In Cina il processo di sinicizzazione della Chiesa pone nuovi ostacoli alla fede
Per creare un cristianesimo con “caratteristiche cinesi” il governo cinese brucia i crocifissi, impone slogan, chiude le chiese domestiche e impone corsi di istruzione ai funzionari del partito
In Cina continua il processo di sinicizzazione della Chiesa. Le autorità bruciano o demoliscono le croci sui campanili e le sostituiscono con le bandiere rosse nazionali, espongono slogan socialisti e frasi che esaltano il partito sulle facciate delle chiese, eliminano immagini sacre e quadri a soggetto religioso. Continuano inoltre le consuete forme di persecuzione. Decine di chiese domestiche vengono chiuse. Nei mesi scorsi la Chiesa di Sion a Pechino, che riunisce 1.500 fedeli ogni domenica ed è una delle chiese domestiche più importanti della capitale, ha ricevuto ordine di inserire delle telecamere di sorveglianza. Al rifiuto della comunità, sono stati tagliati luce e acqua per un periodo. Inoltre sono stati chiusi sei centri satelliti della Chiesa. Infine, alcuni giorni or sono, la Chiesa è stata estromessa dalla sede che affittava legalmente con un contratto della durata di cinque anni. Inoltre una delle nuove norme relative al comportamento dei funzionari del partito comunista cinese impone che abbandonino le credenze religiose che possono danneggiare l’unità del partito. I funzionari che manifestano “forti credenze religiose” devono essere istruti. Se ciononostante non cambiano idea devono essere incoraggiati a lasciare il Partito e nel caso risultino violate delle leggi è previsto anche il perseguimento penale. Il controllo si estende anche al periodo del pensionamento. Tuttavia quasi il 25% dei membri del Partito crede in una qualche religione.