Inquietudini e sogni nelle mostre di Ernst e Bosch
Due esposizioni affiancate a Palazzo Reale. Una del pittore fiammingo Bosch, capace di dipingere un mondo fantastico, con frequenti allusioni al peccato e al disastro del mondo che si allontana da Dio. L’altra del tedesco Ernst, altrettanto surreale ma con un messaggio più difficile da decifrare, per la varietà di tecniche e ideologie che seguì.
“Bosch e un altro Rinascimento” è il titolo della mostra - aperta fino al 12 marzo 2023 - sul grande pittore fiammingo Hieronymus Bosch, nato a Boscoducale nel Brabante neerlandese nel 1453 e morto nel 1516. Un artista vissuto in pieno tempo rinascimentale, ma che non corrisponde affatto ai canoni di quell’età artistica, il cui grande fulgore è ben incarnato dai nostri geni assoluti: Leonardo, Michelangelo e Raffaello.
Quello di Bosch è davvero un altro Rinascimento, alternativo e quindi lontano dal mito della classicità, che ci dimostra che esiste una pluralità di Rinascimenti, con centri artistici diffusi in tutta Europa. La fama di Bosch, infatti, il cosiddetto “fenomeno Bosch”, ha avuto origine proprio nel mondo mediterraneo, nella Spagna e Italia del Cinquecento, che apprezzarono il linguaggio fantastico e onirico del pittore del Nord diffondendolo, per poi farlo diventare modello figurativo e culturale persino a distanza di secoli. Addirittura il Primo manifesto surrealista di Breton riconoscerà nel maestro fiammingo “il padre fondatore del Surrealismo”. Ecco perché l’accostamento delle due mostre, quella di Bosch e quella di Max Ernst (di cui parleremo più avanti) risulta felice, visto che anche l’artista tedesco è profondamente attratto dalla potenza delle sue visioni interiori, che lo portano a sovvertire l’estetica tradizionale.
Il nome di Bosch evoca oggi un mondo fiabesco, surreale, allucinante e variopinto, “fatto di incubi, visioni notturne, strane creature mostruose, incendi apocalittici”. La prima sezione della mostra presenta il capolavoro Trittico delle tentazioni di sant’Antonio del Museo Nacional de Arte Antiga di Lisbona. Uno spettacolo fantastico di mostri e creature inverosimili, costruzioni architettoniche improbabili e un allucinante incendio notturno sullo sfondo, in cui sant’Antonio appare più volte, decisamente provato, ma fermo nella fede in Cristo. Antonio dunque è vera sequela Christi, pur in un mondo diabolico. Bosch usava vari stratagemmi pittorici per denunciare la falsità di Satana, tra cui quello dell’inversione. Qui, nella parte centrale, al di fuori della nicchia in cui il santo si affida al Crocifisso, c’è un vecchio che accompagna una sorta di donna-pesce con bambino, a cavallo di un topo gigantesco: un riferimento irriverente e “alla rovescia” alla fuga in Egitto, quale solo può trovarsi in un mondo infernale, quello che tenta provocatoriamente il povero sant’Antonio.
Di grande potenza è anche il Giudizio finale del Museo di Bruges, in cui Bosch mostra un mondo perduto nel peccato. Il Giudizio finale, rappresentato nella parte alta dalla figura di Cristo, chiuso in una sfera quasi vitrea fra il coro degli angeli musicanti, in realtà è già evidente nella rappresentazione della terra nella parte inferiore, che appare come un vero inferno. In mostra altre opere di pittori coevi fiamminghi, italiani e spagnoli sono in qualche modo derivate da soggetti del maestro. Tra le altre i magnifici quattro preziosi arazzi boschiani dell’Escorial, tessuti a Bruxelles alla fine del Cinquecento. Come scrisse nel 1567 il viaggiatore italiano Ludovico Guicciardini nella sua descrizione di tutti i Paesi Bassi, Bosch fu “creatore molto ammirato e meraviglioso di immagini strane e comiche e di scene singolarmente stravaganti”, con frequenti allusioni al peccato, alla caducità della vita e alla follia dell’uomo che non segue l’esempio dei santi, nell’imitazione di Cristo. Perciò le creature fantastiche di Bosch, per lo più ibridi composti da parti umane, animali, vegetali e architettoniche, illustrano con efficacia il disordine disastroso del mondo, conseguenza del peccato di chi si è allontanato da Dio. Eppure molti visitatori di oggi guardano queste creazioni con divertita sufficienza, senza coglierne il richiamo per il nostro mondo ateo e presuntuoso.
Più difficile individuare un messaggio altrettanto chiaro per quanto riguarda Max Ernst, che nell’esposizione milanese (aperta fino al 26 febbraio 2023) viene presentato quale umanista in senso neorinascimentale. Lo storico dell’arte André Chastel vede in Ernst (1891-1976) “una reincarnazione di quegli autori renani di diavolerie tipo Bosch” e Marcel Duchamp ha rintracciato in lui “un inventario completo delle diverse epoche del Surrealismo”. In realtà l’artista tedesco sfugge a una qualsiasi definizione, perché nel suo percorso ha seguito ideologie e sperimentato tecniche pittoriche sempre diverse. “Il suo universo sfida di continuo la percezione tra stupore e meraviglia, combinando logica e armonia formale con enigmi impenetrabili, mentre arte e natura, bellezza e bizzarria coesistono magicamente”. Per Ernst, l’arte è “una messa in scena di una finzione”, infatti il tema fondamentale per lui è proprio il rapporto tra immagine reale e percezione dell’osservatore. L’ispirazione dell’artista nasce dalla quotidianità, dalle strutture della natura, dalle illustrazioni tecniche, dall’arte extraeuropea, ma anche dal sogno e dal caso. Lo sguardo si estende ai limiti del visibile, anche grazie alla cultura sterminata di Ernst, appassionato di poesia, filosofia e scienze. Il pittore-filosofo tedesco vuole quasi fondare una nuova arte del vedere.
Il Crocifisso proveniente dai Musei Vaticani oppure Giustizia o Macellaio sono un esempio della libertà e profondità della sua visione. Dovrà trasferirsi a Parigi per esprimere tutte le sue potenzialità, scoprendo il mistero dell’eros fisico e spirituale con tutte le sue ambiguità, legate anche alla lettura di Freud. È affascinato dalla natura “come madre e sorgente di possibilità infinite”: per descrivere la potenza dei quattro elementi - aria, terra, acqua e fuoco - utilizza preferibilmente la tecnica del frottage (sfregamenti della matita su un foglio premuto sulle venature delle assi di legno del pavimento). Ma la natura in seguito diventa per Ernst piuttosto un mondo selvaggio e primitivo, dai colori bellissimi, come in Agli antipodi del paesaggio (in basso) o La città intera che suggeriscono una visione da dormiveglia, fonte di ispirazione di sogni e sorgente di libero pensiero. Ciò che conta per il pittore tedesco è il “piacere dell’occhio”, “del creare forme”, perché “i suoi occhi bevono tutto quanto rientri nel cono visivo”. Con uno sguardo però all’interiorità, per fornire via via nuove interpretazioni.
Con Ernst risulta più difficile l’approccio per il pubblico, ma resta valido l’invito a “vedere”, attingendo anche all’inconscio. Egli mantiene comunque un legame vivo col passato, come testimonia il misterioso Progetto per un monumento a Leonardo da Vinci, artista da Ernst ammiratissimo.