«In Terrasanta va sempre peggio, solo il Signore può intervenire »
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«In questo momento terribile ognuno cerca solo il bene del suo popolo, ma come cristiani dobbiamo ricordarci che Gesù è morto per tutti, non solo per noi». Parla suor Aziza, religiosa eritrea comboniana, per 14 anni in Terrasanta.
«È difficile immedesimarsi nel dolore dell'altro, ma dobbiamo fare la fatica di comprendere che in quel contesto tutti soffrono, ebrei, cristiani e musulmani». A parlare è suor Aziza, al secolo Azezet Habtezghi Kidane, religiosa comboniana eritrea che ha trascorso quattordici anni in Cisgiordania e Israele, e da circa un anno è a Brescia dove lavora presso l’Ufficio migranti della dicoesi. In Terrasanta la religiosa si è dedicata al servizio dei più poveri, tra cui le tribù beduine e i richiedenti asilo provenienti dall'Africa, spesso vittime della tratta di esseri umani.
La incontriamo al Meeting di Rimini, dove ha partecipato all’incontro di apertura il 22 agosto – Madri per la pace – insieme a due madri, israeliana e palestinese, che hanno entrambe perso un figlio nel conflitto: la palestinese Layla al-Sheik, che ha perso un bimbo di sei mesi nella seconda Intifada, e l'israeliana Elana Kaminka, madre di un giovane soldato ucciso il 7 ottobre 2023.
Suor Aziza, come cristiana e come consacrata come si è posta durante i suoi anni in Cisgiordania con i suoi “vicini” ebrei e musulmani?
Nella mia esperienza ho visto che la modalità di approccio più fruttuosa è rispettare l'umanità dell'altro, a prescindere dalla sua appartenenza religiosa: partire dalla sua umanità per vedere Dio in lui. Occorre in primo luogo custodire, proteggere l'umanità dell'altro, altrimenti non è possibile portarlo al Signore. Se credi nell'umanità, custodisci l'altro, senza distinzioni. In questo momento terribile ognuno cerca solo il bene del suo popolo, ma come cristiani dobbiamo ricordarci che Gesù è morto per tutti, non solo per noi. Questo l'ha capito molto bene il Cardinal Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, che è un vero costruttore di pace: pagando in prima persona, accoglie le sofferenze di tutti. È difficile immedesimarsi nel dolore dell'altro, ma dobbiamo fare la fatica di comprendere che in quel contesto tutti soffrono, ebrei, cristiani e musulmani.
Secondo lei c'è un motivo ultimo, escatologico per cui la Terra Santa è così martoriata? Ci sarà prima o poi redenzione a suo parere?
C'è sicuramente un motivo per cui questo sangue viene versato, anche se ora non lo capiamo.. A mio avviso solo il Signore può intervenire: prego che intervenga Lui a salvare le vite di questi innocenti, perché è palese che tutti gli sforzi che sono stati fatti, a qualunque livello, non sono serviti a niente, anzi le cose peggiorano ogni giorno di più. Manifestazioni in tutto il mondo, appelli, azioni diplomatiche: nulla è servito a fermare l'escalation di violenza. Con la mia amica israeliana Diddy avevamo costituito un'associazione, Kuchinate, per aiutare le centinaia di donne africane vittime di tratta, giunte in Israele ferite nel corpo e nell'anima, traumatizzate, violentate, ridotte in schiavitù (nel 2012 suor Aziza ha ricevuto negli Stati Uniti il premio TIP Report Hero Acting to End Modern Slavery in riconoscimento dei suoi sforzi per combattere il traffico di esseri umani, ndr). A causa del conflitto abbiamo dovuto chiudere l'associazione perché non riuscivamo più ad aiutare queste donne. Diddy, così combattiva, energica, volenterosa, ora è spenta, delusa, scoraggiata. Mi chiama ogni giorno al telefono: è piena di amarezza, e come lei tanti israeliani, tante persone di buona volontà come i Rabbini per i diritti umani, con cui ho collaborato. Poi c'è la mia amica Mouna, cristiana libanese sposata a un palestinese, che vive in Cisgiordania e soffre doppiamente: per il popolo del marito e per la sua famiglia in Libano, che dopo il 7 ottobre 2023 non ha più potuto visitare. È caduta in depressione, mi chiama e piange, chiede perché. Davanti a tante sofferenze parlo con il Signore, gli chiedo di intervenire, perché a mio avviso non c'è altra soluzione.
A proposito dei richiedenti asilo che arrivano clandestinamente in Israele attraverso il Sinai dal continente africano, soprattutto da Eritrea, Etiopia, Sudan: dopo aver sopportato ogni genere di violenza da parte dei trafficanti qual è il loro destino nello Stato Ebraico?
Il loro destino è vivere in un limbo: non hanno futuro, né per loro, né per i loro figli. Sono privi di diritti, non possono lavorare, studiare, vengono utilizzati come manodopera per lavori umili e pagati pochissimo. Israele non li vuole: sono imprigionati, se escono dal Paese non possono rientrare e i loro cari non possono raggiungerli. Dopo il 7 ottobre 2023 questi richiedenti asilo hanno sostituito i palestinesi nei lavori di fatica, come la raccolta di pomodori nei campi, senza essere pagati: sono gli ultimi della società.