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REGIME ISLAMICO

Iran, la condanna a morte come strumento di terrore

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Iran, tre uomini, che avevano partecipato alle proteste contro il velo islamico sono stati giustiziati all’alba di ieri, nella città di Isfahan. Hanno subito un processo farsa e sono stati torturati per estorcere una confessione di omicidio. Il regime islamico usa la pena capitale per terrorizzare gli oppositori. 

Esteri 20_05_2023
Saleh Mirehashemi, uno dei tre condannati a morte

Iran, Saleh Mirehashemi, Majid Kazemi e Saeed Yaqoubi sono stati giustiziati all’alba di ieri, 19 maggio, in un carcere della città di Isfahan. Le proteste contro il velo e contro l’oppressione della Polizia Morale e della Guardia Rivoluzionaria si sono fiaccate, o comunque non fanno più notizia. Ma la repressione del regime islamico continua, come prima e più di prima.

I tre uomini impiccati ieri sono molto probabilmente innocenti. Sono attivisti, hanno almeno partecipato alle manifestazioni contro il regime. Ma le autorità di Isfahan li hanno accusati di un crimine molto grave: aver assassinato due membri delle forze paramilitari Basij e un agente delle forze dell'ordine, colpiti mortalmente durante una delle manifestazioni contro il velo, il 16 novembre scorso.

Tuttavia, il verdetto del tribunale, almeno secondo una foto della sentenza resa pubblica dalle famiglie degli imputati, è quello di "guerra contro Dio". I cosiddetti “nemici di Dio” sono i dissidenti del regime islamico. Inoltre c’è da dire che i tre imputati non hanno mai accettato l’accusa di omicidio, nemmeno durante le confessioni pubbliche delle loro colpe, trasmesse dalla televisione di Stato iraniana.

E sì che, gli aguzzini hanno fatto veramente il possibile per cercare di far loro confessare. Amnesty International afferma che sono stati sottoposti a tortura fisica e psicologica, prima del processo. Le fonti hanno riferito ad Amnesty International che i tre uomini sono stati arrestati senza un mandato. Sono stati letteralmente sequestrati, poi torturati e costretti a rilasciare dichiarazioni incriminanti che hanno costituito la base dei processi penali contro di loro. Gli aguzzini avrebbero sospeso Kazemi a testa in giù, gli avrebbero mostrato un video in cui torturavano suo fratello, lo avrebbero sottoposto a finte esecuzioni e minacciato di uccidere i suoi fratelli.

I condannati hanno lanciato un ultimo appello, scrivendo un messaggio che poi sono riusciti a far uscire dalla prigione il 18 maggio, l’ultimo giorno prima dell’esecuzione. “Non lasciate che ci uccidano. Abbiamo bisogno del vostro aiuto”, chiedevano in questa lettera, scritta a mano. Nelle settimane precedenti, in un messaggio audio, sempre proveniente dall'interno della prigione di Dastgerd, dove i tre uomini erano detenuti, si sente Kazemi dire: “Giuro su Dio che sono innocente. Non avevo armi con me. Loro continuavano a picchiarmi e mi ordinavano di dire che quest'arma era mia. Ho detto loro che avrei detto tutto quello che volevano, ma li ho supplicati di lasciare in pace la mia famiglia”.

Organizzazioni per i diritti umani affermano che le autorità iraniane utilizzano le esecuzioni per cercare di instillare la paura nella società più che per combattere il crimine. Amnesty International ha calcolato, nel rapporto annuale uscito il 16 maggio, che le esecuzioni capitali in Iran sono salite a 576 nel 2022, rispetto alle 314 dell'anno precedente. Quest’anno, secondo fonti delle Nazioni Unite, le esecuzioni sono già state 209 nei primi cinque mesi del 2023. Il maggio è, finora, il “mese più sanguinoso”. L’aumento sensibile delle esecuzioni dimostra come siano legate alle proteste contro il velo, anche se finora sono solo sette, dall’inizio dell’anno, le persone condannate a morte e impiccate per reati correlati alle manifestazioni. Tutte le altre sono per altri reati comuni, soprattutto per spaccio di droga. Ma come nel caso di Saleh Mirehashemi, Majid Kazemi e Saeed Yaqoubi, le accuse formali possono celare la volontà di punire, in modo molto arbitrario, chiunque partecipi o sia sospettato di partecipare alla protesta.

Nella repressione sono coinvolti anche i cristiani, in quanto minoranza religiosa. Lo scorso anno si è registrato un aumento significativo del numero di cristiani iraniani arrestati e detenuti nella Repubblica islamica. I 134 cristiani arrestati nel 2022 per questioni legate alla fede sono più del doppio dei 59 registrati nel 2021.