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CAV MANGIAGALLI

Katia, il sacrificio di chi dà la vita per un'altra vita

Tante donne sono arrivate al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli in questi trent’anni! Pensare a loro, ricordarle, mi riempie di emozioni, a volte molto forti. Di tante so del coraggio con cui riescono ad affrontare una situazione difficile e Katia è una di queste.  Le loro storie rimangono dentro di me in modo indelebile.

Editoriali 11_10_2014
La storia di Katya

Tante donne sono arrivate al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli in questi trent’anni! Pensare a loro, ricordarle, mi riempie di emozioni, a volte molto forti. Di tante so del coraggio con cui riescono ad affrontare una situazione difficile e Katia, come la mia mai dimenticata Erminia, è una di queste.  Le loro storie rimangono dentro di me in modo indelebile; sono le mie mamme del cuore!

Katia arriva in una giornata di inizio primavera. Fa ancora freddo e la vedo tutta rimpannucciata nella sua giacca, forse troppo leggera. Non è italiana ma è come se lo fosse visto la sua lunga permanenza nel nostro Paese. Ha un faccino triste: la sua gravidanza da poco iniziata, è stata rifiutata dal Christian, il padre del bambino. «Sei una perfetta incosciente! Nelle condizioni in cui versiamo, mettere al mondo un figlio è pura follia». Perdere un amore in cui si è creduto, è dolore, sofferenza pura che nessun ragionamento può alleviare. «Sono delusa, profondamente delusa. Mi sento triste, soffro per ciò che non è più, ma non sono arrabbiata». Katia è tentata di interrompere la gestazione. Forse, così, Christian potrebbe tornare a volerle bene. L’ascolto lungamente, con tutta l’empatia possibile. Non sa decidere. Le propongo un altro appuntamento. «È all’inizio di questa maternità. Noi possiamo darle un supporto in tutti i sensi. Ci pensi». 

Ed eccola tornare. Ora non è più solo addolorata; c’è una grande preoccupazione per la sua salute. «Non sto bene. Certamente molti dei miei disturbi sono legati alla gravidanza che ho deciso di portare avanti. Credo, però, che ci sia anche dell’altro. Il medico mi ha chiesto di fare degli accertamenti. Ha sentito un grosso nodulo nel mio seno». Com’è strana la vita. Potremmo fare festa per questa maternità che continua e, invece … Katia è una persona piena di risorse: fissa i vari accertamenti sottoponendosi a esami anche approfonditi. All’appuntamento successivo mi porge un certificato: «Quel nodulo», mi dice con una voce incerta, «è risultato un tumore maligno. “Dobbiamo operarla”, mi hanno detto i medici. L’anestesia generale non è compatibile con la gravidanza. Deve abortire».

Lo sconcerto e lo smarrimento mi invadono. Che senso ha tutto ciò? Gli occhi negli occhi dell’altra e una cappa impietosa che si mangia le nostre energie. Solo il silenzio trova un significato. «Katia, ho capito male o davvero lei ha parlato di prosecuzione della gravidanza?». «No, no», risponde d’un fiato, «ha capito perfettamente. In tutto il mio mondo, che sta andando in pezzi, ho sentito una grande forza. Mi viene dal mio bambino!».É iniziata così una strana e lunga storia: Katia passava il suo tempo tra una visita e l’altra, un controllo e quello immediatamente successivo. Hanno anche tentato una terapia chemioterapica leggera. Uno dopo l’altro, i mesi passano. «Ho trovato due sostituzioni», mi comunica un giorno quasi allegramente, «mi pagheranno bene. D’estate le persone hanno le ferie e così devo fare per un mese la portiera in uno stabile e per l’altro, la badante per una vecchia signora».

Dentro di me sento esplodere tanti fuochi d’artificio. Da dove le viene questa energia? Credo davvero che la vita che cresce dentro di lei la sospinga in avanti, sempre più avanti. Deve far nascere suo figlio. I medici stanno aspettando che il piccolo bimbo possa respirare autonomamente. Aiutano i suoi minuscoli polmoni a maturare. Katia deve essere operata e bisogna accelerare il momento del parto. Luca nasce in settembre e subito a Katia viene asportato il tumore. I tessuti sono già compromessi e, così, si esegue anche uno scavo ascellare. Le cose sembrano riassestarsi.  Le terapie funzionano, Luca cresce bene e, abbastanza presto, raggiunge il peso di un bambino nato a termine. È una giovane donna simpatica e buona, Katia. In ospedale in tanti le vogliono bene. Un’ostetrica, in particolare, la segue proprio da vicino.

Inesorabilmente il tempo passa. A volte ricevo una telefonata; mi tiene al corrente. Per un certo periodo gli aggiornamenti sapevano di cosa buona. Che felicità! Poi: «É spuntato un altro strano affare; questa volta sul braccio. Hanno già fatto il programma per tenermi sotto controllo. Sono preoccupata». «Katia, vediamoci! Ne ho un gran desiderio».  Abbiamo ripreso a incontrarci. Luca cresceva bene, camminava, anzi, correva sulle punte. Ma il suo braccio … Incredibilmente, ma forse comprensibilmente per una madre, la preoccupazione di Katia era soprattutto per suo figlio. In questo periodo, la cortina di solitudine si era un po’ diradata: una vicina di casa si prestava a fare da madre per lei e da nonna per Luca. Con il figlio di questa signora era nato un sentimento importante. Anche l’amicizia con Sara, l’ostetrica affettuosa, si rinsaldava sempre più; a tratti Katia sembrava quasi felice.

Poi tutto è precipitato. I farmaci non ottenevano l’effetto sperato e le nubi di negatività si intensificavano. Non c’erano speranze! Katia aveva, di tutto ciò, grande consapevolezza. «Voglio tornare nel mio Paese. Affiderò Luca alle cure di mia sorella; sarà lei la sua mamma. E, io, morirò là». Due domeniche fa, nella sua parrocchia di Sesto, hanno celebrato una Messa per lei e per noi che da Katia possiamo imparare a dare valore alla vita. C’è stata Raffaella per tutti noi. «É stata una festa! E il sacerdote ha parlato di santità». Ti abbiamo voluto bene, Katia. Il ricordo di te, non ci lascerà.