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MEDITERRANEO

Inviato in Libia, ultima carta del governo Conte

Il governo italiano, spiazzato dalle rapide mosse di Ankara contro l'Italia, ha annunciato la nomina di un “inviato speciale” in Libia. Misura tardiva che rischia di essere inutile, se si sceglie la persona sbagliata. E se non è sostenuta da una strategia coerente

Politica 31_12_2019
L'ultimo incontro fra Sarraj e Conte

Il governo italiano, spiazzato dalle rapide mosse di Ankara tese a screditare il ruolo di Roma nella sua ex colonia, ha annunciato col ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, la nomina di un “inviato speciale” in Libia.

Una decisione importante anche se forse tardiva considerato che proprio a causa del disinteresse dell’attuale governo Roma ha perso ormai molta vice in capitolo a Tripoli. Oggi più che mai però l’Italia ha bisogno di essere autorevolmente rappresentata sulla nostra ex “quarta sponda”, specie di fronte alle iniziative turche che puntano a sobillare i sentimenti anti-italiani denunciando l’inconsistente aiuto militare di Roma a Tripoli o addirittura il “tradimento” attuato dagli italiani “schierandosi con Haftar” sulla questione delle zione economiche esclusive marittime. Obiettivo strategico che rientra certamente tra le priorità della Turchia, determinata a rimettere piede nel possedimento ottomano da cui venne cacciata proprio dagli italiani nel 1912 e a inviare truppe regolari e miliziani siriani suoi alleati a sostegno del GNA di Tripoli per combattere le truppe del generale Khalifa Haftar.

Certo a dare una mano ai programmi anti-italiani dei turchi hanno contribuito le distrazioni del governo Conte 2 e l’ingenuo annuncio della prossima visita a Roma di Haftar, resa nota dal ministro Di Maio al termine della sua missione-lampo in Libia la scorsa settimana. Affermando la propria egemonia militare e politica e una determinante influenza sul GNA, Ankara potrebbe puntare a breve termine al ritiro dei militari italiani dalla Libia e successivamente ad acquisire, con proprie compagnie e a spese dell’ENI, le concessioni per l’estrazione di gas e petrolio in Tripolitania. Senza contare il ricatto che Erdogan potrebbe esercitare sull’Italia minacciando di lasciare via libera ai trafficanti di esseri umani anche sulla “rotta libica” come già minaccia di fare su quella balcanica.

Un contesto minaccioso che rende urgente il tentativo italiano di riguadagnare terreno in Libia attraverso una proposta negoziale credibile e la nomina di un inviato speciale. Sul piano negoziale la proposta di Roma è quasi evanescente poiché l’Italia punta sul ruolo di Ue e partner europei attraverso la conferenza di Berlino di cui non è stata ancora fissata la data e a cui non è certo partecipino rappresentanti libici di rilievo. La nomina dell’inviato speciale, invece di essere immediata è attesa per “le prossime settimane”. Forse troppo tardi in base al principio che tergiversare è sempre un errore, ma in ogni caso sarebbe ancor più grave affidare l’incarico a figure di ex politici o diplomatici quali quelle recentemente riportate dai media: Franco Frattini, Staffan De Mistura, Giampiero Massolo, Piero Fassino… Nomi noti in Italia ma sconosciuti in Libia e che non si sono mai occupati direttamente della lunga crisi nella nostra ex colonia.

Per tentare di recuperare un po’ di terreno e di credibilità l’Italia ha invece bisogno di nominare un “inviato speciale” che sia noto al di là del Mediterraneo, stimato per i prestigiosi incarichi ricoperti in passato e rispettato a Tripoli e Misurata come a Bengasi e Tobruk. Elemento quest’ultimo ancor più necessario tenuto conto che, come annunciato da Di Maio, l’inviato speciale risponderà direttamente al ministro degli Esteri. Una limitazione ingenua che dimostra l’ulteriore superficialità del governo Conte 2.

Se si volesse davvero influire sugli eventi e dare credibilità al nuovo incarico, l’inviato speciale dovrebbe rispondere al presidente del Consiglio: circostanza che ne avrebbe reso più autorevole il ruolo presso i libici. Per tutte queste ragioni le figure più idonee a ricoprire l’incarico di inviato speciale sono l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti e l’ex direttore dell’Agenzia informazioni e Sicurezza Esterna (AISE) Alberto Manenti. Il primo ha gestito da titolare del Viminale i rapporti con tutte le fazioni e le autorità libiche, conosce bene il premier di Tripoli Fayez al-Sarraj e il generale Haftar, e persino i capi delle tribù del Fezzan. Rapporti grazie ai quali Minniti ottenne risultati importanti nel rallentare i flussi migranti illegali e nel consolidare i rapporti col GNA di Tripoli. Manenti, che è nato a Tarhouna (non lontano da Tripoli), ha diretto l’intelligence tra il 2014 e la fine del 2018 guidando la complessa attività di relazioni sviluppata dai nostri servizi segreti in questi anni di continua emergenza in Libia collaborando strettamente con i governi Renzi, Gentiloni e Conte e rapportandosi direttamente con tutte le autorità politiche e tribali della Libia.

Quella dell’inviato speciale in Libia è forse l’ultima carta che l’Italia può giocare per conservare un ruolo dignitoso a Tripoli e difendere i nostri interessi nazionali. Sarebbe auspicabile giocarla al meglio puntando su figure di spessore ma soprattutto occorre avere un piano politico, un progetto credibile da assegnare all’inviato speciale. Progetto che il governo Conte 2 non sembra proprio avere né ha mai avuto.