Joe Biden giura da presidente e chiede unità (sotto i Democratici)
“Questo è il giorno della democrazia. Un giorno di storia e di speranza”. Inizia così il discorso del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, in una cerimonia surreale, senza pubblico, in una Washington presidiata da 10mila uomini della Guardia Nazionale. Un discorso che predica unità, ma che non poteva essere più divisivo.
“Questo è il giorno della democrazia. Un giorno di storia e di speranza. Di rinnovamento e di risolutezza”. Inizia così il discorso del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, in una cerimonia surreale, senza pubblico, in una Washington presidiata da 10mila uomini della Guardia Nazionale, fra allarmi bomba ed edifici evacuati per quella che viene considerata la peggiore minaccia per la democrazia. Non il terrorismo islamico, bensì lo spettro di Donald Trump e dei suoi sostenitori.
Il discorso di Biden parte da quello che è già, a tutti gli effetti, il “momento fondativo” della sua presidenza: l’assalto al Campidoglio dei sostenitori più esagitati dell’ex presidente. Questo evento del 6 gennaio, oltre al Covid-19, ha fatto sì che la cerimonia si svolgesse praticamente a porte chiuse. Ed è diventato il simbolo della "democrazia americana che resiste", anzi della democrazia "resiliente", termine abusato e impiegato anche da Biden nel suo discorso. La dimostrazione dei trumpiani viene ora retoricamente accostata alle grandi prove della storia, come le due guerre mondiali e l'11 settembre, da cui l'America è uscita più unita e forte.
A celebrare il nuovo presidente non c'era un pubblico di persone in carne ed ossa, ma una distesa di bandiere americane, dalle scalinate del Campidoglio fino al Monumento, l’obelisco della capitale. La “folla” era solo quella molto selezionata di deputati, senatori, ex presidenti, membri dello staff, di entrambi i partiti. Trump, bannato dai social e dannato dalla storia, era a Mar-a-Lago, in Florida, a godersi lo spettacolo dalla televisione. Qualche reporter, gongolando, faceva notare che la sua partenza dalla Casa Bianca sia avvenuta senza neppure i saluti del vicepresidente Mike Pence, che era invece presente alla cerimonia, a rappresentare la vecchia amministrazione e gestire il passaggio di consegne. Repubblicani e Democratici di spicco, fra cui Hillary Clinton, hanno scelto abiti viola, non di lutto ma di fusione del blu della sinistra e del rosso della destra: unità nazionale, contro un nemico comune. Che è Trump.
I confronti fra questa inaugurazione e la precedente sono impietosi. A cantare per il nuovo presidente c’era Lady Gaga, che ha intonato l’inno (reinterpretato a modo suo), e Jennifer Lopez che ha cantato This land is your land e America the beautiful in versione R&B, con dedica in lingua spagnola alla rinnovata giustizia sociale. Nell’inaugurazione di Trump, nessuna star si era offerta di cantare di fronte alla nazione; lo stesso Bocelli, voluto dall’ex presidente, si era tirato indietro. Mentre gli stilisti di tutto il mondo (con l’eccezione di Dolce & Gabbana), dichiaravano apertamente di voler boicottare la nuova First Lady Melania Trump. La folla ieri era assente, tenuta lontana dalla cerimonia da una catena di check point, in una città in stato d’assedio. La gente aveva anche paura di uscire al di fuori della “zona rossa” (attorno al Campidoglio) per timore di incappare in controlli anti-Covid e anti-terrorismo. Ad accogliere Trump, nel 2017 c’era invece una folla di suoi sostenitori, che i media si erano subito affrettati a sminuire. Un’altra folla, di oppositori, stava intanto mettendo a soqquadro la capitale, da giorni, incapace di accettare la sconfitta di Hillay Clinton. La candidata perdente, assente ingiustificata, si era chiusa in un mutismo insolito. Quando aveva ricominciato a parlare, in compenso, si era affrettata a dire che Trump avesse rubato le elezioni. Ma nessuno ne ha mai parlato come di una “minaccia alla democrazia”. E nessun esercito aveva cordonato l’area del Campidoglio per tener lontani i tantissimi facinorosi di sinistra.
In questo scenario da stato d’assedio, Joe Biden ha pronunciato, più di tutte le altre, la parola “unità”. Ha pregato gli Stati Uniti di mantenere la promessa del loro nome, perché, a suo dire, ci sono molte sfide da affrontare. Fra queste, oltre al Covid, ha citato il cambiamento climatico (una “emergenza”) e il razzismo sistemico. Non si potevano scegliere temi più divisivi, considerando che entrambi sono cavalli di battaglia della sinistra radicale usati come arma contro la destra. Biden ha additato le minacce concrete alla democrazia, citando soprattutto il suprematismo bianco e il “terrorismo domestico”, termine con cui, almeno dal 6 gennaio, si indica esclusivamente l’eversione di destra. Ignorate, invece, le vittime causate da Black Lives Matter e Antifa, i cittadini che hanno perso la vita, le proprietà, la libertà personale perché sono stati e sono tuttora minacciati dagli estremisti. C’è un estremismo che viene condannato, ma l’altro che è stato attivamente promosso, se non dal presidente, almeno dalla sua vice Kamala Harris, dal suo Partito Democratico, dai suoi stessi sponsor.
“Dobbiamo ascoltarci gli uni con gli altri, parlarci gli uni con gli altri” esorta Biden, ma la sua predica sull’unità è così unilaterale che persino Sant’Agostino viene tirato in ballo solo per dare un’altra lezioncina a Trump. “Molti secoli fa, Sant’Agostino, un santo della mia Chiesa, scriveva che un popolo era una moltitudine definita dal comune oggetto del loro amore. Quali sono i comuni oggetti del nostro amore che ci definiscono come americani? Penso di conoscerli: opportunità, sicurezza, libertà, dignità, rispetto, onore. E verità, ebbene sì. Le ultime settimane e mesi ci hanno insegnato una dura lezione. C’è la verità e ci sono le menzogne. Menzogne dette per potere e per profitto”. Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale? La “menzogna” è di chi (oltre il 70% degli elettori repubblicani) sospetta che nelle elezioni vi siano stati brogli. Chiunque riporti fatti o testimonianze che lo dimostrino rischia come minimo di essere cancellato dai social network, ma soprattutto di perdere il posto di lavoro.
Molto probabilmente quel pezzo di America, costituito da circa 74 milioni di elettori di Trump (che da novembre si sentono derubati del voto e delegittimati dalle istituzioni), non si sentirà riconciliato dopo questo discorso. Non basta coinvolgere Pence ed esponenti del Partito Repubblicano, fra cui l’ex presidente Bush, per far percepire Biden come il presidente di tutti gli americani. Se le premesse dell’unità, della riconciliazione e della pace sociale sono queste, in una piazza vuota, protetta da un esercito, cosa ci dobbiamo attendere nei prossimi quattro anni?