Infermiera non vaccinata sospesa: sarà risarcita del danno
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Sentenza a Firenze. Infermiera non vaccinata e sospesa per un anno. Il giudice riconosce la discriminazione e dispone il reintegro degli stipendi, condannando l'Asl a un risarcimento di 200 euro per ogni giorno senza lavoro. Decisivo il report Inail sui sanitari in malattia per covid che dimostra come il vaccino non abbia protetto dal virus.
Un’altra clamorosa sentenza, anche se di primo grado, ristabilisce la giustizia per almeno uno dei tanti sanitari sospesi e rimasti senza stipendio durante la campagna vaccinale. Arriva da Firenze dove il 20 novembre il giudice della seconda sezione civile Susanna Zanda ha dato ragione ad un’infermiera di Poggibonsi che non solo si è vista riconoscere tutti gli arretrati di stipendio che l’Asl presso la quale lavora da 40 anni le aveva tolto in quanto non vaccinata, ma riceverà anche un risarcimento significativo di almeno 70mila euro per il danno biologico, psichico e morale subito con quel provvedimento.
L’ordinanza si basa sul principio della discriminazione subìto dalla donna ed è stato argomentato dai suoi legali, l’avvocato Tiziana Vigni e Gianmaria Olav Taraldsen dello studio di Mauro Sandri.
La dipendente era stata sospesa dal 2 settembre 2021 fino al 31 dicembre di quello stesso anno e poi dal 15 giugno 2022 fino a 31 dicembre da una Asl toscana. Più di un anno senza stipendio per lei, che lavorava in ospedale dal 1985, improvvisamente privata dell’unica fonte di reddito che le consentiva di vivere.
Il giudice, nel dispositivo riconosce che la legge dello Stato con la quale l’Asl ha fatto scattare il provvedimento di sospensione era discriminatoria e fonte di danno risarcibile. È questo il giudizio che la toga fiorentina ha emesso sui DL dei governi Conte II e poi Draghi, che hanno lasciato a piedi migliaia di sanitari, medici, infermieri e operatori perché non si erano piegati al ricatto vaccinale.
Alla base della decisione, Zanda riconosce che quei decreti-legge, poi trasformati in legge dello Stato, hanno violato la Carta di Nizza sulla violazione della dignità umana (art 1) e l’articolo 19 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea che prevede persino la possibilità di un intervento nei confronti degli stati che attuino una discriminazione.
«Occorre domandarsi – scrive il giudice – se la richiesta di vaccino anti covid per poter lavorare presso l’azienda, quale nuovo requisito introdotto dal DL 44/2021 fosse inquadrabile come misura di “protezione sociale e tutela della salute”».
Per smontare il DL, Zanda ha rilevato che le uniche fonti da cui l’Asl, citata anch’essa in giudizio, ha giustificato il suo provvedimento, erano le attestazioni dell’Istituto Superiore di Sanità sull’efficacia dei vaccini anti covid. Ma «tali elementi – ha proseguito – sono autoreferenziali e non assurgono evidentemente a prove circa la sussistenza di valide ragioni del trattamento sperequato attuato dalla convenuta (l’infermiera ndr.) e non resistono all’efficacia probatoria dei corposi elementi forniti a supporto della condotta discriminatoria subita».
Quali?
È interessante notare che uno degli elementi su cui si basa il giudizio fossero i report dell’Inail sulle infezioni sul luogo di lavoro nel 2022. Proprio i lavoratori del comparto sanità, infatti, tutti vaccinati, hanno avuto la percentuale più alta di denunce per Covid 19 tra tutti i lavoratori, il 63,2% del totale.
Ne consegue, secondo il ragionamento del giudice, che il fatto che una percentuale così elevata di sanitari contagiati, pur in presenza di vaccino, smentisse l’affermazione contenuta nel DL 44/2021 e le attestazioni ISS ossia che i vaccini servono per proteggere dal contagio Sars Cov 2.
«Dunque – prosegue – i vaccini non solo non sono anti Sars Cov 2 e cioè non impediscono la catena del contagio, ma non impediscono nemmeno la malattia severa da Covid, le ospedalizzazioni e i ricoveri».
A questo si aggiunge anche una corposa letteratura scientifica citata in sentenza come gli studi sul Bmj del 2 agosto 2021, Lancet del 28 ottobre 2021 e Lancet Regional Healt del dicembre ’21. Tutti studi che «dimostrano la crescente rilevanza della popolazione vaccinata come fonte di trasmissione».
In conclusione: «Poiché il vaccino non aveva la capacità immunizzante attestata in modo non veridico nel decreto legge 22/2021 per giustificare le sospensioni dal lavoro di certe categorie di cittadini, non appare giustificato il trattamento sperequato che consente ai vaccinati di lavorare e che vieta invece di lavorare ai non vaccinati, che sono stati emarginati dalla società, privati della dignità del lavoro e della libertà dal bisogno»
Una discriminazione attuata dalla legge prima che dall’Azienda che ha eseguito la legge discriminatoria «privandola di un diritto naturale per un lasso temporale eccezionalmente lungo e senza valide ragioni gettandola nell’emarginazione e nel bisogno».
Così alla donna verrà riconosciuto come risarcimento del danno la somma di 200 euro a titolo di danno morale e psichico per ogni giorno di sospensione discriminatoria» oltre ai mancati stipendi con contributi e interessi.
Sodisfatto l’avvocato Mauro Sandri, che ora dovrà attendere le mosse dell’Asl per un eventuale ricorso e che alla Bussola dice: «La rilevanza di quella sentenza sta nell’articolo 28 del decreto legislativo 150 che chiarisce la discriminazione, ma l’elemento forte è sicuramente il report Inail che smonta le finalità del decreto legge 44/2021 poi convertito nella legge 76/2021 per i sanitari e 72/2021 per gli insegnanti».
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