Israele, violenze contro i manifestanti. Cisgiordania in fermento
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Ventuno arresti e numerosi feriti nelle manifestazioni di sabato scorso per chiedere al governo Netanyahu maggior impegno per la liberazione degli ostaggi. E in Cisgiordania si dimette il primo ministro Shtayyeh.
Si sono dati appuntamento in Piazza della Democrazia a Tel Aviv, di fronte alla base militare di Kirya, il quartier generale della difesa israeliana. Poco dopo l'inizio del raduno i manifestanti si sono visti caricare dalla polizia che utilizzava idranti, granate stordenti e lacrimogeni. I dimostranti reclamavano un maggior impegno da parte del governo per la liberazione degli ostaggi e sollecitavano le dimissioni del primo ministro Benjamin Netanyahu. Una violenza inusuale, quella utilizzata dalla polizia, anche se in un recente passato erano già stati impiegati sia agenti a cavallo che idranti.
Quello di sabato scorso è stato un intervento sproporzionato per la sua violenza, ma anche per la rapidità con cui le forze di sicurezza hanno iniziato a reagire in modo aggressivo. Mentre i manifestanti stavano ancora ascoltando il comizio, sul lato ovest di Kaplan Street, la polizia già aveva iniziato con i primi arresti, sul lato opposto della strada. La notizia dei fermi si è diffusa rapidamente su WhatsApp, Telegram e su altri social, provocando l’effetto opposto a quello previsto, e attirando un gran numero di persone che si riversava sulla piazza. Sono comparsi gli idranti e i poliziotti a cavallo, già presenti nelle adiacenze in assetto antisommossa. Per la prima volta dall’inizio della guerra, i cannoni ad acqua sono stati utilizzati contro i familiari degli ostaggi che issavano cartelli con le consuete foto dei sequestrati e con la scritta «Riportateli a casa!». Dopo 143 giorni, dei 101 ostaggi ancora nelle mani di Hamas non si sa nulla di certo. Ma la reazione violenta della polizia ha segnato un deciso cambio di tattica. Fino ad ora, ai parenti dei sequestrati era stato concesso un maggior margine di protesta.
Gli scontri hanno provocato 21 arresti e numerosi feriti che hanno dovuto far ricorso alle cure mediche. Un clima avvelenato, per cui molti cittadini oramai parlano apertamente di fine della democrazia in Israele. La domanda, che ora la maggioranza degli israeliani si pone, è perché questa violenza contro i manifestanti. «Il popolo israeliano è unito come mai prima d’ora», ha invece commentato il premier, ignorando le manifestazioni di piazza. «Il popolo israeliano condivide la politica del governo. La gente la sostiene. E intendo portarla a compimento; non possiamo scendere a compromessi».
Nel frattempo, da parte dei vertici dell’esercito israeliano prosegue a ritmo frenetico la predisposizione del piano di evacuazione dei civili da Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, con l’obiettivo finale di distruggere militarmente gli ultimi battaglioni di Hamas operativi nell’area vicino al confine egiziano. La zona di Rafah ospita circa un milione e 300 mila sfollati, in un’area di appena 62 kmq. Inoltre, secondo l'Ufficio del primo ministro, il governo ha approvato un piano, nella tarda nottata di domenica scorsa, per fornire «assistenza umanitaria alla Striscia, in modo da prevenire i saccheggi avvenuti nella zona settentrionale di Gaza e in altre aree». Il portavoce dell'Autorità Palestinese, Nabil Abu Rudeineh, ha affermato, invece, che il piano predisposto dagli israeliani ha l'obiettivo principale di cacciare in modo definitivo i palestinesi da Gaza per rioccuparne la terra. Ha rivolto poi delle pesanti critiche agli Stati Uniti, che ancora sostengono Israele, appellandosi al presidente Joe Biden affinché cambi rotta «e sia fermata questa follia… prima che sia troppo tardi».
Sempre nel corso della riunione del governo israeliano, il comandante Tomer Bar ha ufficialmente annunciato di aver creato una divisione in risposta alla crescente minaccia di Teheran contro Israele. «Questa sezione gestirà tutti i preparativi militari per potenziali futuri attacchi da parte dell’Iran, ed è principalmente destinata a combattere il programma nucleare iraniano», ha dichiarato l'alto ufficiale, al termine dell'incontro.
Anche la politica della Cisgiordania è in fermento. Il primo ministro, Mohammad Shtayyeh, ha presentato le sue dimissioni al presidente palestinese Mahmoud Abbas. La decisione è stata presa per consentire la formazione di un più ampio consenso tra i palestinesi, in merito agli accordi politici, maturati dopo la guerra di Israele contro Hamas a Gaza. «Questa decisione arriva alla luce degli sviluppi politici, economici e di sicurezza legati all’aggressione contro il nostro popolo nella Striscia di Gaza e all’escalation senza precedenti nella Cisgiordania, compresa la città di Gerusalemme», ha dichiarato l’ex primo ministro. Ad annunciare le dimissioni è stato lo stesso Mohammad Shtayyeh, al termine della riunione del governo palestinese svoltasi ieri mattina a Ramallah. Shtayyeh potrebbe essere sostituito dall’economista Mohammad Mustafa, ex vice primo ministro e presidente del Fondo di investimento palestinese.
Sempre più caldo, nel frattempo, il confine settentrionale di Israele. Ieri mattina, un missile terra-aria, proveniente dal Libano, è stato intercettato dal sistema di difesa aerea “Fionda di Davide”, in Galilea nell’area del Monte Tabor, ad oltre sessanta chilometri dalla frontiera con il Libano.
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