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il dibattito

Ius scholae? Ma la scuola non integra nemmeno gli italiani

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La scuola italiana non fornisce una identità culturale nemmeno agli italiani, figuriamoci se può farlo agli stranieri. Anzi, è il contrario: non ha una sua identità perché assorbendo le ideologie moderne e il relativismo ha reso impossibile la trasmissione di verità. 

Editoriali 24_08_2024

In questi giorni il mondo politico dibatte la questione dello Ius scholae come possibile criterio per regolarizzare gli immigrati. Il ministro Tajani e Forza Italia, per motivi politici, ci puntano molto. La cosa presenta molteplici aspetti di cui ci siamo già occupati [QUI] e tutti conducono ad una sola conclusione: la proposta è assurda. Uno in particolare dimostra fuori di ogni dubbio questa assurdità: si pretende di affidare alla scuola italiana la costruzione di una identità italiana nei giovani immigrati, ma la scuola statale italiana non è in grado di educare a nessuna identità nazionale, per il semplice fatto che non è in grado di educare a nessuna identità culturale.

La scuola italiana non fornisce una identità culturale nemmeno agli italiani, figuriamoci se può farlo agli stranieri. Sfido il ministro Tajani ad elencare i caratteri della identità culturale italiana così come plasmata dalla nostra scuola di Stato. Anzi, il processo è esattamente il contrario, la scuola italiana, davanti alla presenza di alunni stranieri, diminuisce i riferimenti alla propria tradizione e alla propria cultura – ammesso che ne abbia una – per un presunto dovere di adattamento di essa alle altre culture per spirito di accoglienza. Il caso delle omissioni nell’insegnamento della Divina Commedia di Dante è molto eloquente.

Però, attenzione! Non è che Dante lo si insegni abitualmente e in modo approfondito e poi lo si purghi dei passi indigesti alle altre culture, soprattutto a quella islamica. La realtà è che Dante non lo si insegna più da molto tempo, l’abdicazione alla propria cultura è avvenuta già prima della presenza in Italia delle altre culture e nessun insegnante pensa più che insegnare Dante sia un dovere per rispetto alla nostra identità. Piuttosto il contrario, Dante, come Manzoni, sono stati da decenni combattuti nelle scuole perché organici ad una certa italianità tradizionale cattolica diventata il nemico della politica culturale gramsciana. Per questo l’archiviazione di Dante davanti alle esigenze islamiche risulta così privo di patemi d’animo, era già avvenuto.

La nostra scuola “pubblica” non ha una sua identità ormai da molto tempo, da quando sono penetrate in essa le ideologie moderne e da quando il relativismo ha reso impossibile intenderla come ricerca e trasmissione di verità, da quanto essa ha assunto come criterio fondamentale di formare il cosiddetto spirito critico, cosa impossibile senza l’idea della verità. Lo spirito critico, non più basato sulla verità, è stato fondato sul soggetto e a quel punto tutte le credenze sono state ammesse, perché la verità stessa è stata trasformata in una credenza.

Ogni verità è stata ridotta a opinione, quindi siccome bisogna accettare tutte le opinioni, come dice la Costituzione, bisogna accettare tutte le verità, che a quel punto non sono più verità. Ciò che importa è che gli studenti ci credano, ci mettano qualcosa di sé, siano coerenti con se stessi: nella nostra scuola l’atto soggettivo e non più il contenuto oggettivo diventa criterio di verità, intervenire in un dibattito in aula è più importante di cosa si dice, anzi tutti dicono il vero e affermare che una idea è sbagliata significa esercitare una discriminazione. Nessuna disciplina viene insegnata ormai come avente a che fare con la verità, ma al massimo come ipotesi di lavoro

Oggi la scuola pubblica italiana non propone più nemmeno una unitaria visione della persona, ma ne ospita di tutti i tipi. L’unico dogma è il pluralismo educativo, esito di una malintesa libertà d’insegnamento, con il quale però al massimo si informa ma non si educa. Oppure si può dire che abbia sì una visione della persona, ma come qualcosa di vuoto da riempire con contenuti diversi a seconda delle preferenze soggettive o delle condizioni dell’esistenza. Non ha nemmeno una nozione di civiltà, per la paura che questo comporti un conflitto delle civiltà. Non è in grado di contrappore una propria civiltà - ripeto, ammesso che pensi di averne una – ad altre civiltà, perché non possiede criteri di giudizio superiori alle civiltà e in grado di giudicarle. Non c’è più nemmeno la nozione di conflitto, la disputa intellettuale è bandita dalla scuola a favore di una tolleranza intellettuale generalizzata che poi di fatto diventa imposizione dell’ideologia relativista.

Non può essere dimenticato che la scuola italiana non può fare nemmeno riferimento alla storia della nazione, cosa che di solito alimenta appunto l’identità culturale. La storia che si studia sui manuali scolastici è artefatta, ideologica, acritica e stereotipata. Non è storia, è retorica politicamente corretta. Tutti i manuali di storia della scuola pubblica sono falsi. Quando va bene è una “storia di Stato”, la storia “ufficiale” stabilita da chi governa la scuola, che non è detto sia il ministro della pubblica istruzione. Inoltre, la cosiddetta “laicità” della scuola espunge dalla identità italiana la dimensione religiosa, il cattolicesimo (non un generico cristianesimo) che ne è parte integrante, ma questa sua importanza viene negata per esclusione. Né può risolvere questo problema la patetica istituzione degli insegnanti di religione cattolica. Che del resto sono i primi a parlare di Islam, e di ogni altro argomento, più che di cattolicesimo. Il crollo dei licei è sotto gli occhi di tutti e le discipline non trovano più una connessione sapienziale tra loro perché lo storicismo impedisce qualsiasi architettura del sapere e di tutto si fa solo una storia ideologicamente manipolata.

Dalla scuola italiana escono giovani culturalmente disintegrati, come pensa Tajani che essa posa integrare gli stranieri? Non sa nemmeno “a cosa” integrarli. Quando un ragazzo entra nella scuola pubblica italiana non si sa come poi ne esca: certamente non è dato che ne esca come “italiano”.



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