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ELEZIONI

Israele esce lacerato dalle urne, non è una buona notizia

A rendere inquietanti le elezioni israeliane non è tanto il risultato di pareggio tra i due principali partiti e la difficoltà a formare una maggioranza, anche se è probabile un nuovo mandato per il premier uscente Netanyahu, quanto il clima deteriorato in cui si sono svolte. Che proietta pesanti ombre sul futuro del paese e della regione, malgrado Israele stia conoscendo un benessere senza precedenti. È atteso però da sfide importanti in un Medio Oriente attraversataoda mille tensioni e che necessita di una leadership forte.
- E GLI USA DICHIARANO "GUERRA" ALL'IRAN, di Stefano Magni

Esteri 10_04_2019
Israele, sostenitori di Netanyahu in piazza

Si profila un clamoroso pareggio in Israele tra i due principali partiti in competizione: la nuova forza politica di centro Kahol Lavan (Bianco e Blu), guidata dall’ ex capo di stato maggiore generale Benjamin (Benny) Gantz; e il Likud del premier uscente Benjamin (Bibi) Netanyahu. A scrutinio quasi ultimato il risultato dovrebbe essere di 35 seggi a testa nella nuova Knesset, risultato ben lontano dalla possibilità di una maggioranza nel Parlamento composto da 120 seggi, anche se è probabile un quinto mandato assegnato a Netanyahu.

Ma queste elezioni sono state inquietanti rispetto al passato non solo per questo risultato di equilibrio - che prospetta un futuro molto incerto - tra il Kahol Lavan, forza pronta al cambiamento, e il Likud, capace di mantenere le posizioni di forza, e di poterle coaugulare con quelle della destra nazionale e religiosa; quanto per il deterioramento molto accentuato del clima in cui si sono svolte.

Troppe le  diatribe personali in questa competizione, disinvolta l’insipienza di gettare fango per distruggere, molto più che per denigrare, l’avversario. Il fatto che Netanyahu fosse stato informato di vari procedimenti giudiziari a suo carico, per frode, corruzione e favoreggiamenti vari, ha favorito il degenerare della competizione. Sì da provocare un accresciuto disinteresse verso di essa e quindi l’astensione di molti elettori. E l’inattesa visita ieri sulle spiagge di Netanyahu e moglie per spronare i bagnanti a non dimenticare il dovere di recarsi alle urne.

Poco prima, deponendo il suo voto, Bibi aveva parlato di “un’ora decisiva per il futuro dello Stato dopo il decennio migliore che abbiamo avuto”, un’esortazione alla conferma del suo mandato (se conseguito sarebbe il quinto, e il quarto consecutivo) alla guida del paese. Che in effetti ha conosciuto in questi ultimi tempi un’economia florida in tutti i campi, dell’innovazione, della produzione industriale e agricola, dell’export; conseguito traguardi rilevanti nelle scienze e nella medicina; guadagnato grande considerazione internazionale, specie nel mondo arabo. Per singolare coincidenza è atteso per domani, giovedì, l’allunaggio della Beresheet, prima sonda privata nello spazio, che era stata lanciata il 21 febbraio scorso da Cape Canaveral per scendere appunto sulla Luna. Con la Bibbia a bordo. Un evento seguito con trepidazione.    

Anche Benny, come  Bibi, ha tenuto a ribadire il leit-motiv della sua campagna elettorale: “Questa è una giornata di speranza, Il cambiamento è possibile” ha  affermato, insistendo sull’opportunità di dare alla nazione una nuova leadership, la sua. Sulla scia di una tradizione che ha visto capi militari, come Sharon, Rabin, Barak, concludere il loro prestigioso servizio come capi partito e primi ministri, alla guida politica cercata e ottenuta con il consenso elettorale. In più ha voluto aggiungere una nota personale dal valore emblematico per le famiglie ebraiche, quella di essere padre di quattro figli – Nadav, Noga, Nir e Noam –  “che rappresentano la nuova generazione, la stessa dei vostri figli”. Il futuro.

Comunque si concluda la competizione, che alla guida del paese arrivi uno dei due Benjamin (colui che sarà in grado di formare una coalizione sorretta dalla maggioranza dei deputati della nuova Knesset; e questa è la strada che il presidente dello stato Reuven  Rivlin dovrà percorrere) i problemi che si troveranno dinanzi sono gli stessi. Non soltanto quelli ereditati dall’evolversi delle situazioni negli ultimi anni, ma anche parecchi di quelli promossi o agitati da ciascuno di essi. Con più di una differenza: che Bibi ha maturato un’esperienza politica e di governo di cui Benny è digiuno. E poi che le priorità saranno dettate dalla natura delle coalizioni di cui saranno a capo.  

E qui si aprono alcuni  interrogativi sulla aggregazione dei partiti di sinistra da parte di Benny Gantz, tanto che alcuni analisti ipotizzano una coalizione tra Likud e Kahol Lavan. Infatti è stata sempre problematica, difficile, impervia, la coalizione cercata da Netanyahu con i partiti ultranazionalisti e religiosi. E queste elezioni sono state anticipate (da novembre) proprio per i dissensi tra il partito di Netanyahu e Yisrael Beitenu del russofono Avigdor Lieberman  

Il problema “numero uno” resta quello della sicurezza (sul quale Netanyahu ha sempre puntato, tanto da meritarsi il soprannome di Mr. Security, e per il quale Gantz comunque non è per nulla sprovveduto). Gli scenari sono quelli noti, di Gaza (dove impazzano fondamentalisti di Hamas sostenuti dall’Iran), del Libano meridionale (dove si rafforzano le mira ostili degli Hezbollah, alleati dell’Iran), della Siria (dove  si è rinsaldata la presenza iraniana e russa, a sostegno del regime di Bashar Al Assad). Insomma l’Iran è la potenza da tener costantemente d’occhio. Specie dopo la scoperta compiuta dai Servizi di sicurezza israeliani del suo deposito segreto, da dove sono riusciti a trafugare 50 mila documenti cartacei e 35 mila in 183 CD, sui suoi programmi nucleari segreti. Sicurezza da perseguire continuando la lotta al terrorismo, non solo di matrice fondamentalista islamica, ma anche nazionalista palestinese.

Sarà da consolidare quindi l’intesa già stabilita con molti paesi arabi sunniti del Golfo, a cominciare dall’Arabia Saudita, storici avversari dell’Iran sciita; e da custodire i rapporti privilegiati, non solo diplomatici, con Egitto e Giordania. Nonché di contrastare o contenere l’iniziativa politica e diplomatica in grado di essere espressa dall’Autorità nazionale palestinese, tuttavia in fase di stanca per i conflitti interni e in crisi per  gli insuccessi del presidente Abu Mazen. È sintomatico che nella campagna elettorale israeliana la pace, l’idea di due stati per due popoli, non è stata argomento di scontro. Gantz e altri esponenti del suo partito hanno evocato l’opportunità di una separazione dai palestinesi e di una conferenza con gli Stati arabi interessi alla stabilità regionale. Ma il mondo arabo appare oggi indebolito e i palestinesi abbandonati a se stessi.

Gli Stati Uniti resteranno  gli alleati privilegiati di Israele. Netanyahu ha fatto valere i successi conseguiti grazie ai suoi rapporti  con Trump: il riconoscimento prima di Gerusalemme capitale dello Stato, poi dell’annessione delle alture del Golan, di vitale importanza per la sicurezza della Galilea: nei giorni scorsi ha preconizzato l’annessione di una parte della Cisgiordania, verosimilmente dei grandi insediamenti ebraici, a cominciare dalla città di Maale Adumim alle pendici di Gerusalemme, sulla strada per Gerico, e del Gush Etsion tra Betlemme ed Hebron. Ma anche Putin dovrà continuare ad  essere interlocutore privilegiato  per  monitorare tutti gli scenari regionali e scongiurare possibili pericolose crisi. Infine Israele dovrà riservare molta attenzione alla situazione politica europea, non solo per combattere  il persistente diffuso antisemitismo ma anche per impedire o contrastare che sovranisti e populisti emergenti in parecchi paesi (fra cui gli italiani delle Cinque Stelle) trasferiscano nelle nuove istituzioni dell’Unione Europea (che saranno espresse dalle elezioni di maggio) i loro ostinati convincimenti ostili allo Stato ebraico.

Pur nella diversificazione delle iniziative illustrate nella campagna elettorale, restano sempre identiche le questioni importanti di politica interna, come il potere dei Rabbinati, il servizio militare obbligatorio degli ebrei ultra-ortodossi, l’accesso al Muro del Pianto dei riformati, le unioni matrimoniali civili, il trasporto pubblico locale nel giorno dello Shabbat.  Gantz ha auspicato una maggiore lotta alla corruzione e una valorizzazione delle minoranze, in particolare di quella araba e drusa, che pur inserite nella vita produttiva, culturale e amministrativa, si sentono sfiduciate. Esigenze che non dovrebbero essere disattese  da Netanyahu. Per il resto comune a questi due principali partiti, ma anche ad altri, sia della sinistra e della destra, sia dell’universo religioso protagonisti della vita  istituzionale, sarà l’impegno di mantenere l’alto grado di benessere di cui il paese oggi gode.