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VERSO IL SINODO

Kasper, la pastorale è un pretesto

Due interviste del cardinale tedesco confermano che con il cambiamento della prassi pastorale si vuole in realtà cambiare la dottrina. C'è una artificiosa contrapposizione tra verità e misericordia, come se anche la misericordia non fosse dottrina. La via da seguire è proporre integralmente la verità, non cambiare la dottrina.

Ecclesia 20_09_2014
Il cardinale Kasper

Le interviste rilasciate nei giorni scorsi dal cardinale Kasper a Vatican Insider (La Stampa) e al Mattino confermano che il tema centrale del prossimo Sinodo sulla Famiglia è il rapporto tra dottrina e pastorale nella Chiesa. Il carattere babelico di questa inedita discussione pre-sinodale deriva da qui: si hanno idee diverse di cosa sia l’una e cosa l’altra e del loro rapporto. Si hanno quindi anche visioni diverse di cosa significhi “tradizione”.

Il cardinale Kasper dice che il Sinodo dovrà essere pastorale, però insiste anche nel dire che “la dottrina cattolica non è un sistema chiuso” e come tale deve aprirsi alla complessità delle situazioni. Ma allora vuole dei cambiamenti nella dottrina. Del resto, la misericordia, elemento su cui egli ha insistito molto sin dalla relazione ai Cardinali all’ultimo Concistoro e che dovrebbe aprire la strada a nuove prassi pastorali per i divorziati risposati, non fa parte anch’essa della dottrina? La coppia verità-misericordia viene spesso tradotta come se la verità appartenesse alla dottrina e la misericordia alla pastorale, ma anche la misericordia fa parte della dottrina, dato che Gesù Cristo stesso è la Misericordia. Quindi si vogliono cambiamenti dottrinali, pur ribadendo che “la dottrina è chiara, non si cambia” e che il Sinodo dovrà essere e sarà pastorale. Perché non si dice direttamente che si vogliono cambiamenti dottrinali? In questo caso le posizioni sarebbero più chiare. 

L’indissolubilità del matrimonio sacramentale è una verità che appartiene alla dottrina. Essa, come tutte le verità che appartengono alla dottrina, è formulata con un costrutto concettuale che ci concretizza in una definizione. Non è possibile altrimenti, perché l’uomo di fede ha bisogno di capire con la sua intelligenza il senso di ciò che crede e la Chiesa ha bisogno di fissare in formule i contenuti della fede per garantire l’unità su di essi. Ciò non vuol dire che tali formule esprimano delle verità astratte e non vitali.

La verità dottrinale dell’indissolubilità del matrimonio cristiano ha alimentato vitalmente non solo tante famiglie che su di esso si sono fondate, ma anche le civiltà. Le verità dottrinali della Chiesa, e gli stessi dogmi, non sono mai una dottrina astratta e morta, hanno invece fatto la storia dell’umanità. Proprio la verità cristiana sul matrimonio ha impedito che l’umanità venisse travolta da eresie, come quella catara, che l’avrebbero distrutta. 

Sottolineo questo aspetto perché dalle recenti interviste del cardinale Kasper ho colto questo punto: la dottrina evita di essere astratta e diventa vitale accettando di modificarsi, magari per esigenze pastorali o disciplinari. Ma non è così: la dottrina esprime tutta la sua vitalità rimanendo se stessa, in caso contrario si inaridirebbe e perderebbe di vitalità adattandosi ai tempi e alle situazioni. La pastorale non dovrebbe chiedere alla dottrina di modificarsi, ma dovrebbe mettersi al suo servizio per far passare meglio questa vitalità che in essa è originariamente contenuta. Se “tra la dottrina della Chiesa sul matrimonio e le condizioni vissute da molti cristiani si è creato un abisso” la via da seguire non è cambiare la dottrina, ma proporla più integralmente e vitalmente, anche mediante una pastorale più profonda.

Le verità dottrinali sono formulate in definizioni, ma il loro senso consiste nell’esprimere l’essere della vita divina e del progetto di Dio sull’uomo, compreso il progetto sulla coppia di sposi e sulla famiglia. La dottrina ha un significato ontologico, per usare un parolone filosofico: esprime la realtà delle cose divine. Da qui derivano la sua immutabilità e la sua vitalità. Ma oggi, i teologi, concepiscono ancora la dottrina, compreso il suo fondamento ossia la dogmatica, in questo modo? I seguaci di Karl Rahner non la intendono più così. Il cardinale Kasper la intende ancora così?

Questo discorso si ripercuote sul concetto di tradizione. Una cosa è dire che essa è, con la Scrittura, una delle due fonti della rivelazione e, come tale, è terminata con la morte dell’ultimo apostolo, altra cosa è dire che essa continua anche oggi. In quest’ultimo caso la dottrina è modificabile. Ma non si evochino motivazioni pastorali, le motivazioni sono dottrinali, ossia sono dovute ad una diversa visione della tradizione. Il prossimo Sinodo non sarà pastorale, sarà dottrinale al massimo grado, pur dicendosi pastorale. 

Nell’intervista al Mattino, il cardinale Kasper dice anche un’altra cosa che lascia perplessi. Sostiene che la famiglia non è il fondamento “naturale” della società – come si è sempre detto -, ma che è “cellula centrale della società e della Chiesa”. Si tratta di un cambiamento sostanziale, perché eliminando l’aggettivo “naturale” ci si allontana da un ordine voluto dal Creatore. Dire che la famiglia è “centrale” vuol dire evidenziarne l’importanza. Sta bene, ma non è sufficiente. Dire che è “naturale” significa sottolinearne l’importanza ed in più il suo essere fondamento secondo il progetto di Dio espresso con la creazione. O forse, per esigenze pastorali, si vuole anche mettere da parte la creazione? 

- La posta in gioco è un'altra, di Stefano Fontana