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IRAQ

Iran: rappresaglia senza morti. Gli europei si ritirino

L'Iran ha lanciato la sua rappresaglia. Senza fare morti, avvertendo prima il governo iracheno, lasciando capire di non voler l'escalation. Resta il problema dei contingenti alleati (anche italiani) in Iraq, che non sono intesi per combattere una guerra asimmetrica contro l'Iran. È il caso di ritirarli.

CHI ERA SOLEIMANI di Laura Cianciarelli

Esteri 09_01_2020
La base di Al Assad, una delle due colpite dagli iraniani

Una risposta devastante ma al tempo stesso molto limitata quella scatenata dall’Iran sulle due basi americane in Iraq di Erbil e Ain el Asad, nel nord e nell’ovest del paese.

Devastante perché le basi sono state colpite da 22 (o forse 35) missili balistici a corto raggio Qaim e Fateh lanciati con ogni probabilità dal territorio iraniano: armi contro le quali le forze americane e della Coalizione non hanno difese in Iraq, dove i militari alleati sono schierati per dare assistenza e addestramento alle truppe di Baghdad e non per combattere guerre convenzionali. I missili balistici iraniani, gestiti dai Pasdaran, hanno vendicato l’uccisione del generale Qassem Soleimani con un’azione bellica eclatante, battezzata Operazione “Martire Soleimani”, ma al tempo stessa limitata e quasi simbolica dal momento che i missili non hanno provocato vittime tra le truppe americane, alleate o irachene. Prima il premier britannico Boris Johnson, poi il presidente statunitense Donald Trump, hanno confermato che non si sono registrate perdite tra le truppe americane e della Coalizione, mentre il governo iracheno ha fatto sapere di essere stato preavvertito da Teheran circa l’imminente attacco e probabilmente anche circa gli obiettivi che sarebbero stati colpiti.

Evidente l’intento iraniano di evitare vittime tra le forze di Baghdad (la presidenza e il parlamento iracheno hanno comunque condannato il bombardamento iraniano che ha leso la sovranità del paese) ma appare chiaro che avvertire gli iracheni significava informare anche gli statunitensi, che operano fianco a fianco con le truppe di Baghdad all’interno delle basi. Difficile si sia trattato di una “leggerezza”. Molto più probabile che l’Iran abbia voluto avvertire indirettamente Washington e la Coalizione, i cui comandi hanno avuto il tempo di mettere al riparo le truppe, i mezzi e i velivoli.  Teheran salva così la faccia e “vendica” Soleimani, ma non produce seri danni alle forze americane in Iraq puntando così a scongiurare un'ulteriore contro-rappresaglia di Trump che porterebbe la crisi sull’orlo di un conflitto in tutta la regione del Golfo.

Non a caso i Pasdaran stessi hanno ammonito che eventuali risposte armate americane provocherebbero attacchi missilistici contro le basi statunitensi, i paesi arabi del Golfo Persico e Israele. Lo stesso Trump del resto ha evidenziato nel suo discorso che l’Iran sembra voler smorzare le tensioni. La strada per ammorbidire la crisi (la de-escalation invocata da Boris Johnson) sembra quindi tracciata anche se quanto è accaduto negli ultimi giorni cambia radicalmente lo scenario per i Paesi che affiancano gli Usa nella Coalizione anti-Isis. Quasi tutti i contingenti europei hanno già attuato o stanno attuando piani per trasferire il proprio personale militare in Kuwait o in Giordania. Solo Italia, Francia e Gran Bretagna escludono al momento il ritiro delle forze schierate in Iraq nonostante il 5 febbraio il parlamento di Baghdad abbia approvato una mozione che chiede la fine dell’Operazione “Inherent Resolve” e il rimpatrio di tutte le forze straniere guidate dagli Stati Uniti.

Del resto nel 2014, dopo la proclamazione del Califfato da parte di Abu Bakr al-Baghdadi, governi e parlamenti europei approvarono, anche in Italia, una missione di supporto alle forze governative irachene per sconfiggere lo Stato Islamico, non certo per combattere una guerra asimmetrica contro l’Iran. Al di là degli aspetti politici, a consigliare il ritiro delle forze occidentali dall’Iraq contribuiscono anche valutazioni tecnico-militari. I reparti alleati sono per lo più logistici o composti da elicotteri, istruttori e consiglieri militari: poche le forze combattimento mentre le unità sono schierate sul terreno per appoggiare i militari di Baghdad, non per operare su un campo di battaglia.

Se nella strategia di Donald Trump l’omicidio di Soleimani aveva l’obiettivo di creare una frattura tra Iraq e Iran, il risultato raggiunto sembra invece essere l’opposto. Se fosse la Coalizione a lasciare l’Iraq, al governo di Baghdad non resterebbe altro solido alleato che l’Iran. Inoltre la responsabilità dello sfaldamento della Coalizione anti-Isis ricadrebbe esclusivamente sugli Stati Uniti, che hanno agito contro le milizie sciite irachene e ucciso il generale Suleimani senza consultarsi con gli alleati. Un ulteriore elemento di frattura che contribuirà ad allargare le due sponde dell’Atlantico.