In marcia per la vita. Sfida alla cultura di morte
Scuotere le coscienze, quelle coscienze che considerano abortire fatto normale come respirare. Questo è alla fine il senso ultimo della Marcia per la Vita che quest’anno si svolgerà proprio l’8 maggio, festa della mamma. Se anche una sola vita sarà salvata grazie a questa iniziativa ne sarà valsa la pena. Insomma, un richiamo forte per tutti in un’epoca in cui l’aborto è diventato fenomeno assorbito dai più come pratica normale.
«Quando la notte guardo Miriam mi rendo conto che non poteva essere un grumo di cellule, ma solo mia figlia, solo Miriam, e per questo non potrà mai deludermi!». Queste sono le parole della mamma di Miriam, giovane studentessa universitaria che voleva abortire. La sua amica Sara, meno di un anno fa, le aveva fatto ascoltare una canzone intonata dal palco della Marcia per la Vita svoltasi a Roma nel 2015. La musica e soprattutto le parole di quella canzone hanno fatto breccia del cuore della giovane mamma che ha deciso di far nascere la figlia che custodiva in grembo.
Questo è alla fine il senso ultimo della Marcia per la Vita (clicca qui per il programma completo) che quest’anno si svolgerà proprio l’8 maggio, festa della mamma: scuotere le coscienze, quelle coscienze che considerano abortire fatto normale come respirare. Se anche una sola vita sarà salvata grazie a questa iniziativa ne sarà valsa la pena. Scopo finale della Marcia allora è quello di non aver più ragione di essere organizzata, di essere cancellata dal calendario dei pro-life, perché ormai gli anticorpi della società saranno in grado da soli di lottare contro tutte le minacce rivolte alla vita nascente e morente.
Il cardinal Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in una lettera di due pagine indirizzata a Virginia Coda Nunziante, portavoce della Marcia, benediceva questa sesta edizione con le seguenti parole: «di cuore mi congratulo con tutti coloro che si adoperano per difendere, promuovere e tutelare in ogni modo la vita umana, dato che questa si pone al vertice di quei beni che sono irrinunciabili e che costituiscono valori talmente essenziali da non consentire deroga, eccezione o compromesso a loro riguardo». Forse il minimo comun denominatore di ogni partecipante alla Marcia è proprio questo: la radicalità nel rifiutare qualsiasi compromesso sulla vita umana.
Un “No” tondo tondo che fa il paio con un “Sì” altrettanto rotondo nel difendere la vita in ogni circostanza. É il significato originario di ortodossia: un giudizio retto, cioè diritto, che non tollera deviazioni, che non deflette perché conscio che via più veloce e più pulita per arrivare alla verità è propria quella retta. Anche quest’anno i partecipanti verranno da mezzo mondo. Francia, Olanda, Spagna, Polonia, Romania, Germania, Svizzera, Croazia, Slovenia, Romania, Irlanda, Malta, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti: da questi Paesi molti pro-life l’anno scorso hanno marciato per le vie di Roma ed altrettanti lo faranno a maggio.
Gli organizzatori, proprio perché la Marcia si svolge un mese prima delle amministrative, vogliono sottolineare che l’iniziativa, così come è accaduto negli anni precedenti, ha carattere apolitico. Questo perché il suo Dna è soprattutto culturale e, si voglia chiudere un occhio sul termine un po’ impreciso ma forse suggestivo ed evocativo, esistenziale. La Marcia, infatti, da una parte vuole essere un richiamo per cuori e menti non solo dei credenti, ma di tutti coloro che hanno per l’appunto un cuore battente e una mente pensante. Ecco il perché di incontri culturali, conferenze e convegni che negli anni precedenti, come in quello presente, si sono svolti nei giorni prima della Marcia. Il valore “esistenziale” dell’iniziativa romana sta invece nel dare voce non solo a intellettuali, giuristi e alti prelati, ma anche e soprattutto a chi ha guardato in faccia l’aborto di persona. Donne che hanno abortito, bambini salvati dall’aborto con la presenza delle loro madri si alterneranno sul palco per raccontare la loro esperienza.
La Marcia riuscirà ad eguagliare il numero di partecipanti del Family Day? Quasi certamente no. Per quale ragione? Il motivo è duplice. Da una parte il popolo cattolico ed anche chi sta ai piani alti è arciconvinto che indietro non si torna e che la battaglia sull’aborto è persa in modo definitivo. Inutile chiamare a raccolta le truppe dato che da tempo tra capi di Stato maggiore cattolici e quelli abortisti è stato firmato un trattato di non belligeranza a tempo indeterminato che ha consegnato mani, piedi e le nostre intelligenze migliori al nemico. In cambio abbiamo avuto pillole abortive, fecondazione artificiale, divorzi istantanei e “nozze” gay. Non male. Al suo confronto il Trattato di Versailles è stato una benedizione per i tedeschi. Inutile a dirsi che questa anoressia culturale che ammorba lo spirito di rivincita deriva in ultima istanza dalla mancanza di fede di molti. Satana sarà pure il principe di questo mondo, ma è Dio il Signore della storia e a Lui niente è impossibile.
Altra ragione per cui i numeri della Marcia per la vita non saranno quelli del Family è quella a cui abbiamo fatto cenno prima: l’aborto è diventato fenomeno assorbito dai più, metabolizzato, interiorizzato come pratica normale. Il compianto Mario Palmaro, già membro del Comitato organizzatore della Marcia, ebbe a scrivere una volta che, di fronte alla spaventosa carneficina dell’aborto, le coscienze erano come anestetizzate, narcotizzate, in preda ad un attacco decennale di letargia morale. Ciò non è ancora accaduto – ma è probabile che accada in futuro – per i temi legati alla teoria del gender e all’omosessualità, temi che, almeno sino ad oggi, vengono percepiti da una buona fetta di mondo cattolico come un grave pericolo per l’istituto della famiglia. Ecco allora un appello a tutti coloro che si sono riuniti al Circo Massimo a gennaio: partecipate anche voi alla Marcia perché se ritenete abominevole uccidere la famiglia a maggior ragione dovreste giudicare altrettanto abominevole uccidere un bambino.