Kabul, una strage firmata dallo Stato Islamico
Kabul. Ieri una duplice esplosione in una festa di matrimonio ha provocato 63 morti e almeno 180 feriti, secondo un bilancio provvisorio. Lo Stato Islamico ha rivendicato l’attentato, i Talebani lo hanno condannato. E’ un’ulteriore dimostrazione dell’instabilità in cui versa il Paese alla vigilia del ritiro delle forze statunitensi,
Kabul. Proprio alla vigilia del centenario dell’indipendenza dell’Afghanistan, ieri una duplice esplosione in una festa di matrimonio ha provocato 63 morti e almeno 180 feriti, secondo un bilancio provvisorio. Lo Stato Islamico ha rivendicato l’attentato, i Talebani lo hanno condannato. E’ un’ulteriore dimostrazione dell’instabilità in cui versa il Paese alla vigilia del ritiro delle forze statunitensi, ormai ampiamente annunciato e della sempre più probabile tregua con i Talebani.
Il matrimonio è stato scelto come obiettivo perché facile da colpire e per massimizzare il numero delle vittime. I matrimoni radunano, infatti, centinaia di persone in spazi chiusi. Gli ambienti maschili e femminili sono separati. La prima bomba dell’attentatore è esplosa nel locale in cui festeggiavano i maschi. Una seconda, più potente, un’autobomba, è stata fatta detonare quando sono arrivati i soccorsi. I due neo-sposi sono sopravvissuti (stando alle notizie disponibili finora), ma hanno perso numerosi parenti. La strage è avvenuta in un quartiere popolato da sciiti. Quindi è chiara la matrice radicale sunnita dell’attentato, coerente con la rivendicazione dello Stato Islamico.
Lo Stato Islamico, in Afghanistan, è in diretta competizione sia con i Talebani che con Al Qaeda, per mostrarsi come il vero movimento jihadista. I Talebani, che hanno condannato il massacro, avevano però messo a segno un altro grave attentato, il 7 agosto, contro una stazione di polizia della capitale, con un’autobomba che ha provocato 14 morti e più di 100 feriti. Ne hanno anche subito uno, tre giorni fa, quando il fratello del leader talebano Haibatullah Akhunzada è stato assassinato mentre era in preghiera in una moschea. Il tutto avviene mentre a Doha, in Qatar, sono in corso i negoziati fra i Talebani e gli Usa, per una tregua che potrebbe porre fine alla lunghissima guerra. Considerando questo background, benché l’obiettivo dell’attentato di ieri non fosse politico o militare, il suo significato lo è. Proprio nel momento in cui i Talebani accettano di trattare, a Doha, mentre continuano a condurre attacchi contro forze governative in tutto l'Afghanistan, lo Stato Islamico fa vedere di essere più vivo che mai. Per fare reclute fra eventuali delusi e per seminare terrore fra i civili “eretici” (perché non sunniti).
I termini del prossimo accordo di Doha sono ancora segreti. Lo scambio, però, da quel che si sa già è: gli Usa ritirano le truppe e consentono ai Talebani di tornare a far parte del sistema politico afghano, se questi ultimi garantiscono di non fornire più ospitalità e appoggio a movimenti terroristi internazionali. Perché era questo, in particolare, il principale scopo della guerra iniziata nel 2001: dopo l’attacco alle Torri Gemelle, si doveva scacciare Al Qaeda dall’Afghanistan. Mentre Al Qaeda è in crisi, lo Stato Islamico continua a imporsi all’attenzione del pubblico musulmano e non come vero movimento jihadista. Anche dopo la distruzione del Califfato in Siria e Iraq. Questo attentato serve come prova della sua esistenza in Afghanistan. E’ il segnale che non si farà accantonare tanto facilmente.