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"GENDERCIDIO"

India, l'aborto selettivo fa strage di bambine

Lo rivela il nuovo censimento. E cala pure il tasso di crescita complessivo.
Il secondo Paese più popoloso del mondo è un disastro umanitario.

Attualità 04_04_2011
The Economist, 4 marzo 2010
 
In India la piaga dell’aborto selettivo continua a decimare la popolazione femminile. Si abortiscono infatti costantemente più femmine che maschi. Lo dimostrano le cifre raccolte nel censimento ufficiale per l’anno 2011 (il quinto dal 1872), pubblicato il 31 marzo 2012 (i dati ivi presentati sono aggiornati alla mezzanotte del 1° ottobre 2010).  E questo nel quadro complessivo di un declino demografico costante e senza precedenti per il subcontinente indiano.

La popolazione femminile del Paese, infatti, è in assoluto più bassa rispetto a quella maschile, e questo per effetto di lungo termine proprio dell’aborto selettivo; e se pure oggi, in generale, lo scarto fra i due sessi è di 940 femmine per ogni 1000 maschi - aumentato cioè dalle 933 per mille del 2001 -, un più attento esame delle statistiche rivela che nella fascia di età compresa fra 0 e 6 anni - quella cioè dove più facilmente si registra l’incidenza dell’aborto selettivo - lo scarto scende mediamente dalle 927 femmine del 2001 alle attuali 914. Il giornale economico più autorevole del modo, The Wall Street Journal, parla senza mezzi termini di «feticidio femminile», esito dell’«opera di gruppi che lavorano nel sociale», di gruppi particolari...

Nel complesso, l’India resta oggi il secondo Paese più popoloso del mondo: i suoi abitanti, 1,21 miliardi di persone, rappresentano il 17,5% della popolazione mondiale. Nello scorso decennio il Paese è aumentato di 181 milioni di persone, facendo registrare un aumento proporzionale lievemente inferiore a quello del Brasile, ma totalizzando alla fine una popolazione equivalente a cinque volte quella del Canada o, praticamente, a quelle di Stati Uniti, Indonesia, Brasile, Bangladesh, Pakistan e Giappone messe assieme (il solo Stato dell’Uttar Pradesh ha più abitanti di tutto il Brasile, e la popolazione dell’Uttar Pradesh assieme a quella dello Stato del Maharashtra è maggiore di quella statunitense). Nonostante queste cifre enormi, il gigante indiano sta però lentamente rimpicciolendo: il suo tasso di crescita declina anno dopo anno da decenni e quest’anno fa registrare addirittura la percentuale di aumento relativo più bassa - +3,90 % - dall’anno in cui il Paese ottonne l’indipendenza dal Regno Unito, nel 1947.

Curiosa del resto una notazione del censimento, che, riportando il numero totale dei maschi indiani oggi, 623,7 milioni, e quello delle femmine, 586,5 milioni, tiene  a precisare che il conto dei «maschi comprende sia i "maschi" sia gli "altri"»… (niente "altre"…)

Il nuovo censimento indiano ufficializza insomma un trend più che noto da tempo, e del resto già opportunamente denunciato: il "gendercidio" (o "genericidio"?), vale a dire la soppressione sistematica delle persone appartenenti a uno dei due sessi, in questo caso quello femminile, in questo caso per precisa strategia abortiva. L’espressione è stata coniata e resa celebre nel 1975 dalla saggista statunitense Mary Anne Warren (1946-2010), femminista e filoabortista, con il libro Gendercide: The Implications of Sex Selection (Rowman & Littlefield, Lanham [Maryland]) e oramai non è un mistero per nessuno che sia pratica comune in quei Paesi e in quelle culture dove la donna viene per diversi motivi considerata meno importante dell’uomo: perché inadatta ai lavori pesanti o alla guerra, perché da meno dei maschi, addirittura perché più costosa, per esempio in quei contesti sociali dove all’atto del matrimonio la famiglia della sposa è tenuta a una dote particolarmente onerosa. L’India, appunto, ma non di meno la Cina, dove il "gendercidio" è una pratica notoria e tradizionale che, nel contesto della politica che impone alle famiglie l’aborto dopo la nascita del primogenito, assume contorni mostruosi.

Una storia non nuova, appunto. Tra i primi in Italia a lanciare l’allarme fu Giuliano Ferrara ai tempi in cui, era il 2008, lanciò l’idea di una moratoria internazionale sull’aborto, ma lo sdoganamento giunse quando nella questione entrò prepotentemente The Economist - certo «non […] un bollettino umanitario», lo definì allora Il Foglio - che l’anno scorso, il 4 marzo 2010, decise di squarciare il muro di omertà su una piaga enorme sbattendo tutto opportunamente in copertina e gridando che è di almeno 100 milioni il numero delle bambine mancanti all’appello del mondo per via dell’aborto selettivo praticano in Cina e appunto o in India.

Insomma, quegli strumenti ecografici che hanno sconvolto la vita al più grande abortista del mondo, il medico statunitense Bernard N. Nathanson (1926-2011), facendogli mutare radicalmente indirizzo, sono gli stessi oggi utilizzati dagli indiani per scegliersi il figlio adatto sopprimendo le femmine. In India c’è un legge del 1994 - la Prenatal Diagnostic Techniques (Prohibitaion of Sex Selection) Act – che vieta il "gendercidio": adesso sono le stesse autorità governative a denunciarne al mondo la sconfitta.