Eroe martire o terrorista, chi era realmente Soleimani
Per gli iraniani è l'eroe e martire che ha sconfitto l'Isis ed espanso l'influenza dell'Iran in tutto il Medio Oriente. Era un personaggio carismatico la cui influenza era seconda solo a quella dell'ayatollah Khamenei. Per chi lo ha subito, però, era un terrorista sanguinario. Anche per i cristiani iracheni, che ora sperano in un po' di pace.
C'è un abisso che separa la sconfitta dell'Isis, avvenuta anche grazie alle milizie iraniane, e la difesa dei cristiani in Iraq: un ruolo che alcuni, in queste ore, vorrebbero attribuire proprio al generale Qassem Soleimani, ucciso in un recente raid americano. Si tratta, però, di un equivoco. Nel coro che si alza unanime contro l'intervento Usa in Iraq prevale la versione secondo cui le comunità cristiane irachene avrebbero da poco “rialzato la testa”, ed ecco avanzare lo spettro di una nuova minaccia, provocata questa volta dall'intervento americano nel Paese mediorientale.
Non c'è dubbio che le milizie sciite nel mirino di Trump abbiano combattuto contro lo Stato Islamico negli scorsi anni, e che la sconfitta dell'IS abbia portato almeno tre vantaggi alla comunità cristiana in Iraq: la fine della minaccia fisica islamista, la possibilità di tornare nelle proprie terre e di vivere la dimensione della fede senza persecuzioni incombenti. Ma i fatti appaiono più complessi. Non è per difendere i cristiani che Soleimani è intervenuto in Iraq contro l'Isis, sebbene la sua attività abbia portato anche a questo innegabile risultato. Piuttosto, gli obiettivi di Soleimani erano scongiurare l'ascesa del “nemico sunnita” ai propri confini, contrastando una formazione che già aveva colpito in territorio iraniano, e costruire un proprio avamposto in un territorio strategicamente rilevante, sulla scia di una politica regionale già collaudata in Siria e Libano.
Ma chi era davvero Soleimani? Spesso evocato come il “generale ombra”, “martire vivente” o “eroe nazionale”, in Iran Soleimani è considerato una figura quasi mitica, alla quale sono stati attribuiti la maggior parte dei successi di Teheran nella regione: dalla riconquista della Siria a favore di Bashar Al-Assad alla sconfitta dello Stato Islamico in Iraq. Per molti “secondo” soltanto all'Ayatollah Khamenei e - nonostante il suo costante rifiuto a concorrere per le cariche politiche – possibile futuro leader politico dell'Iran, Soleimani ha consacrato la sua vita alla carriera militare, diventando uno scaltro stratega e un abile esecutore.
Proveniente da una famiglia umile di contadini, le sue capacità militari sono state premiate nel 1998 dall'Ayatollah Khamenei, che lo ha nominato comandante della Forza Quds. Sul piano personale, un'occasione di riscatto, che gli ha consentito di ascendere rapidamente, fino ad essere collocato tra gli astri nascenti del Times del 2020. La sua figura, pur rimasta nell'ombra per molti anni, ha attirato l'attenzione internazionale con la partecipazione nella guerra in Siria e con la promessa - fatta pubblicamente nel 2014, poco dopo la proclamazione del Califfato - di sconfiggere l'IS in tre anni.
In milioni hanno preso parte al suo corteo funebre e, anche dopo il decesso, Soleimani continua a “lavorare” per il suo Paese, divenendo “il martire per eccellenza”, il fulcro intorno al quale ricompattarsi, dopo mesi di tensioni interne. Una sorta di santificazione collettiva, non solo iraniana. In Iraq, l'ufficio del Primo Ministro lo ha definito un “martire, che ha guidato le grandi vittorie contro lo Stato Islamico”. Ma non va dimenticato che le capacità del generale nell'espandere l'influenza iraniana nella regione – stabilendo legami dal Libano allo Yemen – non erano passate inosservate nemmeno oltreoceano, tra gli alti circoli militari statunitensi, nei quali era considerato un “leader indiscusso”.
Una figura controversa, dunque: da un lato, un “leader carismatico”, tenuto in alta considerazione in Siria, Iraq, Libano e Yemen, dall'altro un “terrorista designato” dagli Stati Uniti, ritenuto responsabile di operazioni che avrebbero causato la morte del 17% del personale statunitense nella regione. Secondo il Pentagono, Soleimani sarebbe stato la “forza centrifuga” dietro la vasta rete di intelligence militare dell'Iran. In altre parole, avrebbe fornito all'Iran gli strumenti necessari per ingaggiare una guerra asimmetrica contro gli interessi americani in Medio Oriente, reclutando e addestrando i militanti islamisti per attaccare gli asset americani in Iraq, Afghanistan e Siria e organizzando attacchi contro gli alleati americani nella regione.
Un “sanguinario” anche secondo Peter Burns, capo delle relazioni governative dell'organizzazione In Defense of Christians. “Per decenni, il generale Soleimani e le Forze Quds hanno provocato il caos tra i cristiani in Iraq, Siria, Libano e Iran” - ha dichiarato Burns - “Preghiamo che il suo decesso ponga fine all'epoca del terrorismo e dell'instabilità”. Il timore di queste ore, tuttavia, è che le ritorsioni possano colpire proprio le minoranze religiose, in particolare quella cristiana, già decimate dallo Stato Islamico. A destare preoccupazione non è solo la possibilità di attacchi diretti, ma anche l'esodo di cristiani dall'Iraq dovuto alla mancanza di adeguate condizioni di sicurezza.