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LA SCELTA DEL PAPA

Joseph Cupich, un vescovo "moderato" per Chicago

Si chiude l'era del cardinale George e se ne apre un'altra per la diocesi di Chicago, con la nomina di Blase Joseph Cupich. Conosciuto come un moderato "dalla mente aperta", amato dai progressisti, invita i sacerdoti a non presenziare ai sit-in antiabortisti ed evita lo scontro sui principi non negoziabili.

Ecclesia 22_09_2014
Mons. Cupich

La nomina del nuovo arcivescovo di Chicago era considerata uno spartiacque per capire le intenzioni di Papa Francesco riguardo la chiesa degli Stati Uniti. Sabato, alle ore 12, è arrivata: si chiude l’era del cardinale Francis Eugene George, al suo posto arriva da Spokane il sessantacinquenne Blase Joseph Cupich. Gli osservatori, considerato anche il precipitare delle condizioni di salute dell’arcivescovo uscente – è stato lui a sollecitare a più riprese Roma a fare presto nell'individuazione del nuovo presule, si domandavano se il successore sarebbe stato in continuità con la sua linea pastorale o se, viceversa, si sarebbe richiamato al cardinale Joseph Bernardin, considerato per anni il simbolo della chiesa progressista americana post conciliare. Guardando il profilo del prescelto, pare che il Papa si sia indirizzato verso la discontinuità.

Negli Stati Uniti, mons. Cupich è annoverato tra le file dei moderati, benché la sua storia pastorale sia più in sintonia con quei settori dell’episcopato stanchi delle guerre culturali e delle lotte per l’affermazione dei cosiddetti princìpi non negoziabili. Un "moderato", insomma, diverso dall'altrettanto moderato Joseph Kurtz, attuale presidente della conferenza episcopale e apparentemente più in sintonia con la linea praticata nell'ultimo decennio. Se il cardinale George, soprattutto durante il triennio a guida dei vescovi locali dal 2007 al 2010, aveva affermato una linea attivista e marcatamente conservatrice, Cupich ha sempre preferito starsene alla larga da marce e manifestazioni di piazza. Tre anni fa, ad esempio, s’era detto contrario al fatto che i sacerdoti in forza alla diocesi di Spokane prendessero parte ai sit-in all’esterno delle cliniche dove si praticano aborti, richiamandoli al dovere di intervenire prima che le donne entrassero in quei luoghi, attraverso una pastorale mirata e una presenza costante della chiesa tra gli ultimi e i sofferenti.

In un’intervista al New York Times del novembre 2013, mentre i vescovi statunitensi stavano eleggendo il presidente dopo il triennio a guida Dolan, il nuovo arcivescovo di Chicago disse che “Papa Francesco non vuole guerrieri culturali, non vuole ideologi. Questo è un nuovo paradigma per noi”. Padre Thomas Reese, gesuita già direttore del prestigioso magazine America, prima di dimettersi dopo uno scontro con la Congregazione per la Dottrina della fede allora guidata dal cardinale Joseph Ratzinger, l’ha definito uomo “dalla mentalità aperta”, aggiungendo che la sua designazione conferma il modello di vescovo che Bergoglio intende formare. Un vescovo che alle baionette issate sui pulpiti preferisca sempre il dialogo, che alle urla sostituisca i toni bassi, anche nel rapportarsi a quei poteri politici che legiferano contro i princìpi cari all'insegnamento e alla Dottrina della Chiesa. Proprio su America, due anni fa, Cupich criticò la riforma sanitaria presentata da Barack Obama, soprattutto nel punto – fortemente contestato dall’episcopato cattolico – che obbliga i datori di lavoro a provvedere alla copertura di varie prestazioni sanitarie (aborto compreso), ma chiese con altrettanta fermezza che il confronto circa la società e la libertà religiosa tornasse su toni “civili”.

Cupich rappresenta il nuovo corso, ultima e più evidente prova di una sterzata che affonda le radici al dicembre scorso, quando il Papa diede i primi segnali di voler riorientare l’episcopato americano, estromettendo il cardinale conservatore Raymond Leo Burke dalla congregazione per i Vescovi. Al suo posto fu scelto il ben più moderato Donald Wuerl, arcivescovo di Washington. Non è un mistero che Burke fosse uno dei più ascoltati consiglieri di Benedetto XVI quando si trattava di scegliere le nomine episcopali negli Stati Uniti – nella designazione di Cupich, invece, pare abbia avuto un ruolo tutt'altro che irrilevante il nunzio negli Stati Uniti, mons. Carlo Maria Viganò. È sufficiente guardare i profili dei vescovi scelti negli ultimi anni per trovare una comunanza di vedute tra essi (si pensi, ad esempio, a Charles Chaput, arcivescovo di Philadelphia e Salvatore Cordileone, arcivescovo di San Francisco, quest'ultimo tra i più fieri e fermi oppositori del governo federale guidato da Barack Obama). E in questi giorni, poi, grande eco hanno avuto anche oltreoceano le indiscrezioni che parlano di un’ulteriore ridimensionamento di Burke, che da prefetto del Supremo tribunale della Segnatura apostolica sarebbe trasferito entro un mese al Sovrano Ordine Militare di Malta con la qualifica di patrono, in sostituzione del cardinale Paolo Sardi, ottantenne. Carica onorifica e nulla più.

Che il modello di vescovo di Francesco sia sempre più chiaro, lo confermano anche le notevoli similitudini che sussitono tra il profilo di mons. Cupich e quello di mons. Carlos Osoro Sierra, nuovo capo della grande diocesi madrilena dopo il ventennio segnato dall'"attivista" Rouco Varela. Anche Osoro Sierra, non a caso definito il Francesco di Spagna, da tempo nella florida Valencia aveva messo in pratica i punti cardine e le priorità dell'agenda del Pontefice argentino: uscita, periferie, ascolto. E poche marce in piazza.