Kamala Harris si candida contro Trump. I media, di colpo, la rivalutano
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Kamala Harris si assicura la nomination Democratica dopo il ritiro di Biden. Dopo averla descritta, per anni, come tallone d'Achille di Biden, ora i media iniziano a descriverla come una candidata vincente.
Kamala Harris è la nuova candidata del Partito Democratico. Ormai non è più una facile previsione, ma una certezza. Si è infatti assicurata il sostegno di più della metà dei delegati Democratici, quindi l’attesa della nomination è solo una questione formale e verrà completata con la prossima Convention Nazionale Democratica, il mese prossimo a Chicago. Facile anche il passaggio di consegne sui finanziamenti. Oltre alle donazioni record che la nuova candidata ha raccolto, dal momento in cui Biden ha annunciato il suo ritiro dalla corsa (81 milioni solo nelle prime 24 ore), ha anche “ereditato” tutto ciò che aveva raccolto il presidente Biden nella sua campagna elettorale.
La Harris ha potuto così aprire la sua campagna elettorale presidenziale. La principale linea di attacco contro Trump? L’età. Per ironia della sorte i ruoli si sono invertiti, ora l’anziano che non è più in grado di governare non è più Biden (81 anni), ma Trump (78). Il quale risponde, esattamente, come Biden rispondeva a lui: non è una questione di età, ma di competenza. La Harris, facendo valere anche la sua carica precedente (procuratore generale in California) sta anche sfoderando un piglio giustizialista: «Ho già avuto a che fare con gente come lui: predatori sessuali e truffatori», ha dichiarato, riferendosi alla condanna già incassata da Trump. E così abbiamo anche una nuova dimensione di questa campagna presidenziale. Usando i termini italiani, c’è una Pm contro un ex presidente condannato in primo grado.
La stampa si sta immediatamente riposizionando, dopo che sono cambiati i due contendenti. Kamala Harris viene descritta, quasi dall’unanimità dei media come un candidato forte, capace di battere Trump, molto più facilmente rispetto a Biden. C’è già un sondaggio, nazionale, di Ipsos/Reuters che dà Kamala in vantaggio di 2 punti su the Donald.
Eppure… Eppure solo fino a pochi mesi fa, Kamala era descritta come un candidato debole. Vediamo una breve rassegna della stampa in tempi non sospetti, nel 2022 e 2023, prima dell’inizio di questa campagna elettorale. Nel 2022, la rivista Slate (di sinistra) si chiedeva se fosse stato possibile cambiare la scelta del vicepresidente in caso di nuova candidatura di Biden. Il suggerimento della redazione era: sì, meglio cambiare vicepresidente, non ripresentarsi con la Harris al proprio fianco. Perché «Candidati che, sulla carta sembrano promettenti, possono facilmente fallire una volta sotto pressione». E di fallimenti se ne citavano già tanti allora, sia nelle apparizioni pubbliche, sia nella cattiva gestione del suo personale.
Nel 2023, Usa Today si chiedeva dove fosse sparita Kamala Harris. Perché, dopo le prime apparizioni, le prime gaffe e le pesanti polemiche che ne erano seguite, la Harris era stata messa da parte. «Molti di noi potrebbero essere perdonati se avessero dimenticato la presenza della Harris. Le sue apparizioni in pubblico non sono frequenti, né ampiamente pubblicizzate. Questa settimana, in occasione di un evento, persino Biden ha sbagliato la pronuncia del suo nome di battesimo - cosa a cui lei ha fatto capire di tenere molto». Il motivo erano le numerose gaffe, le risate inopportune nei momenti peggiori (anche quando parlava, dalla Polonia, dei profughi ucraini, o prima ancora della disastrosa ritirata dall’Afghanistan), ma anche il clamoroso fallimento della politica dell’immigrazione, che era stata affidata a lei. Dopo mesi e mesi dalla sua nomina, nessuno l’aveva ancora vista al confine meridionale.
La rivista libertaria Reason, nel gennaio 2023, aveva dedicato un lungo articolo di analisi al fallimento di Kamala Harris come vicepresidente e come donna simbolo delle minoranze etniche, dal titolo autoesplicativo: Perché Kamala Harris è un flop. E i motivi sono tanti: la sua mancanza di una questione politica che la caratterizzi realmente, la sua propensione a cambiare idea su ogni cosa, la pessima gestione della sua squadra caratterizzata da tensione continua e abuso di potere. A due anni di distanza e a quattro anni dalla sua nomina a vicepresidente, su 51 membri del suo personale iniziale, ne restano solo 5.
Sul perché fosse così impopolare, si interrogava anche Chris Chillizza, osservatore politico americano di primo piano. Il quale, pur giungendo a conclusioni benevole, attribuiva almeno un terzo dei motivi dell’impopolarità che affliggeva la Harris ai suoi errori e al suo modo di porsi.
E d’altra parte, nel 2023, prima ancora che si sapesse con certezza che Biden si sarebbe ricandidato, sia Elizabeth Warren (ex candidata presidenziale) che altri esponenti del partito lasciavano intendere, o dichiaravano apertamente la loro preoccupazione per un eventuale nuovo abbinamento della Harris.
Perché in effetti, come rilevavano i sondaggi pre-campagna, Kamala era impopolare. Appena il 32% degli elettori ne aveva un concetto positivo, contro il 49% negativo. Ed era un record imbattuto di impopolarità per un vicepresidente negli ultimi quarant’anni.
Di colpo, appena incassata la nomination del Partito Democratico, è diventata la beniamina degli americani? Questo è ciò che sentirete nei prossimi tre mesi, da qui alle elezioni.