Ipocrisia del consenso informato per vaccini obbligatori
Una contraddizione incredibile: il vaccino resta una scelta volontaria e vincolata al consenso informato, ma il Super Green Pass impedisce una vita normale a chi non si vaccina, eliminando anche l'alternativa del tampone. Lo Stato ci sta dicendo: «Ti obbligo a vaccinarti; ma mi devi rilasciare il tuo espresso consenso scritto e firmato».
A soli due mesi di distanza dal provvedimento che ha reso obbligatorio il possesso del Green Pass per tutti i lavoratori, con decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 24.11.2021, è stato introdotto un nuovo strumento per contrastare l’epidemia: il c.d. Super Green Pass o Green Pass “rafforzato”, rilasciato alle sole persone vaccinate o guarite dal Covid-19. Si tratta di un provvedimento (l’ennesimo decreto legge) che inasprisce le misure restrittive già in vigore per i non vaccinati, estendendo a partire dal 15 dicembre l’obbligo vaccinale – senza la previsione dell’alternativa del tampone (antigenico o molecolare) – alle categorie del personale amministrativo della sanità, del personale scolastico e delle forze dell’ordine (e del soccorso pubblico), e imponendo a partire dal 6 dicembre il Green Pass “rafforzato” per una serie di attività (spettacoli, eventi sportivi, ristorazione, discoteche, feste e cerimonie). Il Green pass viene mantenuto come condizione e requisito del diritto al lavoro, nonché introdotto per l’accesso negli alberghi, e per l’utilizzo del trasporto ferroviario e del trasporto pubblico locale (autobus, tram, metropolitane e via dicendo). La stessa validità del Green pass (per i vaccinati) viene ridotta da 12 a 9 mesi, sulla base delle nuove evidenze di perdita di efficacia del vaccino.
Quest’ultimo provvedimento adottato dal Governo – che rafforza la previsione dell’obbligo vaccinale e riduce la possibilità di sottrarvisi, eliminando l’alternativa del tampone per nuove categorie di lavoratori e per l’accesso a numerosi luoghi aperti al pubblico – mette in luce la vera “natura giuridica” del Green Pass, ossia quella di rappresentare una misura che impone - in via indiretta o attenuata - un obbligo vaccinale.
Questa evidenza logico-giuridica era chiara da tempo, sin dalla “creazione” dello strumento del Green Pass. Ed infatti, se il Green Pass può essere ottenuto, in alternativa alla vaccinazione, a seguito di un esito negativo al Covid-19 del tampone, è pur vero che a codesto rimedio è stata attribuita una efficacia e/o validità così limitata nel tempo (48 ore del test antigenico rapido e 72 ore del test molecolare) da indirizzare, condizionare, forzare la libertà di scelta del cittadino verso il vaccino. La vita di chi, in questi mesi passati, ha scelto di ottenere il Green Pass per mezzo del risultato (negativo) al tampone è stata resa di fatto molto difficoltosa per la necessità di ripetere con cadenza giornaliera alternata (ogni 2 giorni) trattamenti diagnostici (spesso peraltro fastidiosi, non di rado dolorosi) con un costo posto di volta in volta a carico del cittadino (e quindi certamente non trascurabile, seppure ad un prezzo calmierato); mentre il vaccino garantisce una validità del Green Pass di ampia durata (dodici mesi ora ridotti nove) ed è “gratuito”. A seguito dell’ultimo provvedimento approvato, la vita del soggetto non vaccinato è resa ancor più complicata (se non impossibile), per effetto dell’ampliamento dei casi ove è necessario il possesso e l’esibizione del Green Pass.
In un tale contesto normativo è evidente che la scelta viene a cadere quasi sempre per l’alternativa più favorevole rappresentata dal vaccino. Tuttavia trattasi di un consenso viziato e forzato da una diversa disciplina legislativa degli strumenti necessari per ottenere la “certificazione verde” (di gran lunga favorevole al vaccino). Un tale “consenso” non può certo rappresentare una volontà di scelta libera e spontanea del vaccinando. Il Green Pass introduce - in via indiretta (“obliqua” o “trasversale” potremmo dire) - una scelta obbligata verso il vaccino, poiché minacciata dalla privazione e/o limitazione di diritti e libertà in misura sempre crescente, e dunque, di fatto, un obbligo vaccinale mascherato da una apparente libertà di scelta.
Anzi, vi è di più. Il potere pubblico, con l’introduzione del Green Pass, applicato in via graduale e progressiva per categorie di persone o per l’accesso a servizi e/o attività via via sempre più ampie, ha raggiunto e ottenuto un doppio risultato: 1) evitare l’imposizione diretta e generalizzata dell’obbligo vaccinale; 2) “estorcere” il consenso del vaccinando alla somministrazione del trattamento sanitario.
Ed infatti, pur avendo introdotto l’obbligo vaccinale nonché l’obbligo del possesso del Green Pass (di “base” o “rafforzato” che sia), il Governo non ha, per contro, eliminato l’obbligo di acquisire il consenso informato all’atto della somministrazione del vaccino anticovid-19. Infatti, è rimasto in vigore – persino con l’avvio della somministrazione della terza dose di vaccino (cd. Booster o dose di richiamo) – l’obbligo di sottoscrivere il modulo del consenso informato, col quale il “vaccinando” dichiara di aver letto la nota informativa del vaccino redatta dall’AIFA, di essere stato reso edotto sui benefici e sui rischi della vaccinazione, e di dare il proprio assenso alla somministrazione, con tanto di firma da rilasciare in calce al modulo. Un contesto normativo ed ordinamentale paradossale da un punto di vista etico e giuridico, che si può esprimere in questi termini: «ti obbligo - sia direttamente sia indirettamente per mezzo del Green Pass - a vaccinarti; ma mi devi rilasciare il tuo espresso consenso scritto e firmato». A ben vedere una contraddizione di diritto e di fatto, che molti hanno accettato, perché “minacciati” della privazione e/o restrizione dei propri diritti e libertà.
Questo quadro giuridico ambiguo ed incoerente dell’azione del Governo - che da un lato obbliga alla vaccinazione (in via diretta o in via mediata attraverso lo strumento del Green Pass) e dall’altro pretende che il vaccinando esprima e rilasci un consenso libero e informato alla somministrazione del vaccino - sembra ledere almeno due disposizioni costituzionali: il principio espresso dall’art. 13 comma 1 Cost., secondo cui “La libertà personale è inviolabile”; e l’art. 32 comma 2 Cost. a tenore del quale “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Ed infatti se la Costituzione ammette il caso della legge impositiva di un trattamento sanitario obbligatorio (per motivi straordinari di tutela della salute pubblica che esamineremo), per contro non consente nessuna violazione del diritto alla libertà personale, di cui il consenso libero e informato al trattamento sanitario è una declinazione, e non consente che venga meno il “rispetto della persona umana”, la cui dignità sarebbe lesa da un assetto normativo che esigesse contestualmente il rilascio di un consenso libero a fronte di un obbligo imposto dall’autorità.
O vi è libertà personale (e di cura) o vi è obbligo: pretendere che un obbligo sia oggetto di libero e spontaneo consenso, oltre che essere insensato e irragionevole, stride coi principi di libertà personale e rispetto della dignità della persona umana previsti nella nostra Carta costituzionale. Ed infatti l’art. 32 comma 2 Cost. garantisce il diritto a non prestare alcun consenso ad un trattamento sanitario a meno che l’obbligo sia, espressamente, previsto da una legge. La Costituzione non ammette che l’ordinamento giuridico possa partorire una tanto banale contraddizione, in fatto e in diritto, gravemente lesiva della libertà e della dignità della persona.