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PRIMARIE USA

In Iowa Romney vince, ma Santorum fa sognare

8 voti dividono il vincitore Mitt Romney da Rick Santorum. Oggi la "provincia americana" si conferma conservatrice e si scopre "più cattolica".

Attualità 04_01_2012
La campgana elettorale di Rick Santorum

 

Diciamolo pure: è Rick Santorum il vero trionfatore delle elezioni primarie Repubblicane dell’Iowa, che hanno visto l'affluenza record, per il Grand Old Party, di 122.255 votanti. Santorum ha infatti ottenuto il 24,54% dei voti, ovvero in pratica la medesima percentuale del "favorito di sempre" Mitt Romney (24,55%), che lo supera di soli 8 voti (30.015 voti ha totalizzato Romney, 30.007 Santorum). Romney guadagnerebbe così (stando alla stima dell'Associated Press (AP), ripresa un po' ovunque, ma ancora non dato ufficiale per via del complesso sistema di calcolo) 13 delegati per la Convenzione nazionale del Partito Repubblicano che in agosto, a Tampa, in Florida, designerà lo sfidante finale di Barack Obama, e Santorum 12. La rete televisiva CNN calcola però diversamente, assegnando 7 delegati a ciascuno dei due, mentre la rete televisiva MSNBC conteggia in un terzo modo ancora e conferisce 11 delegati a testa a Romney e a Santorum. Ciò accade poiché il criterio adoperato per l'assegnazione di detti candidati da parte del Partito Repubblicano dell'Iowa tiene conto sì dell'esito delle urne, ma non in maniera vincolante: l'assegnazione dei delegati si basa cioè sia sul voto sia su valutazioni di altro tipo.

Se infatti Romney partiva dal 25,19 % dei consensi conquistati nelle primarie dell'Iowa del 2008, quando giunse secondo dietro al 34,36 % di Mike Huckabee, Santorum partiva invece in pratica da zero. Nel 2006, quando perse malamente il seggio al Senato federale di Washington messo in palio dalla sua Pennsylvania, sembrava spacciato, ma poi ha saputo ricostruirsi nel silenzio e con quella semina che dà buon frutto.
Fino alle ultime settimane prima di questo avvio di primarie 2012 ancora pochi credevano che egli intendesse correre sul serio. I sondaggi lo hanno poi costantemente dato attorno al 10%, 1 o 2 punti percentuali in più o in meno a seconda dei poll, ma comunque sempre di molto indietro rispetto al veterano Newt Gingrich. E invece alla fine l'ordine di arrivo si è invertito. La rimonta della vigilia ha lanciato Santorum oltre ogni più rosea previsione e ha relegato Gingrich parecchio più indietro.

Il grande successo di Santorum dice peraltro una cosa chiara e netta: che finalmente, decisamente, risolutamente l’antiquato e frusto tabù anticattolico gli Stati Uniti d’America a maggioranza assoluta protestante lo hanno superato per sempre (e per favore nessuno citi John F. Kennedy [1917-1963]). Basta infatti un'occhiata al dato elettorale fornito dalle contee centrali dell’Iowa, quelle a maggioranza evangelical - che infatti nel 2008 premiarono l’evangelical Huckabee -, per rendersi conto del fatto che un gran numero di born-again Christians (ben il 54% circa dei cittadini dell'Iowa recatisi alle urne ieri) ha scelto di dare il voto proprio al cattolico Santorum, e pure convintamente.
La stessa occhiata panoramica rivela peraltro che la proposta Santorum ha convinto grandissima parte delle massicciamente conservatrici contee occidentali dello Stato, ma anzitutto e soprattutto che i consensi di Santorum sono omogeneamente e salubremente spalmati in modo omogeneo per tutto l'Iowa. Segno di riconoscimento certo di un uomo politico che piace, che convince e che così vince.

Dietro Santorum va poi debitamente ricordato anche il terzo classificato, Ron Paul, che ha ottenuto il 21,45% dei consensi pari a 26.219 voti ma nessun delegato, così come nessun delegato hanno ottenuto gli altri candidati in lizza nell'Iowa (ciò secondo i calcoli dell'AP, mentre la CNN attribuisce a Paul 7 delegati e la MSNBC 3). Paul non è infatti meno vincitore morale del confronto. Lui, il candidato più anziano, il 76enne amato soprattutto dai giovani, dato per finito da anni, è stato negli ultimi anni in grado di organizzare una rimonta che fa onore a lui e all'intero sistema democratico americano, corrotto e spurio come tutti, ma pure franco e cristallino com’è giusto.

Dietro Paul si staglia infatti la forza in piena del popolo dei "Tea Party" (cioè quelli dello Stato più minimo che si possa ipotizzare e della libertà economica più ardita che si possa immaginare uniti alla difesa del diritto alla vita più irriducibile e alla filosofia "Dio, patria, famiglia" più schietta, in una formula "l'America"). Oltre alla lotta, quel popolo sta con Paul ora seriamente pensando pure al governo. Per Paul si è del resto espresso il 48% degli indipendenti scontentati dai ceti dirigenti politici attuali di entrambi i partiti maggiori.

Cosa è successo insomma ieri? È successo che per tutto l’Iowa si sentiva gente dire: "Ehi Booob!... Tu voti Mitt, Ron o Rick?...". I caucus dell'Iowa rurale sono infatti non-binding: cioè di per sé non vincolano il Partito Repubblicano, che ieri li ha effettuati, nell'assegnazione dei delegati in palio. Funzionano più che altro da confronto aperto fra le parti, ma molto passa da lì. Tutti hanno infatti preventivamente biasimato il candidato Jon Huntsman che ha scelto di snobbarli (ha preso attorno allo 0,61%, corrispondente a 739 voti).

Hanno avuto diritto al voto solo i cittadini registrati nelle liste del Partito Repubblicano, ma chiunque ha potuto registrarsi sino a un minuto prima dell'inizio dei caucus (le 2 di notte ora italiana). Gli elettori si sono riuniti in edifici scelti ad hoc (chiese, biblioteche, etc.) con le loro magliette, le bandierine, i gadget partigiani, facendo propaganda anche a urne aperte. Qualche avviso, classica richiesta di contribuire generosamente alle spese "per battere Obama" e poi tutti hanno recitato il Pledge of Allegiance (il giuramento di fedeltà alla bandiera statunitense che contiene il motto del Paese, «One Nation under God»). Quindi sono stati ascoltati gli ultimi discorsi che pareva di essere al cinema o a una conferenza, e finalmente si è votato per scegliere i 25 delegati votabili dei 28 che andranno alla Convenzione nazionale di agosto (tre sono infatti i cosiddetti "superdelegati" ad appannaggio diretto del Partito Repubblicano). In pochissime ore, con lo spoglio delle schedine contate a mano in diretta CNN e i comizi di alcuni candidati che ancora proseguivano in contemporanea nelle stesse sedi elettorali, è arrivato il quadro finale.

Ebbene, dopo un testa a testa («too close to call») durato tutta la votazione e tutto lo spoglio la lingua semplice e cow-boy (che alcuni giudicano primitiva e pasticciona) dei caucus dell’Iowa (dove si vota "come facevano gli indiani") ha premiato Mitt Romney, Rick Santorum e Ron Paul, tre modi diversi ma complementari di essere Repubblicani conservatori oggi negli USA. Occorreranno ancora un paio di mesi buoni per dire se sarà questo il terzetto avviato a contendersi la nomination in agosto, e forse un altro paio ancora per definire il tandem finale prima che - ammesso che - uno dei due migliori rimasti fugga in volata solitaria: ma il risultato di oggi qualcosa di importante già lo dice.

Dice che il favorito (nei sondaggi) di sempre, Romney, può davvero farcela, ma che dovrà sudarsela. Il successo suo, quello di Santorum e quello di Paul debbono infatti reggere sulla distanza; e per questo genere di corsa è Romney colui che, nonostante tutto, sfoggia pur sempre il fisico (e il portafogli) più adatto.
Ma dice anche che comunque il credibile Romney, più amato dall’establishment Repubblicano della media degli altri candidati in lizza, dovrà costantemente fare i conti con i "Tea Party", cui invece non va a genio.

All’osservatore cattolico va comunque ricordato ancora una volta che sul fronte della difesa dei "princìpi non negoziabili", pur con differenze, Romney, Santorum e Paul passano tutti a pieni voti l’esame di maturità.

In generale, chiunque può ancora una volta notare come la retorica pubblica utilizzata dai candidati Repubblicani in queste primarie - tutti, non solo Romney, Santorum e Paul - rivendichi orgogliosamente e pubblicamente per sé l’appellativo di "conservatore" e non solo di "Repubblicano", ben sapendo la differenza che ci passa, soprattutto quella che passa per l’elettorato, e non avendo più vergogna di pensarlo apertamente (e l’osservatore cattolico ricorda bene che negli Stati Uniti l’espressione "conservatore" ha attinenza diretta non solo ma certamente anche con la difesa dei "princìpi non negoziabili"). Era successo durante la campagna elettorale per le elezioni di "medio termine" del 2010 sotto l’impulso decisivo del movimento dei "Tea Party" e quella spinta non solo non si è fermata, ma è diventata maggiorenne.

In specifico, al di là degli specchietti per le allodole troppo spesso messi di mezzo da certa stampa, le differenze e i dissidi fra i vari candidati odierni sono una gara a chi si mostra più conservatore degli altri, cercando di cogliere in fallo almeno uno dei contendenti. Da questo punto di vista, Romney è il candidato più debole (il feroce dissidio tra lui e Gingrich a urne dell’Iowa ancora aperte è tutto qui): ma a occhi conservatori Romney è debole più sul piano economico (non spregevole, ma secondario  e cioè strumentale rispetto a ciò che non è negoziabile) che su quello morale, giacché nessuno potrebbe pensare di descrivere l’ex governatore del Massachusetts come un liberal immaginando di passarla liscia (qualche grattacapo potrebbe darglielo il suo essere mormone, ma questa è un’altra faccenda). Negli States i conservatori che lo criticano lo chiamano "moderato", cioè ciò che da noi s’intende come il massimo del conservatorismo in politica...

Insomma, se alla fin della fiera dovesse comunque spuntarla il "debole" ma credibile Romney, chi ha a cuore i "princìpi non negoziabili" potrebbe tranquillamente rilassarsi in poltrona e dire: "Averne di 'deboli' e di 'moderati' così…".

Tutto è comunque già pronto per il prossimo appuntamento, fissato per martedì 10 gennaio con le primarie nello Stato del New Hampshire che possono comunque rimettere ancora in gioco chi in Iowa (di suo tradizionalmente sempre spaccato in un terzo di elettori Repubblicani, un terzo Democratici e un terzo "indipendenti") non ha fatto esattamente un figurone (Newt Gingrich 13,29% per 16.251 voti, Rick Perry 10,31% pari a 12.604 voti, Michele Bachmann 4,97% pari a 6.073 voti -e anche Jon Huntsman?). Il problema è solo che, mediamente parlando, il New Hampshire è assai meno conservatore dell’Iowa.

I dati forniti in questo articolo vengono aggiornati in base alla pubblicazione di quelli ufficiali.

 

- Primarie USA al via in Iowa. I Repubblicani sono ben piazzati