Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sacra Famiglia a cura di Ermes Dovico
LA PIAGA

India, stupri di bambine: un problema di cultura

Un nuovo episodio di stupro di una bambina in India ha fatto riemergere il grave problema di un Paese in cui, nonostante la pena di morte, i dati parlano di 33.977 casi, in media 93 al giorno e in cui spesso le vittime sono bimbe, anche molto piccole. Ma poco si risolverà finché non cambierà la mentalità per cui è diffuso anche l’aborto delle femmine o il matrimonio con le bambine.

Attualità 28_04_2020 English Español

Il 22 aprile una bambina di sei anni è stata violentata e accecata in India, nello stato del Madhya Pradesh. La piccola è stata rapita mentre stava giocando con degli amici davanti a casa. Grazie a una segnalazione, è stata ritrovata dalla polizia la mattina successiva in una casa abbandonata del suo villaggio, Damoh, non lontano dalla sua. Aveva i polsi legati e ferite su tutto il corpo. La polizia l’ha portata al più vicino ospedale per le prime cure e poi a quello di Jabalpur dove è tuttora ricoverata. Le autorità del distretto di Damoh hanno subito annunciato una ricompensa di 10.000 rupie per chi desse informazioni utili ad arrestare l’autore del crimine. Seguendo una serie di piste, la sera del 23 aprile le forze dell’ordine hanno arrestato un uomo di 22 anni. La polizia ha rivelato che il giovane ha avvicinato la piccola e ne ha conquistato la fiducia offrendole una caramella. L’uomo ha confessato di aver cercato di cavarle gli occhi per non essere riconosciuto nel caso fosse sopravvissuta.

Per lui Uma Bharti, leader locale del partito di governo Bjp, ha subito chiesto la pena capitale. “Si tratta di un atto così disumano che fa orrore parlarne – ha dichiarato – il processo si deve svolgere con rito abbreviato e il colpevole merita la pena di morte. Preghiamo tutti per la vita della vittima”. Anche monsignor Felix Machado, segretario generale della Conferenza dei vescovi indiani, ha usato parole dure: “È un atto di violenza brutale e imperdonabile, una vergogna per l’umanità – ha commentato – quello che impressiona è che questa violenza avviene in un momento in cui il mondo è terrorizzato dalla pandemia, con la popolazione costretta a stare in casa. Questo rende tale crimine ancora più vergognoso”.

In India gli stupri sono frequenti. Sono stati da poco pubblicati i dati relativi al 2018: i casi denunciati alla polizia sono stati 33.977, in media 93 al giorno. Spesso le vittime sono bambine, anche molto piccole. Lo scorso 6 febbraio è stato arrestato a Delhi un uomo di 25 anni accusato di aver violentato una bambina di cinque anni nei pressi dell’ambasciata degli Stati Uniti dove il padre della piccola lavora come domestico. Uno dei casi più efferati si è verificato due anni fa sempre nel Madhya Pradesh. Una bambina stava dormendo per strada insieme ai genitori, venditori di palloncini, quando poco prima dell’alba è stata rapita, portata nel seminterrato di un edificio a pochi metri di distanza e stuprata a morte. Delle telecamere a circuito chiuso hanno ripreso il colpevole, un uomo di 21 anni lontano parente dei genitori, mentre arrivava in bicicletta, afferrava la bambina e la portava via. La piccola vittima aveva soltanto sei mesi.

C’è stato un caso di stupro che ha sollevato particolare sgomento e ha fatto insorgere il paese. Nel dicembre del 2012 a Delhi una studentessa di 23 anni tornava a casa in autobus insieme a un amico. Sei uomini anch’essi a bordo hanno picchiato con una sbarra di ferro entrambi e l’hanno violentata a turno. Poi li hanno scaraventati fuori, nudi e insanguinati. Dei passanti li hanno soccorsi e hanno chiamato la polizia. La ragazza è deceduta due settimane dopo.

Da allora la legge sullo stupro è stata emendata per includere comportamenti prima esclusi e nel 2018 il governo ha introdotto la pena di morte per chi violenta un minore. Ma i casi denunciati continuano ad aumentare. Si suppone che possa in parte dipendere dal fatto che più persone decidono di rivolgersi alla giustizia e che è aumentato il numero di donne nelle forze di polizia. Certo è che tuttora un elevato numero di vittime, forse la maggior parte, preferisce, per paura, vergogna, timore dello stigma o sfiducia, non denunciare la violenza subita. Solo un quarto dei casi giudicati si concludono con una condanna e i tempi dei processi sono molto lunghi. Tra il 2005 e il 2016 i casi conclusi sono stati tra il 12 e il 20 per cento. Per ovviare, nel 2019 sono stati avviati oltre mille processi con rito abbreviato.

La certezza della pena dovrebbe servire da deterrente, ma molti pensano che occorra un radicale cambiamento di mentalità, che le violenze continueranno finché le donne saranno considerate proprietà degli uomini. Nel 2013 l’arcidiocesi di Mumbai aveva lanciato una campagna intitolata “37 milioni di luci” per sensibilizzare la popolazione contro tutte le forme di violenza sulle donne. Era stata inaugurata accendendo nelle parrocchie 37 milioni di candele e lumi perché tanti in India all’epoca erano gli uomini in più rispetto alle donne: risultato in primo luogo dei milioni di bambine abortite e uccise appena nate per scansare l’onere di allevarle e dotarle al momento delle nozze, dell’elevato tasso di donne suicide e di quelle uccise in ambito domestico. La campagna “37 milioni di luci” intendeva contrastare la violenza sulle donne soprattutto educando al rispetto della dignità e della sacralità della persona umana: “crimini come lo stupro, gli omicidi per dote, gli attacchi con acidi, i delitti d’onore, i matrimoni con bambine sono all’ordine del giorno, la violenza contro le donne è antica come il patriarcato”.

“Non dire a tua figlia di non uscire, di a tuo figlio di comportarsi bene” si leggeva sui manifesti durante le proteste organizzate dopo lo stupro di gruppo della studentessa aggredita in un autobus. Il 20 aprile nella prigione di massima sicurezza di Tihar, a Delhi, sono stati giustiziati quattro dei sei stupratori. Il quinto è stato rinvenuto morto in carcere nel 2013, apparentemente suicida. Il sesto, minorenne all’epoca del reato, è stato scarcerato nel 2015 dopo aver trascorso tre anni in un riformatorio, il periodo massimo per un minore. Era dal 2015 che non venivano eseguite sentenze capitali.