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SCENARI

Iran e Russia, c'è poco da votare

Ahmadinejad contro Khamenei, praticamente una guerra in casa. Presidenziali russe: il trionfo annunciato di Putin.

Attualità 02_03_2012
Manifestazione in Iran

Le elezioni presidenziali in Russia (domenica 4 marzo) e quelle parlamentari in Iran (oggi, 2 marzo) hanno qualche aspetto in comune e vengono osservate con attenzione in Occidente per i possibili sviluppi che il loro esito potrebbe imprimere alle crisi in atto in Medio Oriente. In Russia il vincitore è già stato annunciato con ampio anticipo poiché Vladimir Putin ben difficilmente potrà essere minacciato da avversari quali il comunista, Ghennadi Zyuganov, il leader liberal democratico Vladimir Zhirinovsky, quello di Russia Giusta Sergei Mironov e il miliardario Mikhail Prokhorov. Tutti gli istituti demoscopici, incluso il più attendibile Levada, danno Putin al 66 per cento o più di preferenze che gli consentiranno di tornare al Cremlino questa volta per sei anni dopo i quattro di gestione concordata a tavolino con Dimitri Medvedev, destinato probabilmente ad avvicendare Putin nel ruolo di premier.


Un risultato che, se verrà confermato dal voto nelle 90 mila urne aperte attraverso 12 fusi orari in tutta la Russia, ridimensionerà la portata delle contestazioni e la forza di un’opposizione alla “zar” che anche ieri ha denunciato pesanti brogli a San Pietroburgo con presidenti di seggi corrotti o minacciati. A dare una mano a Putin potrebbero aver contribuito gli Stati Uniti che nelle ultime settimane hanno attaccato pesantemente il premier russo sia sul piano diplomatico che mediatico. Attacchi un po’ sopra le righe che hanno consentito allo scaltro Putin di accusare non senza fondamento Washington di ingerenza sbandierando la minaccia di un’America che punta a gettare la Russia nel caos privandola del suo “uomo forte”.

Gli errori dell’Amministrazione Obama, intervenuta nel dibattito elettorale con tempi e modi che hanno avvantaggiato Putin invece di danneggiarlo, hanno poi dato il destro al giornale comunista Pravda per una pesante ironia contro Hillary Clinton che aveva attaccato il veto di Mosca alla risoluzione dell’Onu contro il regime siriano. “La Clinton è spregevole e appare mascolina, genere camionista probabilmente completo di tatuaggi, insolente, incoerente e incompetente. Ora capiamo Bill" ha scritto la Pravda.

Think-tank e analisti anglo-americani non hanno poi risparmiato commenti, paper e rapporti tesi a definire ormai indebolita la leadership di Putin, condannata ad esaurirsi presto, ma solo in futuro capiremo se si tratta di valutazioni ponderate o di analisi tese a influenzare il voto russo. Il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha lamentato in particolare il finanziamento dei gruppi di opposizione a Vladimir Putin, favorito per tornare al Cremlino. "I giorni in cui alla Russia venivano date lezioni e fatte prediche sono finiti", ha affermato Lavrov in un'intervista alla Rossiyskaya Gazeta.


La minaccia statunitense e della Nato è un tema di nuovo (comprensibilmente) ricorrente in Russia complice la guerra libica, il tentativo occidentale di far cadere il regime siriano, lo schieramento di armi antimissile in Europa considerate minacciose da Mosca e la nascita di governi i europei, in Grecia e Italia, imposti dall’esterno e non eletti dai cittadini. Questioni che in Russia hanno aumentato la percezione di minaccia esterna cementando i consensi intorno a Putin, che infatti ha avuto buon gioco nel promettere un programma basato su “baionette e figli alla Patria” durante una campagna elettorale caratterizzata dall’annuncio di un massiccio riarmo pluriennale per 600 miliardi di euro e di sostegni finanziari alle famiglie per riportare in positivo l’indice della natalità in Russia.


Se in Russia i giochi sembrano fatti, in Iran la partita per il rinnovo del Parlamento viene giocata tutta all’interno del regime teocratico islamista tra i tradizionalisti legati alla Guida Suprema Alì Khamenei e i fondamentalisti del presidente Mahmoud Ahmadinejad che si contendono anche il controllo dei pasdaran ( i Guardiani della rivoluzione islamica) e dei Basij, milizie interne impiegate per la repressione interna. Un voto che non vede presenti né forze riformiste né i movimenti liberal democratici confluiti nella cosiddetta Onda Verde che fu protagonista delle elezioni del 2009 ma che rappresenta una nuova tappa della faìda interna al regime che si concluderà forse l’anno prossimo con la sfida diretta alle elezioni presidenziali tra Khamenei e Ahmadinjad.


Intanto ben 2 mila dei 5.395 candidati a occupare i 290 seggi parlamentari, sono stati respinti dal Consiglio dei Guardiani, l'organo della Repubblica Islamica che ha il compito di esaminare l'idoneità degli aspiranti deputati secondo criteri di fedeltà alla costituzione, alla Guida Suprema e alla religione islamica. L’organismo censorio, in mano a Khamenei, ha liquidato anche molti candidati di Ahmadinejad ma se il confronto interno appare piuttosto duro, anche nel caso iraniano le minacce e le sanzioni statunitensi e occidentali dovute al programma atomico rischiano di far andare alle urne anche parte di quei 48 milioni di elettori che di certo non sostiene il regime. Come in Russia si sprecano in questi giorni i proclami bellicosi o tesi a  mostrare la forza militare come l’annuncio del lancio di un nuovo satellite o i moniti dell’ammiraglio Ali Fadavi, comandante della Marina dei Pasdaran secondo il quale se gli Stati Uniti attaccassero l’Iran “subirebbero una catastrofe economica e militare".  La minaccia esterna viene utilizzata per aumentare l’adesione al voto e Khamenei si è detto certo di un'alta affluenza che costituirà uno "schiaffo alle potenze arroganti".

Il tema delle pressioni e aggressioni straniere tiene banco in Russia come in Iran, Paesi del resto alleati sul piano militare ed economico e impegnati insieme a difendere il comune amico Bashare Assad in una Siria sempre più isolata anche all’interno del mondo arabo. Le elezioni di questi giorni difficilmente modificheranno l’approccio di Mosca e Teheran alle crisi del Golfo e siriana. Semmai è più probabile che le posizioni di contrasto alla strategia filo-sunnita di Washington e dell’Occidente si radicalizzino ulteriormente in Iran e inducano la Russia a sostenere con maggiore determinazione Teheran e Damasco anche per difendere il suo “ventre molle” (il Caucaso) dal dilagare del jihadismo sunnita e dalla penetrazione statunitense già radicatasi in Georgia.