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EDITORIALE

Israele e Gaza la soluzione è una forza di pace

Nella Striscia di Gaza si continua a sparare e a  morire. Le milizie di Hamas lanciano razzi dalle zone abitate, l'aviazione israeliana bombarda quelle zone. Fino a quando? Perché non pensare alla presenza di una Forza di Pace internazionale sull'esempio del Libano?

Editoriali 31_07_2014
Israele e Hamas, quale pace?

Oltre 120 morti a Gaza in meno di ventiquattr'ore. È stata la giornata più dura, quella di martedì, nella Striscia. Da giorni si continua a parlare di cessate il fuoco, ma intanto si spara e si muore. I miliziani di Hamas continuano a far partire i loro razzi dalle zone densamente abitate di Gaza. L'aviazione israeliana continua a bombardare quelle stesse zone, dopo aver invitato la popolazione civile a fuggire non si capisce bene dove, visto che dalla Striscia è impossibile uscire. E il risultato lo hanno visto anche alla parrocchia latina della Sacra Famiglia, la parrocchia cattolica di Gaza, che si trova nel quartiere di al Zeitun, il più preso di mira nelle ultime ore: la scuola e una parte della canonica dove vivono le suore sono rimaste gravemente danneggiate. Le religiose, con i disabili che assistono, sono incolumi solo perché si erano rifugiate in chiesa. 

Alla fine ci troviamo oggi con oltre 1200 morti palestinesi, ma ormai anche 50 soldati israeliani uccisi. Con la Striscia di Gaza in ginocchio (Israele ha messo fuori uso anche la principale centrale elettrica)  e l'acqua potabile che ormai scarseggia. Ma i leader di Hamas continuano ad andare in Tv a dire che non ci sarà il cessate il fuoco se non alle proprie condizioni. E, paradossalmente, nonostante la sua potenza di fuoco sempre più devastante, è Israele ad apparire debole. Perché il punto è che questa guerra ormai è diventata difficile da fermare proprio perché entrambe le parti non hanno obiettivi militari, ma politici. Israele per cancellare Hamas avrebbe una sola possibilità: rioccupare del tutto la Striscia di Gaza; ma è un'ipotesi che solamente qualche voce esagitata all'interno del governo Netanyahu sostiene. 

Quando nel 2005 con Sharon Israele se ne andò da Gaza lo fece perché era a tutti ormai chiaro che rimanere nella Striscia era diventato uno sforzo insostenibile. Da allora la situazione è solo peggiorata: una rioccupazione oggi sarebbe ancora più dispendiosa non solo in termini economici, ma anche di spiegamento di forze. Così l'obiettivo ufficiale adesso è diventato smantellare i tunnel da dove partono i razzi e le incursioni dei miliziani in territorio israeliano. Ma non è un obiettivo che si raggiunge con raid aerei come quello che, nel campo profughi di al Shati, ha colpito la casa del leader di Hamas nella Striscia di Gaza Ismail Haniyeh: raid tanto simbolico quanto inutile, visto che gli israeliani sono i primi a sapere che Haniyeh se ne sta nascosto in un bunker sotterraneo inaccessibile.

Anche Hamas, però, non ha obiettivi militari da raggiungere: i suoi razzi generano paura in Israele, ma vengono in gran parte neutralizzati dall'Iron Dome. Di qui a «distruggere lo Stato d'Israele» ce ne corre. Il massimo a cui la “resistenza palestinese” può aspirare è andare avanti a sparare comunque e riuscire a uccidere un pungo di soldati di Tzahal. Ma è evidente che questo non può essere un obiettivo in sé; è solo una carta attraverso cui costringere Israele a scendere a patti. Per questo la trattativa sul cessate il fuoco è così difficile: entrambi sanno di non poter ottenere militarmente proprio nulla. Per fermare le armi hanno bisogno di ben altro: la possibilità di vendere alla propria opinione pubblica la tregua, che prima o poi arriverà, come una vittoria politica. Hamas ha ormai scoperto del tutto le carte sul proprio obiettivo: vuole la fine dell'isolamento di Gaza, lo stop al blocco delle sue frontiere al passaggio di persone e merci. In particolare guarda al valico di Rafah, quello con l'Egitto, diventato ermeticamente chiuso quanto quello con Israele dopo il giro di vite decretato dal generale al Sisi sui Fratelli musulmani e i loro alleati. 

Per Israele, invece, quale sarebbe la vittoria? Rispondere a questa domanda sta diventando sempre più difficile. Ufficialmente si parla di demilitarizzazione della Striscia, ma è un obiettivo del tutto irrealistico. Più passano i giorni e più sembra ripetersi la storia della guerra del Libano del 2006; in quel caso ci volle una Forza di Pace internazionale sul confine per permettere a entrambi di fermarsi salvando la faccia. Otto anni dopo quei soldati, compreso il contingente italiano, sono ancora lì, garanti di quella che non è nient'altro che una tregua. E se si cominciasse a pensare di ripetere la stessa cosa anche al valico di Rafah?