Juan Guaidó si proclama presidente del Venezuela
Juan Guaidó è il presidente ad interim del Venezuela. Non è solo una dichiarazione unilaterale dell’opposizione democratica al presidente Nicolas Maduro. Ormai è un presidente riconosciuto dalla maggioranza degli Stati americani, a partire dagli Usa. I vescovi venezuelani si schierano al fianco dei democratici. Maduro comunque non molla
Juan Guaidó è il presidente ad interim del Venezuela. Questa non è solo una dichiarazione unilaterale dell’opposizione democratica al presidente Nicolas Maduro. Ormai è un presidente riconosciuto dalla maggioranza degli Stati americani. Maduro, dalla televisione nazionale, denuncia il golpe e non accenna minimamente a cedere il potere.
È questo l’esito, imprevisto e imprevedibile, delle marce degli oppositori organizzate ieri in tutto il Paese, in occasione dell’anniversario della rivoluzione democratica del 1958 contro il dittatore Marcos Perez Jimenez. Ci si aspettava solo una manifestazione come le molte che l’hanno preceduta, con il suo strascico di repressione e scontri fra democratici e bolivariani (sostenitori del presidente Maduro). Invece la giornata del 23 gennaio si conclude con un Paese letteralmente spaccato in due, con due differenti capi di Stato. Le manifestazioni sono incominciate due giorni dopo un piccolo ammutinamento della Guardia Nazionale. 27 membri del corpo militare hanno disertato e hanno chiesto pubblicamente, con un video diffuso sui social network, il rovesciamento del successore di Chavez. Gli uomini si erano anche impossessati di armi nella caserma della Guardia Nazionale di Cotiza, a Caracas. Il ministro della Difesa aveva annunciato la loro neutralizzazione e il loro arresto due giorni fa. Le sommosse sono aumentate nel corso della notte fra il 22 e il 23, alla vigilia delle manifestazioni ufficiali. Il bilancio delle vittime riportato dai media internazionali va dai 4 ai 6 morti confermati. Secondo fonti venezuelane, sono stati molti di più: 2 morti a Tachira, 4 morti a Bolivar, 4 morti a Caracas, 1 morto a Portoguesa
Le manifestazioni pacifiche dell’opposizione sono iniziate, come previsto, ieri, 23 gennaio. Nonostante la paura, perché almeno 120 persone sono state uccise nel corso delle proteste nell’anno precedente, folle immense (come si possono vedere in queste immagini) si sono riversate per le vie di Caracas e di altre città venezuelane, cantando “Sì, se puede” (“Sì, si può fare”). Al culmine della manifestazione di Caracas, Juan Guaidó, presidente dell’Assemblea Nazionale (il parlamento venezuelano), dominata da una maggioranza di democratici (oppositori del presidente Maduro), si è proclamato presidente, nell’entusiasmo della folla. Ha annunciato che le proteste continueranno “finché il Venezuela non verrà liberato”. Ha dichiarato di avere il diritto costituzionale di “assumere i poteri presidenziali e agire da presidente”, fino a prossime libere elezioni. Poi ha invitato le forze armate a disobbedire agli ordini di Maduro.
Da un punto di vista costituzionale, Maduro ha esautorato il Parlamento eletto, convocando una nuova Assemblea Costituente per cambiare la legge suprema. E la sua mossa, convalidata da una Corte Suprema ampiamente manipolata, andava ben oltre il diritto costituzionale. Le elezioni della nuova Assemblea sono state boicottate dall’opposizione e non sono state riconosciute legittime, se non da Maduro, dal suo partito e da pochissimi governi stranieri. Da un punto di vista legale, dopo che il presidente ha esautorato il potere legislativo, il parlamento, rappresentato da Guaidó, sta rispondendo con la cacciata del presidente. Ora si attende di vedere da che parte si schiereranno le forze armate e le forze di sicurezza: con il presidente o con il Parlamento? Il braccio di ferro fra istituzioni arriva dopo una lunga agonia economica, fatta di iperinflazione, povertà dilagante, mancanza di beni di prima necessità e di medicinali. Milioni di venezuelani hanno già abbandonato il Paese, per sopravvivere. In questo contesto, quanto saranno ancora fedeli al presidente i militari delle forze armate (esclusi quelli più ideologizzati che ancora credono nella rivoluzione bolivariana, nel Socialismo del XXI Secolo)?
All’estero, il nuovo presidente ad interim ha immediatamente incassato il riconoscimento degli Stati Uniti. Con una mossa che non ha precedenti nella storia recente dei rapporti con il Venezuela e con gli altri Paesi latino-americani, il presidente Donald Trump ha dichiarato legittimo il potere del nuovo presidente e illegittimo quello di Maduro. “Il popolo del Venezuela ha coraggiosamente espresso la sua voce contro Maduro e il suo regime e ha chiesto libertà e governo della legge”, ha dichiarato il presidente americano. Inoltre ha annunciato che d’ora in avanti riterrà Maduro “direttamente responsabile” per ogni minaccia alla sicurezza del popolo venezuelano. Su invito degli Stati Uniti, altri otto paesi americani hanno riconosciuto la presidenza di Guaidó: Argentina, Brasile, Canada, Colombia, Cile, Perù, Ecuador e Paraguay. Infine, il nuovo presidente ad interim è stato riconosciuto anche dall’Organizzazione degli Stati Americani. Solo Bolivia e Messico hanno espresso il loro sostegno per Maduro.
In seguito al discorso di Trump, Maduro ha espulso immediatamente il personale diplomatico statunitense, dando un ultimatum di 72 ore per lasciare il paese. Ma Guaidó ha invitato il personale dell’ambasciata degli Usa e degli altri Stati che lo riconoscono, a restare a Caracas.
Se in patria si attende di vedere dove si schiereranno le forze armate, si sa già che parte ha scelto la Chiesa venezuelana. Con un comunicato inequivocabile, la Conferenza Episcopale Venezuelana ha annunciato il suo appoggio esplicito all’opposizione democratica. “Il 23 gennaio del 1958 fu una data storica per tutti i venezuelani – esordisce il comunicato, emesso alla vigilia delle manifestazioni di piazza - Era un segno ispiratore del trionfo della razionalità sociale sull’abuso del potere”. La democrazia, nata allora, esattamente 61 anni fa, “per quanto imperfetta”, ha introdotto nella società venezuelana “il mondo della libertà, della separazione dei poteri, il valore dell’alternanza al potere, la solidarietà e la partecipazione dei cittadini, il decentramento del potere e il diritto di associazione, di libertà di espressione e di informazione”. Il comunicato dichiara apertamente che il 23 gennaio 2019 è in piena continuità con quello del 1958, a quella “lotta della civiltà contro la barbarie”. La Chiesa venezuelana condanna le "forze anarchiche" che vogliono seminare disordine e violenza fra i manifestanti. Ma in ogni caso ritiene che di fronte alle condizioni di repressione e di povertà in cui è stato ridotto il paese, sia “un peccato che grida vendetta al cielo mantenere il potere a tutti i costi e pretendere di prolungare il disordine e l’inefficienza di questi ultimi decenni: è moralmente inaccettabile!”
Maduro, come Stalin a suo tempo, si starà chiedendo quante divisioni corazzate abbia la Chiesa nel suo paese. Misurando i meri rapporti di forza militare, i vescovi e i preti sono chiaramente disarmati e indifesi. Ma questo comunicato è comunque un duro colpo per un regime, come quello di Maduro, che si è sempre legittimato, agli occhi del popolo, usando una retorica cristiana, un cattolicesimo pauperista che ora deve confrontarsi con la realtà di un popolo inferocito perché ridotto in miseria.