NEO-COLONIALISMO
In Costa d'Avorio la Francia gioca sporco
Ouattara, presidente imposto anche da Usa e Ue, è un islamista fattosi strada con brogli e violenze. La colpa di Gbagbo? Smarcarsi da Parigi.
Attualità
14_04_2011
La crisi politica in Costa d’Avorio è entrata in una nuova fase con l’arresto del presidente Laurent Gbagbo, catturato dalle milizie agli ordini di Alassane Ouattara, l’uomo che da quattro mesi il mondo considera legittimo presidente del paese. Le sue Forze Repubblicane hanno fatto irruzione l’11 aprile nella residenza presidenziale di Abidjan, dove Gbagbo era asserragliato, sbaragliando le Forze di difesa e sicurezza fedeli al presidente, dopo giorni di combattimenti. Non ci sarebbero riusciti senza l’intervento decisivo della Licorne, la missione militare francese presente in Costa d’Avorio da quasi 10 anni, che ha ripetutamente bombardato la residenza, riducendola in macerie.
Per questo il Fronte popolare ivoriano, il partito di Gabgbo, parla di colpo di stato e accusa la Francia di imporre con la forza Ouattara violando la legalità costituzionale. A sua volta Parigi sostiene di avere agito su mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che, con la risoluzione 1975, il 30 marzo aveva autorizzato interventi armati della Licorne e della missione ONU di peacekeeping ONUCI in difesa della popolazione. Siccome le Forze Repubblicane di Ouattara, armate dalla Francia e rafforzate da mercenari provenienti dai paesi vicini, si sono aperte la strada dal nord verso Abidjan lasciandosi alle spalle saccheggi, devastazioni e centinaia di vittime civili – si parla persino di persone bruciate vive – l’accanimento contro Laurent Gbagbo e il suo governo richiede una spiegazione.
Il 28 novembre 2010 la Commissione elettorale ha proclamato la vittoria di Ouattara su Gbagbo al ballottaggio delle presidenziali. In realtà la Commissione aveva perso la facoltà di farlo avendo superato il limite di tempo previsto dalla legge elettorale per comunicare i risultati. Il compito, sempre in base alla legge, era quindi passato al Consiglio costituzionale, il quale ha ribaltato l’esito aggiudicando la vittoria al presidente uscente, Gbagbo, e lo ha fatto dopo aver constatato che nel nord, sotto il controllo delle forze antigovernative Forze Nuove dal 2002, i brogli in favore di Ouattara erano stati tali da indurre a invalidare il voto in nove distretti. La Francia e, al seguito, Stati Uniti, Unione Europea, ONU e infine Unione Africana hanno ignorato quanto disposto dal supremo organismo ivoriano e si sono schierati dalla parte di Ouattara, accusando Gbagbo di minacciare la pace e l’unità con il suo rifiuto di cedere il potere: ecco perché la risoluzione 1975 si è tradotta in un attacco al presidente e ai suoi sostenitori.
Le accuse alla Francia non sono prive di fondamento. Molti in Costa d’Avorio sono convinti che è grazie al sostegno francese se nel 2002 i malumori delle etnie islamiche del nord hanno acquistato mezzi e forza sufficienti a tentare un colpo di stato militare. In effetti i rapporti tra l’Eliseo e Laurent Gbagbo si erano guastati fin da quando quest’ultimo, vinte le presidenziali nel 2000, aveva annunciato che la Costa d’Avorio avrebbe da allora in poi negoziato i propri rapporti commerciali senza più riservare un trattamento preferenziale all’ex potenza coloniale.
Fallito il colpo di stato, nel gennaio del 2003 Parigi aveva poi organizzato un tavolo di trattative a Linas-Marcoussis in vista di un governo di unità nazionale, ma proponendo di affidare a Forze Nuove i ministeri della Difesa e degli Interni: una condizione ovviamente inaccettabile per Gbagbo perché significava consegnare il comando di esercito e polizia ai propri avversari. Mentre proseguivano le iniziative diplomatiche internazionali, in Costa d’Avorio – ormai divisa in due, il nord in mano ai ribelli e il sud controllato dal governo – i combattimenti erano continuati. Nel 2004 un’incursione aerea governativa contro una base di Forze Nuove aveva provocato la morte di nove militari francesi. Parigi aveva reagito distruggendo gli aerei militari ivoriani. Poi aveva assediato il palazzo presidenziale di Abidjan e fatto strage della folla disarmata accorsa in difesa del presidente.
Adesso, l’epilogo: il mondo consegna a Ouattara un paese sostanzialmente diviso in due, in cui le tradizionali rivalità etniche e religiose si sono inasprite in anni di scontri e di crescenti difficoltà economiche. Ma quello che almeno metà degli ivoriani considera un colpo di stato, per Francia e Stati Uniti è il trionfo della democrazia e un monito ai dittatori.