John Harris, il bioeticista che gioca con la vita
Il professor John Harris, ospite dell'associazione radicale Luca Coscioni, illustra la sua visione sulla scienza che vorrebbe: sperimentazione libera sugli embrioni, uomini e donne in grado di auto-riprodursi senza aver bisogno di rapporti.
Il mese scorso l’associazione radicale Luca Coscioni ha organizzato a Roma il terzo Congresso internazionale per la libertà di ricerca dal titolo “Esiste una scienza della moralità?”. Tra i relatori è stato invitato il famigerato dott. John Harris direttore dell’Institute for Science, Ethics and Innovation dell’Università di Manchester e membro Commissione Governativa Human Genetic. Tanto per capire di che tipo si tratta, Harris è favorevole all’eutanasia infantile perché se è legittimo uccidere il nascituro con l’aborto – così argomenta il bioeticista inglese – non si capisce il motivo per cui non si possa uccidere il bambino appena nato.
Intervistato per Tutto Scienze e Tecnologia ha disegnato i confini di quella pseudoscienza del futuro che così tanto ama, la quale ha come unico limite l’impossibile. Per il resto semaforo verde. Innanzitutto per Harris la questione dell’aborto e della sperimentazione sugli embrioni è fatto ormai archiviato, roba vecchia: «La natura, infatti, è incredibilmente sprecona, visto il numero minimo di embrioni che diventano feti e bambini. Dio stesso butta via embrioni in proporzioni colossali!». Secondo la logica del docente inglese dunque se madre natura provoca dei terremoti che fanno crollare i palazzi allora anche noi possiamo farli crollare. Se Tizio muore per infarto dunque a me è permesso far crepare Caio provocandogli un infarto. Il concetto di “spontaneo-naturale” in Harris legittima il concetto di “volontario”.
Ma proseguiamo. Harris sostiene con orgoglio che nel suo Paese da un pezzo – forse da Enrico VIII? – la “scienza” si è smarcata dal potere della Chiesa. La soluzione per introdurre prassi come l’eutanasia e la ricerca sulle staminali embrionali passa da questa regola aurea: «non è consentito appellarsi a considerazioni di tipo settario. La conseguenza è che la Chiesa cattolica, a differenza di quanto accade in Italia, non ha titolo per dominare la discussione pubblica». Vien da chiedersi come mai se da noi la Chiesa domina la discussione pubblica abbiamo leggi come quelle sull’aborto, sul divorzio e sulla fecondazione artificiale.
Poi il bioeticista inglese, con la stessa soddisfazione del bimbo che gioca con il piccolo chimico e gli riesce un esperimento, annuncia nuove e prossime scoperte in campo genetico: «Pensiamo alla possibilità di riprogrammare le cellule della pelle in uova e spermatozoi: significa poter essere, allo stesso tempo, sia madre sia padre del proprio futuro figlio. È una prospettiva che fa paura, ma con applicazioni riproduttive davvero straordinarie». Per i non addetti alla fantascienza dell’orrore spieghiamo in sintesi cosa il dottore voglia dire. Harris sostiene che a breve riusciremo a convertire ad esempio cellule dell’epitelio in gameti maschili e femminili. In tal modo il sig. Rossi (o la sig.ra Rossi) potrà autofecondarsi e non avere più bisogno del gentil sesso. Dall’autoerotismo all’autoconcepimento.
Non è una boutade quella di Harris bensì il succo di un suo articolo scientifico scritto insieme a César González-Palacios e Giuseppe Testa e pubblicato sul numero di marzo del Journal of Medical Ethics con il titolo “Parentele multiple: gameti generati in vitro e le generazioni a venire”. In questo lavoro si spiega che la riprogrammazione cellulare permetterà ai single di essere contemporaneamente padri e madri del proprio figlio genetico, di far sì che due maschi omosessuali possano essere entrambi genitori biologici dello stesso bambino e di poter introdurre nel cromosoma del concepito materiale genetico proveniente da più persone realizzando così la multigenitorialità (e la multistupidità).
Tutto ciò permetterà secondo gli autori «la liberazione dei ruoli genitoriali dai vincoli della generazione biologica in vivo [leggi “rapporto sessuale”], consentendo a più persone di impegnarsi in una genitorialità genetica collettiva, annullando così la distinzione tra la generazioni biologica e quella sociale». La biotecnologia infatti potrà «essere usata per fini di sperimentazioni sociali».
È il vecchio disco rotto dell’eugenetica nei cui solchi sentiamo ancora la voce ora di Thomas Malthus, ora di Josef Mengele i quali consideravano l’uomo, così come madre natura lo aveva pensato, né più né meno di un prototipo un po’ difettoso e buono solo di essere migliorato a colpi di ingegneria sociale realizzata un tempo tramite l’induzione del calo demografico e le sperimentazioni sulle persone ed ora per mezzo di alterazioni genetiche. Il solito homunculus che gioca a fare Dio.