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EDITORIALE

Ius soli, l'errore del ministro Kyenge

Il Presidente della Camera Boldrini e il Ministro per l'Integrazione Kyenge hanno portato l'attenzione sulla riforma dello status di cittadinanza sulla base dello jus soli e il diritto di voto ai cittadini extracomunitari.

Editoriali 11_08_2013
il ministro Kyenge

S’infittisce il dibattito su immigrazione, integrazione e cittadinanza nel nostro Paese. I recenti interventi del Presidente della Camera Boldrini e del Ministro per l’Integrazione Kyenge hanno portato al centro dell’attenzione del confronto politico nazionale temi di estrema rilevanza costituzionale: riforma dello status di cittadinanza sulla base dello jus soli, diritto di voto ai cittadini extracomunitari. Tuttavia le strade del diritto e della ragione non si congiungono nella direzione espressa dal Presidente della Camera e dal Ministro Kyenge. Procediamo con ordine.

Il Ministro Kyenge si avventura nel delicatissimo tema della riforma dello status di cittadinanza italiana sottovalutando quanto sia minato il terreno della Costituzione che percorre. La cittadinanza infatti è uno status – non un semplice diritto – cioè non è una semplice facoltà di cui può disporre il singolo individuo a sua libera scelta e piacimento. Infatti con l’acquisto della cittadinanza la persona entra a far parte del “popolo” italiano, come afferma uno dei più celebri costituzionalisti italiani, il Barile, ed è chiamata a precisi doveri nei confronti della Stato, tra cui la fedeltà ai valori della Repubblica (art.53) ed il concorso alla spesa pubblica (art.54).

Ciò significa che si richiede dal diritto stesso, dalla Costituzione – ai fini della concessione della cittadinanza – una complessità di valori identitari condivisi, etico-politici, culturali e linguistici che non sono viceversa oggetto di considerazione con riferimento al riconoscimento di un semplice diritto privato. Stando così le cose è evidente che non sia sufficiente nascere sul territorio italiano per poter vantare automaticamente la cittadinanza italiana ed i benefici che ne derivano. La cittadinanza va ben oltre un mero diritto privato come può essere la proprietà, in quanto è la base,il pilastro pre-giuridico, quindi culturale e filosofico che giustifica il concetto stesso di Stato e popolo. Questo punto apre un'altra finestra, in quanto introduce il concetto di nazione, che – come tutti i pilastri del diritto –  è storico, politico, a base identitaria, linguistica e culturale.

Questi  pilastri del diritto sono la giustificazione dello jus sanguinis, in virtù del quale è cittadino italiano chiunque nasca da genitori italiani. Opportunamente il politologo Giovanni Sartori – non certo un parruccone reazionario – sulle pagine del Corriere della Sera ha cestinato l’iniziativa del ministro Kyenge evidenziando come lo jus soli si adatti a modelli costituzionali di stati “giovani”, originariamente multietnici quali gli Stati Uniti. Infatti nelle costituzioni d’Europa lo jus soli è l’eccezione e non certo la regola. Insomma, in un’ottica di buon governo della società civile, da sempre prima vengono identità e valori; lo ribadiscono il filosofo Levinas ed il sociologo Bauman, e noi ci permettiamo di rammentarlo al ministro Kyenge. Tutto il contrario dell’incoerente appeasement con i filoni di pensiero progressisti e post-marxisti alla base di quel “fondamentalismo relativista” che si oppone ad ogni qualsivoglia concorso delle identità culturali nell’indirizzo delle scelte politiche della società.

Se le cose stanno in questi termini, e siamo ragionevolmente convinti che stiano in codesti termini, è più che comprensibile il palese disagio politico e culturale che emerge di fronte alle disinvolte sortite del Ministro Kyenge e del Presidente della Camera su temi così sensibili come la riforrma dello status di cittadinanza, in nome di quella deformazione ideologica che va sotto il nome di immigrazionismo. I diritti di cittadinanza sono sempre riconducibili ad un popolo, e questo ad un territorio, e dunque ogni ipotesi di ridefinizione della cittadinanza non si risolve semplicisticamente con l’introduzione dello jus soli. La profonda valenza di queste identità culturali e territoriali come fattori di stabilità ed inclusione sociale è sottolineata dal sociologo e filosofo Zygmunt Bauman, che paventa i tremendi rischi di una società “liquida” priva di riferimenti identitari ed in balia degli esiti ad oggi non esaltanti del melting pot multietnico e multiculturale. Lo stesso leader del governo tedesco, la Cancelliera Merkel, si è espressa al riguardo in modo molto eloquente, riconoscendo il fallimento del modello del multiculturalismo in Germania.

Seconda osservazione: prova provata che la cittadinanza è concetto giuridico e socio-politico ben più complesso di un mero diritto è il fatto che la stessa UE nega l’acquisto della cittadinanza del Paese di residenza ai cittadini di altri Paesi membri dell’Unione stessa, anche se presenti da anni, ma si rimette alla legislazione dei singoli Stati di appartenenza. Lo stesso diritto di voto alle elezioni politiche si lega non tanto alla permanenza sul territorio straniero di una persona, quanto alla sua partecipazione alla costruzione della respublica e della communis opinio di una società civile: per questo è necessario che possegga la cittadinanza. L’adempimento degli obblighi fiscali verso lo Stato di residenza, insomma il pagamento delle tasse, in sé è elemento positivo, ma certamente non sufficiente per legittimare l’acquisto del diritto di voto. In caso contrario la cittadinanza risulta strumentale e non favorisce l’integrazione. Esattamente ciò che ha osservato con la pragmatica ragionevolezza del giurista il magistrato Grasso, Presidente del Senato.

In una fase storica di strutturale malessere delle istituzioni politiche italiane e di scollamento tra società civile e Stato, in cui risulta evidente la necessità di un patto costituzionale per il bene comune del Paese, le intemperanti dichiarazioni del Ministro dell’Integrazione e del Presidente della Camera  appaiono divisive e non contribuiscono certo a definire con equilibrio il raggio d’azione di un ineludibile programma organico di riforma costituzionale.