Italian Brainrot, quando la sottocultura diventa virale
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È stata la parola dell'anno 2024 e significa letteralmente "marciume cerebrale". Un fenomeno che spopola sui social e riflette le dinamiche della contemporaneità digitale: velocità di diffusione unita alla mancanza di una proposta culturale.

Gli Italian Brainrot rappresentano uno dei fenomeni virali più recenti nel panorama dei social media italiani, poi diffusosi a livello globale. Si tratta di una serie di meme (cioè contenuti virali come immagini o video che si diffondono rapidamente online attraverso imitazione e rielaborazione collettiva) basati su animali fantastici creati con l'intelligenza artificiale, accompagnati da filastrocche volgari, spesso blasfeme, caratterizzate da un black humour molto forte e postati su TikTok.
Tra i protagonisti di questo fenomeno troviamo personaggi come "Tralalero Tralalà", uno squalo in sneakers azzurre, "Bombardiro Crocodilo", un coccodrillo fuso con un bombardiere, "Lirili Larilà", un elefante-cactus in sandali, e "Brr Brr Patapim", una scimmia fusa con una foresta. L'universo si sta espandendo anche con meme provenienti da altri Paesi (l’Ucraina sembra avere una particolare predilezione per questo tipo di formato).
Il termine "brainrot" (letteralmente "marciume cerebrale") definisce contenuti di scarsa qualità creati appositamente per mostrare il fondo dei social, ma che paradossalmente generano dipendenza e viralità. Secondo l'Università di Oxford, è stata la parola dell'anno per il 2024, riferendosi agli effetti dei social media sulla mente.
Prima di passare a una disamina culturale di ciò che questa espressione vorrebbe rappresentare, forse è il caso di fare alcune premesse doverose. Prima ancora di etichettare quanto stiamo analizzando e, di fatto, svilirlo, cerchiamo di dare credito alle voci che stanno dietro questo linguaggio. Proviamo a usare i parametri più importanti della ricerca stilistica, letteraria e antropologica e, solo successivamente, diamone un valore.
Nessuno conosce gli autori dei brainrot. Una rapida ricerca dal sito Know Your Meme può fornire una dubbia autorialità, ma forse non è il caso di prenderla per oro colato. I brainrot, poi, passano di mano in mano, di bocca in bocca, attraverso un’utenza che rielabora l’italiano per renderlo più musicale e dissacrante, con un’azione simile a quella che fanno i cantanti trapper, con la loro dizione strascicata e l’uso dell’autotune per sopperire alla mancanza di intonazione.
Ogni persona è quindi potenzialmente co-creatrice delle storie (cioè di quella che più propriamente viene chiamata lore) usando un linguaggio condiviso, un’identità culturale che divide chi li comprende (i giovani) da chi non li comprende (o non vuole comprenderli, come la generazione adulta) e nutrendosi della ripetitività e della ritualità.
Astraendo queste caratteristiche, il fenomeno dei brainrot assume connotati che lo lega ben più di quanto si potesse immaginare alla mitologia classica. Così come gli antichi miti creavano un linguaggio condiviso e un'identità culturale, così i brainrot moderni generano comunità attorno a riferimenti comuni. Entrambi si basano sulla ripetizione: la trasmissione orale dei miti attraverso le generazioni trova eco nella ripetizione ossessiva dei contenuti brainrot.
Inoltre, le figure iconiche create in questi meme funzionano come archetipi contemporanei, similmente a divinità ed eroi mitologici. Inoltre, sia i miti che i brainrot evolvono attraverso trasformazioni e adattamenti continui, creando varianti e nuove interpretazioni.
Questo fenomeno di sottocultura, che forse appunto perché non attinente agli stilemi della cultura ufficiale, sta acquisendo una tale popolarità che i brand stessi li stanno riciclando per fare marketing. Squadre di calcio come Milan e Napoli hanno incorporato questi personaggi nei loro account social, mentre altre aziende come Ryanair hanno creato i propri personaggi originali in stile brainrot.
In pratica, come dice il professor Francesco Toniolo dell’Università Cattolica di Milano, i brainrot, così incomprensibili, dissacranti e controversi, ricordano un po’ – forse anche per la loro origine peninsulare – il fenomeno del Futurismo dell’inizio del secolo scorso, dove contenuti evidentemente provocatori e violenti sono entrati a far parte della cultura ufficiale, tanto che oggi sono inseriti nei nostri libri di testo.
E forse non finisce qui il parallelismo con la corrente letteraria. Il Futurismo è entrato a far parte della cultura ufficiale perché integrato nel sistema di propaganda fascista: in pratica, la politica ha usato l’arte per il proprio scopo, appoggiandosi però a un tipo di medium (la pittura, la scultura, la poesia) già nobilitato da una lunga tradizione artistica.
Nel 2025 assistiamo a un fenomeno particolare: la sottocultura non viene ufficializzata dalla politica, bensì dal consumo, tanto che i brainrot sono diventati armi nella comunicazione di massa di brand. Inoltre, anche il supporto della comunicazione è cambiato (quello che Jakobson chiamerebbe “canale”): non più carta, non più tela, non più bronzo, ma intelligenza artificiale, prompt testuali, brevi video e algoritmi.
Gli Italian Brainrot, con la loro estetica volutamente scadente e il loro umorismo provocatorio, rappresentano un fenomeno culturale che, pur nella sua apparente banalità, riflette dinamiche sociali e comunicative profonde della contemporaneità digitale. Parla di noi, del 2025, più di quanto vorremmo. E se da una parte c’è chi si stupisce del fatto che la cultura giovanile partorisca artefatti nonsense e senza un minimo di competenza artigianale e artistica, dall’altra parte c’è chi incensa i brainrot come nuovo linguaggio popolare. Per quanto ci riguarda, i brainrot sono l’immagine più lampante e cristallina di ciò che la mancanza di una proposta culturale italiana profonda, unita a un sistema di distribuzione algoritmica vincolante ed alienante, può portare.