Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Natività della Beata Vergine Maria a cura di Ermes Dovico
MEDIO ORIENTE

Gaza, la possibilità di un cessate il fuoco è lontana

Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, parla di cancello aperto delle porte dell'inferno per gli abitanti di Gaza, mentre in Israele salgono le proteste contro Netanyahu. E gli Emirati Arabi avvertono: accordi di Abramo a rischio.

Esteri 08_09_2025
Israel Katz - LaPresse

È da oltre settecento giorni che l’esercito israeliano, dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, sta bombardando a tappeto la Striscia di Gaza. Devastazione e desolazione tra la popolazione sono pressoché totali, mentre le agghiaccianti parole del ministro della difesa Israel Katz (nella foto LaPresse), messe nero su bianco in un post su X il 5 settembre - «Il catenaccio è stato rimosso dalle porte dell’inferno e una volta aperto il cancello non verrà più richiuso» - pongono, definitivamente, una pietra tombale su quella martoriata terra.

Parole terrificanti rivolte ai disperati abitanti di Gaza ormai allo strenuo delle forze e privi di qualsiasi sostentamento, compresi i farmaci indispensabili per gli oltre 180mila feriti. Nella Striscia, la popolazione non ha più la forza di camminare, di spostarsi alla ricerca di un posto lontano dai bombardamenti. Non ci sono luoghi sicuri. Tutto è nel mirino delle forze armate israeliane. Ma Israele prosegue indifferente per la sua strada, sostenuto dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.

«Chiedo nuovamente che si fermi subito la barbarie della guerra e che si raggiunga una risoluzione pacifica del conflitto», ha detto lo scorso 20 luglio Leone XIV. Parole inascoltate dalla politica israeliana, che oltre alla distruzione di Hamas, non nasconde ulteriori mire su Gaza: la Grande Gerusalemme, ovvero un’area che dal cosiddetto «bacino sacro» (i luoghi santi alle tre religioni) si irraggia sin verso le colline che circondano la città sulle due direttrici principali, a nord verso Ramallah, e a sud verso Betlemme.

Nella Striscia la popolazione è affamata, una fame pianificata e concretizzata. Una recente indagine giornalistica, ovviamente smentita dal portavoce dell’esercito ebraico, rivela che in base ai dati in possesso alle forze armate israeliane, l’83% delle persone ammazzate sarebbe composto da civili. L'inchiesta è stata condotta dal quotidiano britannico The Guardian in collaborazione con due siti locali di informazione, l'israeliano-palestinese +972 Magazine e il sito in lingua ebraica Local Call.

Secondo questa inchiesta, lo scorso mese di maggio, l'Idf, in una sua banca dati, aveva registrato 8.900 combattenti di Hamas e della Jihad Islamica Palestinese come morti o presumibilmente uccisi dall'inizio del conflitto. In quel periodo, erano già 53mila i palestinesi morti negli attacchi israeliani, stando alle autorità sanitarie di Gaza. Ma migliaia e migliaia sono i bambini, con braccia o gambe amputate dalle schegge delle bombe. Oltre ventimila quelli uccisi. Non sono danni collaterali, usando una terminologia militare, bensì danni voluti e provocati dalle scelte politiche e militari dei governanti. L’errore di fondo del governo israeliano, ma forse non è un errore, è confondere tutta la popolazione palestinese con Hamas, sia nella Striscia che in Cisgiordania; ma la maggior parte dei palestinesi non s’identifica con Hamas.

Prima del 7 ottobre, un palestinese per recarsi da Betlemme a Gerusalemme o in un’altra città israeliana doveva richiedere e ottenere un permesso dalle autorità israeliane; lo stesso doveva fare un cittadino di Gaza, sia per entrare che per uscire, anche nei territori controllati dall’Autorità Palestinese. I religiosi, i volontari, i giornalisti o i medici, tutti dovevano richiedere l’autorizzazione ad Israele che spesso negava la concessione. Muoversi in Terra Santa – in territorio israeliano e palestinese – non era facile prima, e tanto meno lo è oggi. Le autorità israeliane rilasciano i permessi col contagocce. Analogo atteggiamento vale per i sacerdoti che si spostano per motivi di apostolato. 

Nella Striscia, a stragrande maggioranza musulmana, i cristiani resistono faticosamente. Hanno trovato rifugio nelle strutture delle due parrocchie, quella cattolica e quella ortodossa. A Jabalia e Shita, nel nord-ovest, vivevano alcune famiglie cattoliche. Sono state costrette ad allontanarsi, non si sa dove siano o se i loro componenti siano ancora vivi. Quelle che vivono nelle due parrocchie non vogliono abbandonare quei luoghi e finire in quella che Benjamin Netanyahu ha definito “zona umanitaria”. Nessuno di loro è coinvolto in questo conflitto. Confidano in Dio e nel loro Patriarca, e in futuro saranno i veri testimoni di quello che è accaduto in questo lembo di terra.

In Israele la popolazione continua a protestare, i giornali e le televisioni denunciano, i riservisti si rifiutano d’indossare la divisa per non essere giudicati corresponsabili di questa carneficina. In una dichiarazione congiunta di ieri, domenica, i ministri della Difesa, Israel Katz, e delle Finanze Bezalel Smotrich hanno annunciato l'istituzione di un comitato pubblico per la riabilitazione dei soldati israeliani feriti. Secondo il Ministero della Difesa si prevede, che entro il 2028, circa 100.000 feriti ricorreranno alle cure sanitarie, mentre 50mila subiranno forti traumi psicologici. Queste cifre comprendono i veterani di tutte le guerre, sia quelli feriti nell’attuale conflitto, che in quelli precedenti. Ma il governo estremista di Benjamin Netanyahu procede irremovibile.
E quello che resta del gruppo terroristico di Hamas, come risposta alle continue stragi perpetrate nella Striscia, pubblica un video di due ostaggi ancora in vita. La registrazione mostra Guy Gilboa-Dalal, oltre a lui c’è anche Alon Ohel, prigionieri a Gaza City, dove rimarranno nonostante l'offensiva di terra pianificata da Israele. È una risposta al ministro israeliano per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, esponente dell'estrema destra ultranazionalista, che chiede e pretende la piena occupazione di Gaza, sostenendo che questo sia l'unico modo per «riportare gli ostaggi in condizioni di sicurezza».  Sono due dei quarantotto prigionieri ancora trattenuti da Hamas, venti dei quali si ritiene siano ancora vivi.

«Se succede qualcosa, ne pagherai il prezzo», si leggeva su un cartello di protesta, lo scorso sabato sera, quando migliaia di manifestanti si sono radunati nelle vicinanze della residenza del primo ministro, a Gerusalemme, per una protesta programmata dal Forum delle famiglie degli ostaggi, accusando Benjamin Netanyahu di aver sacrificato i loro cari per conservare il potere. I parenti degli ostaggi innalzavano anche altri striscioni con la scritta “Governo dell'ombra della morte” e scandendo slogan del tipo: “Perché sono ancora a Gaza?”.

Ma anche in Cisgiordania c’è timore. I coloni proseguono la loro campagna di occupazione. La “linea rossa” sta per essere superata, lo si desume dalle recenti dichiarazioni del ministro dell’Economia, Bezalel Smotrich, che ha annunciato recentemente la creazione di un insediamento che dividerebbe la Palestina in due. «Per il governo degli Emirati Arabi Uniti, l'annessione rappresenterebbe il superamento della linea rossa, e ciò significherebbe che non potrà più esserci una pace duratura. Metterebbe fine all'idea d’integrazione regionale e segnerebbe la fine della soluzione a due Stati», ha dichiarato Lana Nusseibeh, viceministro per gli Affari Politici del ministero degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, che ha poi aggiunto: «Una simile annessione comprometterebbe seriamente lo spirito degli Accordi di Abramo. Fin dall'inizio - ha concluso -, abbiamo considerato questi accordi come un modo per continuare a sostenere il popolo palestinese e  la sua legittima aspirazione a uno stato indipendente. Questa era la nostra posizione nel 2020 e rimane invariata oggi».



MEDIO ORIENTE

La flottiglia che non fa il bene di Gaza

05_09_2025 Riccardo Cascioli

La grande operazione che vede coinvolte una cinquantina di imbarcazioni provenienti dai porti del Mediterraneo dirette a Gaza con un carico di aiuti umanitari, è in realtà un'operazione politica e propagandistica che fa l'interesse soltanto di chi la promuove.

La guerra con Hamas

Le nuove stragi di Israele e il grido dei patriarchi: “Resteremo a Gaza”

27_08_2025 Nicola Scopelliti

Nuove stragi di civili negli ultimi due giorni ad opera delle forze armate israeliane. Il cardinale Pizzaballa e il greco-ortodosso Teofilo III annunciano che sacerdoti e suore rimarranno a Gaza per aiutare la popolazione. Nuove proteste contro il governo Netanyahu. Incursioni delle Idf anche a Ramallah, sede dell’Anp.
- I cristiani nella “nuova Siria”, di Elisa Gestri