti, tutto ciò che Trump tocca va distrutto a prescindere; e se poi quel che tocca è di valore come lo è il giudice Kavanaugh, ottimo cattolico, peggio ancora.
Tutto inizia il 21 luglio quando l’ondivago giudice Anthony M. Kennedy, uno dei nove che componevano il massimo tribunale statunitense, un uomo eternamente pencolante che quando finalmente decideva la direzione in cui muoversi nove volte su dice prendeva quella sbagliata, ahimè cattolico un po’ “adulto”, si è ritirato. Tecnicamente in questi casi si parla di “transizione alla seniorità”, ovvero i giudici federali di almeno 65 anni di età e 15 di servizio (anni di servizio che possono diminuire progressivamente in ragione di uno ogni anno di età in più che essi abbiano) hanno diritto a una forma di semi-pensionamento che ne conserva lo stipendio, se vogliono ne può diminuire il carico di lavoro e ufficialmente li trasforma in giudici associati, ancorché il loro posto venga dichiarato formalmente vacante e dunque abbisogni del rimpiazzo (i giudici della Corte Suprema sono eletti a vita e possono solo o dimettersi o essere rimossi per impeachment).
Avendo Kennedy annunciato il ritiro il 27 giugno, il 9 luglio Trump, come gli spetta a norma di Costituzione, ne ha indicato in Kavanaugh il successore da sottoporre, come di regola, al Senate Committee on the Judiciary, per il via libera o la bocciatura. Il Comitato è bipartisan, composto da 21 membri. Riflettendo la maggioranza di stretta misura dell’intero Senato, attualmente è composto da 11 Repubblicani e da 10 Democratici. Per i giudici nominati che obbligatoriamente debbono passare da lì, sottoponendosi a audizioni pubbliche che ne passano al vaglio anche i più piccoli dettagli professionali e biografici, si è sempre parlato di “graticola”. Con Kavanaugh la metafora è diventata realtà.
Le audizioni si sono aperte martedì 4 settembre ed è subito stato delirio. L’antefatto è che i 21 senatori del Comitato hanno da vagliare oltre 4800 pagine di pareri giuridici pronunciati da Kavanaugh nel corso della propria carriera, più 457mila altri documenti prodotti dal giorno della sua nomina a oggi, più il questionario che di prassi compilano tutti i nominati con l’aggiunta, nel caso odierno, di 17mila pagine di allegati documentali, più una ulteriore montagna di documenti relativi al periodo in cui Kanavaugh ha servito con ruoli diversi nella Casa Bianca di George W. Bush jr. tra il 2001 e il 2006. Gli avvocati dell’ex presidente hanno infatti già consegnato al Comitato circa 415mila pagine (come richiesto dai Democratici), tenendone per sé altre 147mila. Su 101.921 di queste lo stesso Trump ha esercitato il diritto presidenziale al segreto. Ebbene, lunedì 3, una quindicina di ore prima dell’inizio della prima audizione di Kavanaugh, l’avvocato William Burck, che rappresenta Bush jr., ha riversato sul desco del Comitato una nuova marea di carte: 5148 documenti per un totale di 42.390 pagine riservate ai senatori competenti e non destinate alla diffusione pubblica. Per questo martedì mattina la senatrice Democratica Kamala Harris ha interrotto bruscamente il senatore Repubblicano Chuck Grassley, presidente del Comitato, chiedendo un rinvio, sostenuta dai colleghi di partito e da una folla incattivita assisa in piccionaia.
La Harris ha sostenuto l’impossibilità di valutare quel marasma di documenti con pochissimo preavviso, nottetempo. Sacrosanto. Ma il punto è che, da luglio a oggi, il cavallo di battaglia dell’opposizione ha puntato tutto sugli anni in cui Kavanaugh lavorò con Bush Jr., sottintendendo nemmeno troppo velatamente che proprio quella è la “Danimarca” dove c’è del “marcio.” Motivo per cui i legali di Bush hanno rovesciato addosso ai Democratici quel popò di malloppo. L’averlo fatto la sera prima dell’audizione è certamente un colpo a effetto, polemico, si si vuole persino basso, ma forse che la politica ai massimi livelli del Paese più importante del mondo sia carezze e giri di valzer?
Il dente dei Democratici è del resto avvelenato soprattutto perché di carte riguardanti Kavanaugh e l’Amministrazione Bush Jr. ce ne sono molte altre. E qui sta la “colpa”. Per forza di cose, in quella carte che Bush Jr. e Trump celano ci dev’essere la “lettera scarlatta” per Kavanaugh. Solo che più che giustizia e verità questo modo di ragionare assomiglia a X-Files: la verità è la fuori, “là”, “fuori”, “altrove”, poiché tutto ciò che si vede, sembra ma non è, è menzogna, complotto. Proprio X-Files: voglio credere, anzitutto perché lo voglio, voglio io credere a quel che voglio e dico e mi (ap)pare.
Certo, il sigillo posto su quegli ormai famosi documenti sembra inquietante. Ma ci sono mille ragioni, legittime, per cui un’amministrazione politica ritenga in coscienza di non dovere rendere tutto sempre pubblico. Pensare il contrario è populismo (toh, proprio ciò di cui si accusa Trump). Né il farlo è elitismo. Una differenza fra quanto è legittimamente di pubblico consumo e quanto è opportuno non venga sparso ai quattro venti esiste. Ha persino a che fare con l’evangelico «Non gettate le cose sante ai cani e le perle ai porci». A meno, appunto, di non essere degli stralunati da “Area 51”.
La cosa è tanto vera che in aula la Harris è stata supportata dal senatore Chuck Schumer, capo della minoranza Democratica al Senato, che ha chiesto un rinvio... di 24 ore. Per leggere oltre 42mila pagine? Così, mentre i senatori litigavano, dal pubblico ammesso all’udienza si è levata una signorina vestita in rosa (di Code Pink, l’organizzazione femminista) a gridare. Sembra parole in difesa dell’aborto. Che c’entra? C’entra perché Kavanaugh è graniticamente antiabortista ed è questo che alla Sinistra, altro che le migliaia di pagine pubbliche o no, importa. Dopo la donna in rosa, un’altra urlatrice. Alla fine del dì, martedì la polizia ha effettuato decine di arresti. Ed era solo il primo giorno.
Il giorno dopo, mercoledì 5, dei documenti mancanti non ha più parlato nessuno. Si è invece parlato appunto di aborto, e poi pure di porto d’armi e anche se per caso Kavanaugh avesse mai discusso con qualcuno (magari di molto vicino ai legali di Trump) delle indagini dell’FBI su quello che continua a essere chiamato “Russiagate”, ma che per ora della presunta collusione fedifraga e potenzialmente traditrice fra Trump e il Cremlino non ha mostrato nemmeno l’ombra. Più le solite proteste e le interruzioni del pubblico.
Il terzo giorno, giovedì 6, più o meno lo stesso. Il senatore Democratico Cory Booker ha cercato di spingere Kavanaugh a criticare apertamente Trump ma non c’è riuscito, e soprattutto a messo il dito nella piaga rendendo pubbliche decine di email del giudice nominato che, ai tempi di Bush jr., giudicava la legge americana sull’aborto cattiva e forse nemmeno una legge da rispettare. Insomma, un buon giudice: il movimento pro-life, e soprattutto i bambini nella pancia delle proprie mamme, ringraziano il senatore Booker per il suo gesto infingardamente utile.
Il nuovo anno della Corte Suprema si aprirà il 1° ottobre. I Repubblicani sperano di confermare Kavanaugh in tempo. Dovrebbero riuscirci perché godono della maggioranza, pur risicata, sia nel Comitato sia nel Senato. Incombono però le senatrici Repubblicane Susan Collins e Lisa Murkowski, le due mele marce che più volte si sono messe di mezzo a leggi buone. Poi il 6 novembre ci saranno le elezioni di “medio termine” e la parola tornerà ai cittadini. Ma una cosa è certa. L’era Trunmp ha cambiato la politica americana. Soprattutto perché i suoi nemici hanno alzato come mai il livello dello scontro, calpestando ogni regola (per tacere di ogni decoro) e gettando tutto strumentalmente in piazza per celebrarvi facili e demagogici processi mediatici sommari. In perfetto stile giacobino. Per questo è decisivo che uomini come Kavanaugh, pur nella mischia più totale, ce la facciano.