Juncker ha un piano per sgambettare Renzi
Se non ci fosse l’appannamento dell’immagine dei Cinque Stelle, dopo il caso Quarto, il Pd nei sondaggi sarebbe certamente in affanno. Tuttavia, Renzi mostra di avere una strategia chiara e ha aperto due fronti di battaglia. Il primo è nazionale, l’altro è lo scontro con l’Europa. Ma pure Juncker ha un piano…
Non si è aperto nel migliore dei modi il 2016 per Matteo Renzi. Gli sviluppi dell’inchiesta sulla Banca Etruria, i rumors sugli aiutini “massonici” al padre del ministro Boschi, le fratture nella sinistra in vista delle amministrative, le laceranti divisioni nella sua maggioranza sulle unioni civili e, non ultimo, lo scontro con la commissione europea non promettono nulla di buono per l’inquilino di Palazzo Chigi, che, tuttavia, mostra di avere una strategia chiara.
Se non ci fosse l’appannamento dell’immagine dei Cinque Stelle, conseguente alle vicendedel Comune di Quarto, il Pd nei sondaggi sarebbe certamente in affanno. Le intenzioni di voto lasciano il tempo che trovano in mancanza di appuntamenti elettorali ravvicinati, ma possono diventare un campanello d’allarme per un premier che da sempre mostra di preoccuparsi più dell’effetto-annuncio che dell’effettiva realizzazione delle sue politiche.
La sua chiara strategia è quella di una campagna elettorale permanente. Per respingere l’assedio cui tentano di costringerlo i suoi oppositori, il premier ha aperto due fronti di battaglia. Il primo è nazionale, con il tour dei cento teatri, che gli offre l’opportunità di parlare al cuore degli italiani, come ha fatto due giorni fa a Caserta e come farà nei prossimi giorni in altre città del sud. Comunicare ciò che di buono è stato sin qui fatto dal suo governo e annunciare le prossime realizzazioni rappresenta per Matteo una testimonianza di attenzione ai problemi del Paese e un modo per occupare la scena, anche nelle città non direttamente coinvolte nel voto amministrativo di primavera, continuando a tastare il polso dell’opinione pubblica.
Il secondo fronte è più delicato ed è quello europeo. Il presidente della Commissione Ue, Juncker ha risposto, nei giorni scorsi, colpo su colpo, alle accuse rivoltegli da Renzi, il quale ha rivendicato all’Italia il merito di aver imposto a Bruxelles il tema della flessibilità. Il numero uno della Commissione europea non ha gradito e ha ricordato a Roma l’attuale ostilità di altri Stati del Vecchio Continente nei confronti del governo italiano, con particolare riferimento alle sue posizioni sui migranti e sull’economia. L’Italia sarebbe nel mirino di alcuni Paesi alleati a causa della sua opposizione al piano migranti deciso dall’Europa (tre miliardi alla Turchia per gestire i flussi) e della sua crescente pressione affinché si possano sforare i tetti del deficit e si possano varare manovre economiche più espansive e che diano maggior respiro all’economia nazionale.
Si starebbe quindi creando un fronte anti-italiano in sede europea, con Juncker pronto a gettare benzina sul fuoco, affinché Renzi possa abbassare le sue pretese senza continuare a lanciare proclami bellicosi («Non ci faremo telecomandare da Bruxelles»). D’altro canto Renzi spera in questo modo di ottenere due vantaggi. Il primo, immediato, dovrebbe essere quello di riuscire ad allentare la rigidità dei vincoli economico-finanziari, al fine di avere più margini di manovra nelle scelte di politica nazionale. Il secondo, nel medio periodo, è di tipo elettoralistico. Se attualmente le posizioni euroscettiche, eurodisfattiste e anti-euro si concentrano soprattutto sulla sponda salviniana e nel perimetro pentastellato, il premier vorrebbe in prospettiva catturare i consensi di quella parte di italiani che, pur ritenendo irreversibile il percorso che ha condotto alla moneta unica e pur considerando l’Europa una costruzione da puntellare e non da indebolire, insistono affinché l’Italia non sia subalterna a francesi e tedeschi ma abbia la necessaria autonomia e autorevolezza quando a Bruxelles vengono prese decisioni che riguardano tutti gli Stati.
Per realizzare questo secondo obiettivo, Renzi ha come minimo un anno di tempo, visto che prima del febbraio 2017 non si tornerà a votare per le politiche. L’ex sindaco di Firenze vorrebbe arrivare a quell’appuntamento con un elenco di conquiste ottenute in sede europea, al fine di spuntare le armi degli eurocritici, senza essersi però alienato la simpatia e il credito da parte degli altri governi nazionali e dei potentati internazionali. Gli sarà richiesta una buona dose di diplomazia, ma anche di fermezza e perseveranza. Sempre che qualcuno, in Europa, non infili il dito nella piaga, ponendo il problema della mancanza di legittimazione popolare dell’attuale premier italiano.