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UNITÀ NAZIONALE

Israele, il coronavirus mette d'accordo Gantz e Netanyahu

Dopo tre elezioni in un anno, dopo un braccio di ferro politico senza sbocchi e una controversa sentenza dell'Alta Corte, il presidente israeliano Rivlin è intervenuto per sollecitare all'unità nazionale di fronte alla piaga dell'epidemia. Netanyahu e Gantz hanno trovato un accordo "impossibile", governeranno a staffetta, 18 mesi l'uno.

Esteri 31_03_2020
Tel Aviv, poster con Netanyahu, Lieberman e Gantz con mascherina

Colpi di scena inattesi, e a ripetizione, sulla scena politica israeliana, frastornata inevitabilmente dall’espansione dell’epidemia coronavirus e dalle sue conseguenze sulla pur florida economia. E sblocco imprevisto della lunga crisi, che era stata confermata dai risultati delle elezioni generali del 2 marzo, ora con la certezza del varo di un prossimo governo di emergenza. Tutto questo in meno di una settimana, con gli interventi dei massimi esponenti delle istituzioni, dal capo dello Stato ai presidenti della Knesset (il Parlamento) e dell’Alta Corte di Giustizia (nel ruolo di fatto della inesistente Corte costituzionale). Un film di eventi davvero inimmaginabile, come la sua parte finale.

Perché Benjamin Netanyahu continuerà ad essere premier –  carica che detiene ininterrottamente da oltre un decennio (un primato assoluto!) –  sia pure per un previsto tempo limitato, di un anno e mezzo, quando, allo scadere,  passerà le consegne al suo avversario, Benny Gantz. Questi presiederà il governo per altri 18 mesi. Al momento Gantz è il presidente della Knesset (ne è stato eletto giovedì 26 dopo un braccio di ferro fra il presidente uscente, Yuli Edelstein e l’Alta Corte che gli aveva intimato di convocare la Knesset per mettere ai voti le sue dimissioni). Ma pure Gantz si dimetterà, e presto, per assumere il preconizzato incarico di ministro degli Esteri; nel governo di coalizione tra i due maggiori partiti, il Likud di Benjamin Netanyahu e il suo Kahol Lavan, forti sulla carta rispettivamente di 36 e 33 deputati, ovvero della maggioranza assoluta dei 120 membri della Knesset

Artefice di questo sommovimento è stato, inutile dirlo, Netanyahu. Ma quando lo propose sabato sera 21, appena passato lo shabbat, in un’intervista al Canale TV 12, passò per un visionario, lo vide respinto da esponenti del partito Kahol Lavan che denunciarono subito una manovra “escogitata”, a lor dire,  per non far giungere in parlamento la loro proposta di legge “anticorruzione” (che interdiceva l’incarico di formare un governo a quel deputato incriminato   –  ancor prima di essere processato –  di reati infamanti, come la corruzione e l’abuso di ufficio). Ma questa prospettiva di una sfacciata legge ad personam, “tagliata su misura” contro Netanyahu, veniva avversata da altri esponenti del loro stesso partito.

Non solo, cresceva pure il numero di coloro che nella coalizione erano decisamente contrari ad accettare, a sostegno di un governo di sinistra, gli indispensabili 15 voti della Lista unita dei partiti della minoranza araba: «una formazione, ha scritto l’analista Raoul Wootliff,  largamente considerata “anti-sistema” nello scenario politico israeliano e per questo soggetta finora ad una sorta di conventio ad excludendum  che lo stesso Gantz aveva ribadito prima delle elezioni».

Nel frattempo i tentativi della maggior parte dei deputati eletti di  far subito dibattere e approvare dalla nuova Knesset  la “legge anti-Netanyahu” si scontravano con la ferma opposizione del presidente della passata legislatura, Yuli Edelstein, esponente del partito Likud di Netanyahu. tuttora in carica. Si rifiutava di metterla all’odg adducendo varie motivazioni (fra cui l’emergenza coronavirus) da essi ritenute pretestuose; in effetti in attesa dell’evoluzione della crisi con la formazione di un nuovo governo o con l’indizione di una nuova tornata (la quarta in un anno!) di elezioni anticipate. Ricordando che, per  tradizione, il presidente della Knesset è stato sempre un esponente dello stesso partito del premier.

Per superare l’impasse , ecco questi  deputati rivolgersi all’Alta Corte di Giustizia perché intimi a Edelstein di dimettersi. E la Corte darà loro ragione, ritenendo Edelstein presidente ad interim e soprattutto valida la richiesta di voto fatta dalla maggioranza parlamentare. Ma non decide formalmente subito: domenica 22 marzo i giudici esprimono “disappunto” perché  Edelstein  non convoca l’ assemblea; e l’indomani gli chiedono se intende indire, entro mercoledì, la votazione per la elezione del suo successore. Visto che Edelstein dimostra di non cogliere questi segnali, meglio queste premonizioni, mercoledì 25 rendono pubblica la loro decisione.

Ed ecco scendere in campo, la sera dello stesso giorno, il capo dello Stato, Reuven Rivlin, ben consapevole del conflitto apertosi tra due istituzioni pilastro, e autonome, della democrazia israeliana e al cospetto di un appassionato, lacerante, dibattito (meriterebbe una riflessione nostrana sui valori portanti di un sistema unico nella regione medio-orientale araba, circondato da secoli da regimi islamici). Il suo è un fermo appello al rispetto dello Stato di diritto: «Anche se qualcuno pensa che la Corte abbia torto, afferma, dobbiamo sempre garantire che vengano rispettate le regole della democrazia, senza le quali siamo perduti. Ora che il presidente della Knesset si è dimesso, sono sicuro che si darà seguito alle disposizioni della Corte Suprema e che la democrazia israeliana ne emergerà più forte e più solida». E poi un’accorata esortazione: «Teniamo a mente la terribile malattia che ci sta attaccando. So quanto è breve la distanza tra le parti. Ciascuna deve comprendere i limiti dell’altra ed essere flessibile, nella consapevolezza che semplicemente non abbiamo alternativa. Unite le forze, per il bene del popolo d’Israele. Se non ora, quando?».

A questo punto la situazione si sblocca dopo uno stallo di ben 16 mesi ed evolve rapidamente: Benny Gantz accoglie l’appello di Netanyahu (rivoltogli sabato 21) per un governo di unità nazionale, meglio di emergenza “per salvare Israele dal coronavirus”. Così d’intesa con lui giovedì 26 si presenta candidato a presidente della Knesset . E subito va in frantumi la sua coalizione politica e parlamentare: boicottano la votazione i deputati dei partiti Laburista, Meretz, Israel Beitenu del russofono Avigdor Lieberman, e della Lista unita della minoranza araba;  rompono l’alleanza con il suo partito il cofondatore Yair Lapid  e un altro leader chiave, Mose Yaalon, capi rispettivamente delle fazioni Yesh Atid e Telem. Mentre si schierano a suo favore il Likud e i partiti di centro-destra che finora gli erano ostili. E viene eletto con 78 voti favorevoli su 120.

«La democrazia non è negoziabile e la democrazia ha vinto», afferma Gantz nel  discorso di insediamento. Riconosce che «tempi critici necessitano di soluzioni inaspettate» e d’aver scelto «di unire e non di dividere». Promette  che « la Knesset lavorerà per tutti i cittadini e proteggerà il sistema giudiziario e i diritti civili del paese da qualsiasi azione non democratica»  e assicura: «Non scenderò a compromessi sui principi per i quali hanno votato oltre un milione di cittadini». Auspica infine di continuare a lavorare con gli ex suoi alleati (alludendo soprattutto ai due colleghi, come lui ex capi di Stato Maggiore) sottolineando che Israele è guidato da oltre un anno da un governo ad interim «senza un mandato pubblico» e ricordando: «Abbiamo avuto elezioni ripetute, costate miliardi di shekel ai sistemi sanitari, educativi e della difesa».

Innumerevoli le riflessioni che non finiscono di uscire da questa vicenda (tanto per citarne due: «la Sinistra ha puntato su un uomo sbagliato» e «la politica israeliana sembra incapace di andare avanti senza Netanyahu») o accompagneranno le vicende giudiziarie del Premier (si sa fin d’ora che non sarà presentata più la legge contro di lui e che ministro della Giustizia non sarà del suo partito). Mentre sono sempre più inquietanti le evidenze dell’epidemia coronavirus e le sue ripercussioni economico-sociali: in un mese il tasso di disoccupazione è passato dal 4 al 18 percento.