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L'INTERVISTA

Juno, viaggio all'origine del sistema solare

Dopo cinque anni di viaggio, la sonda spaziale Juno della Nasa è entrata con successo nell’orbita di Giove, il pianeta più grande e più antico del nostro sistema solare. La fisica Paola Battaglia ci aiuta a comprendere quanto sia importante questa missione: è una sorta di viaggio nel tempo...

Creato 06_07_2016
Giove

Dopo cinque anni di viaggio, la sonda spaziale Juno della Nasa è entrata con successo nell’orbita di Giove, il pianeta più grande e più antico del nostro sistema solare. Di fronte a una notizia del genere prevalgono un misto di stupore e di assuefazione. Lo stupore, o sarebbe meglio dire la meraviglia, è per la portata delle scoperte che ora sono possibili. L'assuefazione a notizie di esplorazioni spaziali spettacolari, almeno dal primo allunaggio in poi, rischia invece di non farci comprendere l'importanza di certi passi avanti. Per comprendere pienamente il significato della missione di Juno e ciò che potrebbe permetterci di scoprire sul nostro sistema solare, la Nuova Bussola Quotidiana ne ha parlato con la fisica Paola Battaglia che per dieci anni ha lavorato presso la Thales Alenia Space di Milano seguendo lo sviluppo e la realizzazione dei radiometri di Planck e di strumenti a bordo di altre missioni spaziali (AGILE, LISA Pathfinder, Sentinel 3).

Il successo di Juno è per ora essenzialmente tecnologico, come spiega la dottoressa Battaglia: “La missione durerà fino al 2018 e da lì in avanti inizierà la raccolta e l’analisi dati per un paio d’anni. La sonda, per generare la potenza elettrica di cui necessita, usa pannelli solari invece che un generatore radioisotopi e questo è un dettaglio non da poco. Giove è infatti a 778 milioni e 500mila chilometri dal Sole e tipicamente le sonde che si spingono così lontano dalla nostra stella non usano pannelli solari, perché il Sole è troppo debole da quella distanza. Juno contiene strumenti che servono a studiare la composizione chimica dell’atmosfera di Giove e anche quella del suo nucleo. Stiamo parlando, dunque, di spettrometri, un radiometro (che permette di rilevare la temperatura e ‘guardare’ attraverso gli strati di nubi del pianeta) e un magnetometro. Perché si sa che il pianeta ha un suo campo magnetico: sono state avvistate dalle aurore attorno ai suoi due poli”. Detto questo, perché studiare Giove? “Perché ci sono molti aspetti ancora sconosciuti. Prima di tutto, studiare quel pianeta ci permetterebbe di capirne di più sull’origine del sistema solare e anche sulla nascita del nostro pianeta”.

Detto così, sembra incredibile che lo studio di un singolo pianeta, così lontano dal Sole, possa permetterci di risalire all’origine di tutto il sistema solare. Eppure, come ci spiega la dottoressa Battaglia, questo volo spaziale durato cinque anni è una sorta di viaggio nel tempo, risalendo fino a quella sorta di brodo primordiale gassoso da cui è nato anche il nostro pianeta. “L’ipotesi è che 4,5 miliardi di anni fa ci fosse una proto-nube composta di gas e polveri da cui è iniziato un processo di collasso gravitazionale che ha portato, prima, alla formazione del Sole (costituito principalmente da idrogeno ed elio) e poi alla formazione di tutti gli altri corpi del sistema solare, sia i pianeti gassosi (come Giove), sia di quelli rocciosi, degli asteroidi, delle comete, ecc… L’ipotesi è che Giove si sia formato per primo. Dopo la fase di formazione di Giove, il Sole ha attraversato una fase in cui ha espulso un vento solare e questo ha allontanato, ripulito, le componenti più leggere della nube che ha dato origine al sistema solare. Quindi, è importante studiare Giove soprattutto perché contiene quel gas primitivo che ha dato origine al nostro sistema solare, prima che il vento solare lo spazzasse via”.

Si potrà sapere qualcosa di più anche sull’origine della Terra? “Sì. Giove non è composto solo da idrogeno ed elio, ma contiene anche degli elementi un po’ più pesanti. Capire quanti di questi elementi più pesanti ci sono ci aiuterebbe a comprendere come questi si siano trasferiti sulla Terra e sugli altri pianeti rocciosi. Da questo punto di vista, la missione Juno ci aiuterà a conoscere meglio l’origine del nostro pianeta. Ma non solo. Si dovrà anche appurare quanta acqua vi sia su Giove. Sicuramente ce n’è, in proporzione ridotta rispetto all’atmosfera terrestre, ma occorre capire quanta ce ne sia. Si potrà scoprire il momento della formazione del pianeta, confermare se questo coincide con la nascita del Sole (nel caso la composizione chimica sia estremamente simile a quella della nostra stella), oppure datare meglio la sua epoca di formazione. Altra cosa: si dovrà capire se Giove si è formato sull’orbita in cui si trova adesso, oppure in una più lontana, per poi avvicinarsi al Sole in epoche successive. Anche questi risultati saranno importanti, proprio per conoscere meglio la storia dello sviluppo del nostro sistema solare. Per ora abbiamo solo ipotesi. La posizione di Giove, che è il pianeta più grande, influenza la posizione di tutti gli altri. Capire se è sempre stato lì, piuttosto che in una orbita differente, ci permetterà di capire se, anticamente, gli altri pianeti, compreso il nostro, sono sempre stati nelle orbite attuali o se, guidati da Giove, si sono anch’essi spostati rispetto al Sole”.

Capire l’origine del nostro sistema solare non ci fornirà una conferma o una smentita diretta sulle più generali teorie dell’universo, come quella del Big Bang. Ma: “ciò che la missione Juno potrebbe aiutarci a capire è: cosa abbia provocato il collasso della nube primitiva di gas e polveri da cui ha avuto origine il Sole e tutti i pianeti del sistema solare. Sappiamo che è un fenomeno che si verifica molto spesso nell’universo, perché ci sono altre stelle con i loro pianeti simili a Giove. Ma, almeno finora, non se ne conosce la causa”.