In viaggio con papà, l'unico congedo che serve
L'Inps vuole obbligare i neo papà a 15 giorni di congedo obbligatorio nel primo mese per equilibrare la disparità con le mamme che sacrificano la carriera. Pura ideologia. Perchè i papà non allattano e soprattutto il loro ruolo è indispensabile quando i figli si affacciano alla realtà. Se proprio volete obbligarci fate così...
Quesi simpaticoni dell’Inps hanno pensato di spararla grossa: i neo papà dovrebbero essere obbligati e prendersi 15 giorni di congedo parentale per stare con i loro figli appena nati. Ecco un altro istituto che ha venduto l’anima all’ideologia gender. Il presidente dell’Inps Tito Boeri passa per grande economista e non c’è dubbio che lo sia anche perché per mettere mano in quel carrozzone che è l’istituto di previdenza sociale degli italiani ci vuole un bel cervello. Ma si vede che l’input del governo di adeguare le strutture burocratiche dello Stato alla ferrea legge dell’ideologia di genere è arrivato anche ai piani alti di via Ciro il Grande dove nei giorni scorsi l’hanno detta così: “Basta con il potere contrattuale degli uomini, dovete parificarvi alle donne, perché le madri sono penalizzate nella carriera. Obbligo di congedo parentale per 15 giorni nel primo mese e multe per chi non le rispetta”.
Una boutade? Non proprio anche perché il governo intanto sta pensando di inserire 2 giorni obbligatori in legge di stabilità.
La gran testa di Boeri non ha specificato se nel frattempo la moglie, poverina, con ancora le cicatrici del parto addosso, dovrà tornarsene in ufficio, però il messaggio è chiaro e sarebbe fuori strada chi pensa che il provvedimento serva davvero per dare qualche chance in più di carriera al gentil sesso. In realtà la sparata sembra preludere ad una propedeutica dell’adozione dei figli da parte delle coppie gay. Anche perché l’istituto della maternità è stato creato per permettere alla donna di allattare il proprio bambino e di creare con lui quel rapporto simbiotico così indispensabile alla nascita.
Non si vede che cosa potrebbe fare il padre 15 giorni a casa con il pupo se ancora non sa tirare un calcio che sia uno ad un Super Tele. Però è chiaro che quando ci saranno le adozioni per le coppie gay tutto cambierà. L’antifona segreta è questa ed è curioso che nessun papà, ormai lobotomizzato al pensiero unico, non si sia alzato per dire: “Scusi Boeri, ma che sta dicendo?”.
Ci sono corse in soccorso, dieci volte beate, le donne, che di queste angherie della burocrazia ne sanno ormai a iosa. Costanza Miriano ha ragione da vendere quando su La Verità di ieri ricorda che semmai il problema è dare più tempo alle madri per stare con i neonati anche perché i papà in quella primissima fase così delicata della vita dei figli sono più di inciampo che di utile. Certo, possono pulire il fasciatoio, ma questo lo fanno sovente anche quando tornano a casa dal lavoro. Non è che si possano sostituire alla mamma durante la poppata. A meno che non si dichiari incostituzionale la montata lattea e allora lì tutti saremo uguali e parificati al padrone del vapore.
Che poi: nelle prime settimane di vita del bebè le mamme non hanno occhi che per la loro piccola creatura, non è egoismo, è semplicemente fisiologia applicata al focolare domestico. I mariti meglio che stiano alla larga in quei giorni per non farsi prendere dalla sindrome dell’abbandono temporaneo della consorte.
Forse se proprio volete darci due settimane di duro lavoro familiare, retribuito e contribuito, non sarebbe meglio darceli quando il piccolo ormai svezzato inizia a guardarsi allo specchio alle prese con l’acne e i primi vagiti ormonali? Perché a ben vedere il nostro ruolo di padri cresce in maniera direttamente proporzionale alla loro età, fino a diventare insostituibile quando oltre alla tassa per la benzina dello scooter noi padri potremmo essere davvero utili a introdurre alla realtà del mondo i moccolosi. Di occasioni ce ne sono a iosa. Si tratta di una sorta di iniziazione nella foresta della vita, nella jungla del mondo.
Boeri, vogliamo provare? Due settimane di congedo in viaggio con papà. La prima settimana la passeranno al lavoro con noi. Perché è lì che si realizza lo svolgimento della nostra chiamata di genitori: il capo, il direttore, i colleghi, le colleghe, le sconfitte e i successi. I nostri figli vedono i genitori nel rincasare e non riescono a spiegarsi il perché dei pensieri, della stanchezza, dei sorrisi tirati. E cene scaldate di fretta e telefonate della buonanotte quando ormai in ufficio e a casa ed è scaduto il tempo supplementare. Potrebbe essere un ginnasio per diventare uomini: vedere che uomo è tuo padre, che fatiche porta avanti tutta la settimana, che stress, che relazioni umane intesse e che amore mette in quello che fa per l’amore di figli ingrati e meravigliosamente preziosi come è lui.
Una settimana al lavoro con tuo figlio, seguendo i tuoi ritmi, vivendo le ansie e le speranze, comprendendo come ci si rapporta tra adulti, per che cosa vale la pena affannarsi tutto il giorno e quanti e quali commissioni svolgere prima di arrivare a casa con lo sguardo perso e la cravatta slacciata. Ma felice.
La seconda settimana invece sarebbe educativo dedicarla a coltivare le passioni di papà: per conoscere qualche cosa di lui, per intuire il bambino che ancora si cela dietro le prime rughe, per scorgere che cosa c’era prima che arrivassi tu, per scoprire che quella miscellanea di emozioni e sentimenti culminata con mamma, aveva un'origine che è la stessa tua. Sport, arte, viaggi. Qui la scelta è ad libitum. Ricordo il primo viaggio in Sudamerica con mio padre e mio fratello: un avventuroso on the road scorrazzando in lungo e in largo tra deserti cileni e pampe argentine. E alla fine arrivare là, a Buenos Aires e poter finalmente mostrare con soddisfazione ai suoi figli: “Io abitavo qui e qui ho fatto le scuole elementari”.
In fondo a un padre non è chiesto altro che introdurre alla realtà nel mondo dando criteri e corazze per attrezzarsi a diventare uomini. Raccogliendo l’amore instillato dalla madre e facendolo maturare in un progetto, anzi, nel progetto che ogni creatura scopre davanti a sé con l’aiuto di guide esperte e spaventate come te. Chi meglio di un papà può farlo dato che ha sognato e si è arrampicato sul sicomoro prima di te? Chi ha una chitarra elettrica e chi calcava le scene, chi in due set sbrigava la faccenda e chi si beveva l’Appennino scollinando con quel Ducati da troppo tempo in garage. Chi ha scattato foto per catturare un eterno sempre in fuga e chi invece non ha fatto altro che rincorrere, tenacemente, un sogno sfuggito perché troppo acerbo o troppo grande, ma coltiva in segreto quella nostalgia come il più geloso dei successi.
I papà che sanno insegnare la vita, il coraggio, la responsabilità, che sanno adombrare il meraviglioso progetto che si cela in ognuno dei propri figli, ma hanno le gambe rattrappite dalla quotidianità. Quindi, caro Boeri, se vuole fare qualche cosa per le famiglie e non solo per le donne in carriera, che notoriamente sono anche delle stronze, ci dia questa chance da spendere quando lo riterremo opportuno. Non ci chiuda in casa alle prese con la ninna nanna: è un ruolo che non sappiamo fare perché semplicemente non è il nostro. E se proprio vuole obbligarci, ci lasci almeno scegliere i posti: in tribuna si vede meglio, ma in curva si dicono meglio le parolacce. Vogliamo scommettere?