Inizia il cammino per la libertà
L'atmosfera del Purgatorio è completamente diversa: non si udiranno più le strilla e le urla dei dannati, ma si sentiranno soavi canti modulati all’unisono dalle anime purganti. C'è ora un popolo animato dalla speranza del Cielo e, perciò, lieto.
Nel canto primo del Purgatorio domina la dimensione marina già sin dall’apertura, quel magnifico proemio che apre la cantica con la metafora del mare: «Per correr miglior acque alza le vele/ omai la navicella del mio ingegno,/ che lascia dietro a sé mar sì crudele». Il poeta sottolinea che il lettore affronterà argomenti meno dolorosi e tragici, perché ora si tratterà «di quel secondo regno/ dove l'umano spirito si purga/ e di salire al ciel diventa degno».
Non si udiranno più le strilla e le urla dei dannati, ma si sentiranno soavi canti modulati all’unisono dalle anime purganti. Non si vedranno più solitari e statici personaggi, mediocri o grandi nello spirito, ma sempre individualisti e tristi, bensì si contemplerà un popolo coeso, in cammino, animato dalla speranza del Cielo e, perciò, lieto. Il paesaggio che appare a Dante fin da subito è spettacolare, descritto con versi di una dolcezza e soavità uniche: «Dolce color d’orïental zaffiro,/ che s’accoglieva nel sereno aspetto/ del mezzo, puro infino al primo giro». E ancora: «L’alba vinceva l’ora mattutina/ che fuggia innanzi, sì che di lontano/ conobbi il tremolar de la marina».
La bellezza del paesaggio risalta ancor più se confrontata con quell’«aura morta», cupa e dolorosa che ha «contristati gli occhi e ‘l petto» del poeta per alcuni giorni. Il sorriso ricompare sullo sguardo di Dante, così come lo stesso cielo sembra «rider» per la presenza di Venere mattutina e «goder» della presenza di «quattro stelle/ non viste mai fuor ch’a la prima gente». Queste quattro stelle (interpretabili forse come la Croce del Sud) sono visibili solo nell’emisfero australe e non furono mai viste da alcun altro, se non Adamo ed Eva, che abitarono nell’Eden ubicato sulla sommità del Purgatorio.
La dimensione del mare permarrà fino alla fine del canto primo, laddove Dante e Virgilio ritorneranno sulla costa dell’isola del Purgatorio per assecondare gli ordini di Catone e allora, in maniera sorprendente, leggiamo: «Venimmo poi in sul lito diserto,/ che mai non vide navicar sue acque/ omo, che di tornar sia poscia esperto./ Quivi mi cinse sì com'altrui piacque». Inequivocabili sono qui i richiami delle parole poste in rima («diserto», «acque», «com’altrui piacque») al canto XXVI dell’Inferno, come se l’autore volesse proporre una riflessione sul viaggio che lui sta compiendo affidandosi alla guida di Virgilio, supportato dalla grazia di Dio, e il viaggio di Ulisse, animato da un indomabile desiderio di conoscenza, ma in ultima analisi non affidato al volere divino. Dante ha, invece, imparato nel tempo che i meriti umani non bastano, che si deve riconoscere con gratitudine Colui a cui dobbiamo tutto.
Nel proemio della seconda cantica Dante chiede aiuto e ispirazione alle muse, in particolare a Calliope, la musa della poesia epica, colei che sconfisse le presuntuose piche, le figlie del re di Tessaglia Pierio, in una gara di canto e che vennero poi trasformate in gazze.
Il primo personaggio che Dante viator e Virgilio incontrano è il guardiano del Purgatorio, Catone l’Uticense. Appare come un vegliardo, solo, degno di riverenza e di ossequio, autorevole nello sguardo e nell’atteggiamento, illuminato dalle quattro stelle a cui si è già accennato sopra. In chiave simbolica le quattro stelle rappresentano le virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza). Se Catone è illuminato da queste, significa che la sua persona ha raggiunto il vertice dell’umano prima dell’incarnazione di Cristo, Catone è l’uomo in cui si sono concretate tutte le massime virtù umane.
Personaggio storico (Roma 95 a.C., Utica 46 a.C.), Catone ha militato nell’esercito di Pompeo durante la guerra civile scoppiata nel 49 a.C.. Filorepubblicano, amante della libertà, esempio di virtù stoica, Catone si suicida ad Utica, vedendo orami tramontato ogni possibilità di libertà, dopo che l’esercito di Pompeo viene sconfitto a Tapso nel 46 a.C. Dante mutua la figura di Catone dalla Pharsalia di Lucano, poeta che apprezza e che ritiene tra i massimi, come abbiamo appreso nel canto IV dell’Inferno ove si descrive il Limbo e Lucano compare tra i sommi poeti. Dante applica una clamorosa deroga a Catone. Come sappiamo, i suicidi sono collocati all’Inferno nel canto XIII, nella selva oscura ove abbiamo incontrato Pier della Vigna. Catone rappresenta un caso unico. Aderiva alla filosofia stoica, secondo la quale il saggio doveva in qualsiasi modo procurare il bene per la collettività. Soltanto nel momento in cui non gli fosse più consentito favorire l’affermazione del Logos nel mondo, a causa della situazione politica e della mancanza di libertà, al saggio era consentito il suicidio. In chiave storica il suo gesto può essere compreso in questa prospettiva.
Dante non ne fa un simbolo della libertà: nel simbolo, infatti, scompare la concretezza del termine e rimane solo il suo significato. Quando affermo che il leone che Dante incontra sulla salita del colle luminoso nel primo canto dell’Inferno è un simbolo, significa che rappresenta il peccato della superbia: il lettore si dimentica rapidamente della concretezza del leone e pensa che il poeta ha incontrato dinanzi a sé il grave ostacolo di quel peccato. Catone è ben più di un simbolo, è una «figura», secondo la famosa interpretazione del critico letterario Erich Auerbach (1892–1957).
Il concetto di figura ben rappresenta la nuova mentalità cristiana che pervade la cultura medioevale. «L’interpretazione figurale stabilisce fra due fatti o persone un nesso in cui uno di essi non significa soltanto se stesso, ma significa anche altro, mentre l’altro comprende o adempie il primo. I due poli della figura sono separati nel tempo, ma si trovano entrambi nel tempo, come fatti o figure reali; essi sono contenuti entrambi […] nella corrente che è la vita storica». Con queste parole il grande filologo tedesco descrive il concetto di interpretazione figurale.
Gli eventi dell’Antico Testamento sono, così, anticipazione, profezia, prefigurazione del Nuovo Testamento: l’antica Pasqua ebraica, che ricorda la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù di Egitto, prefigura la Pasqua cristiana che celebra la Resurrezione di Gesù Cristo e la conseguente liberazione dell’uomo dalla schiavitù della morte e del peccato. Questo tipo di lettura si applica non solo al rapporto tra l’Antico e il Nuovo Testamento, ma si estende anche a personaggi vissuti nell’età cristiana. Catone l’Uticense in vita è figura, ovvero prefigurazione, anticipazione del Catone guardiano del Purgatorio: gli è sempre stata così gradita la libertà, l’ha sempre ricercata tanto che per lei non ha disdegnato di rifiutare la vita.
Da subito il Purgatorio, regno della purificazione dal peccato, appare come la cantica della libertà. Vedremo la prossima volta l’incontro e il dialogo di Dante e di Virgilio con Catone l’Uticense. Capiremo, così, quali siano le condizioni indispensabili perché ciascuno di noi possa intraprendere il viaggio di Dante.