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Intervista / Paola Dalmonte

"Impedirci di pregare è un attacco al cristianesimo"

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"La risoluzione dell'Emilia-Romagna che ci vuole vietare di pregare davanti agli ospedali è un attacco al cristianesimo". La Bussola intervista Paola Dalmonte, che 26 anni fa proprio a Bologna iniziò con don Oreste Benzi i Rosari per la vita, diffusi in tutt'Italia. "Facciamo paura perché siamo fermi e miti, come don Oreste".

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Vita e bioetica 20_09_2025

“Impedirci di pregare è un attacco al cristianesimo”. Paola Dalmonte da 26 anni porta avanti il Rosario davanti al Sant’Orsola di Bologna e un paio di giorni fa, per la prima volta - dopo la risoluzione dell'assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna che impegna la giunta regionale a prendere provvedimenti contro i gruppi pro-life che si oppongono all’aborto -, si è chiesta che cosa accadrà se un giorno dovesse essere arrestata.  

Il suo impegno, che si è fatto testimonianza cristiana nel mondo, è iniziato nel 1999 con don Oreste Benzi, il Fondatore della Comunità Giovanni XXIII che si inventò, profeticamente, questo modo per opporsi agli aborti: pregare davanti alle cliniche e ai reparti dove si effettuano interruzioni di gravidanza. Un modello esportato in tutto il mondo e che nasce di fatto qui, 26 anni fa dalla testa e dal cuore di questo grande sacerdote e che oggi, proprio nella terra emiliana viene messo in discussione e osteggiato.  

Paola Dalmonte era lì, nel cortile dell’ostetricia dell’ospedale bolognese con don Benzi e un gruppo sparuto di volontari armati solo di Rosario il 12 maggio 1999 quando tutto partì, si prese le minacce del direttore sanitario che intimava di chiamare la polizia. E nel rispondere alla Bussola in questa intervista fa capire che la decisione della Regione non è altro che il frutto del clima di questi anni che è cresciuto fino ad un punto non ritorno.  

Paola, ha letto la risoluzione?  
È un segnale molto preoccupante, la libertà di opinione e di esprimere la propria fede viene ufficialmente attaccata. Sicuramente è un rischio per una democrazia.  

Dicono di voler impedire manifestazioni per non turbare le donne... 
Ma noi non siamo lì per giudicare e condannare, non possiamo sapere chi sono le persone che vanno e vengono dal reparto, non ce l’hanno scritto in fronte. Più volte ci hanno accusato di infastidire le donne, ma come facciamo a saperlo, non hanno nemmeno il pancione: è pretestuoso. 

Sarebbero vietati anche i manifesti per non dare scuse a rivendicazioni politiche...
E noi non abbiamo nessun manifesto di quel genere, ma vede, chi ci accusa non è mai venuto a vederci. Il fatto è che facciamo paura. 

Perché? 
Perché siamo determinati, vedono che in 26 anni di preghiera in moltissime città italiane nessuna donna ha mai avuto motivo di accusarci. Ci hanno accusato di avere megafoni, di urlare slogan, tutto falso. Se venissero a vederci lo sa che cosa troverebbero?  

Che cosa? 
Sei, sette a volte otto persone che in cerchio recitano il Rosario con un tono di voce colloquiale. Questo troverebbero.  

E le donne? 
Abbiamo storie bellissime di donne che ci hanno conosciuto, ci hanno cercato, una la ricordo in particolare.  

Chi era? 
Una donna musulmana. Andò ad abortire il terzo figlio, aveva grossi problemi economici. Ci vide e volle conoscerci. La aiutammo per la gravidanza successiva che portò a termine. E una serata la invitammo ad un’assemblea mentre ci contestavano... 

E... 
Prese la parola e disse una cosa che non dimenticherò mai: “Se quando ho abortito il mio terzo bambino, avessi visto qualcuno pregare davanti all’ospedale avrei detto: c’è qualcuno che capisce il mio dolore. Nessuna delle persone che ho incontrato in ospedale lo fece.  Tutti cercavano di minimizzare il mio aborto”. Con lei si è instaurata un’amicizia.  

Crede che impedirvi di pregare sia un attacco alla libertà religiosa? 
Di più: credo che sia un attacco al Cristianesimo. Sarà anche un’illazione, ma sono convinta che se si trovassero a pregare in strada ebrei o musulmani nessuno avrebbe niente da dire perché bisogna rispettare la libertà religiosa.  

Ci racconti come è nato il Rosario per la vita?  
È nato con don Oreste Benzi. Un giorno disse: “Ho trovato il modo per far smettere gli aborti: andiamo a pregare davanti agli ospedali”.  

Fu accolto subito? 
Certo che no. Nemmeno nella stessa comunità, c’era chi era perplesso, abbiamo trovato recentemente i verbali, e poi partirono subito le contestazioni da fuori.  

Chi vi accusava?  
Dentro e fuori la Chiesa. Abbiamo avuto spesso i muri alzati, siamo abituati.  

Adesso però sembra di scorgere che la novità sia l’opposizione non solo di gruppi ben organizzati, ma delle stesse istituzioni. Prima il caso di Modena con i 40 giorni per la vita, ora la Regione Emilia Romagna.  
Più sistematizzata, ma la verità è che le istituzioni non ci hanno mai visto di buon occhio. Il primo giorno, quel 12 maggio 1999 il direttore sanitario del Sant’Orsola Malpighi mandò a dire a don Oreste: “Se entrate vi faccio arrestare”. 

E lui come reagì? 
Andammo fuori perché alla clinica ostetrica si accede da un cortile interno, così decidemmo di stare sul marciapiede in strada davanti alla ginecologia di via Massarenti.  

Don Oreste cedette per quieto vivere?  
Non era codardo, ma fu prudente.  

E come reagiva alle contestazioni? 
Con mitezza. Sapeva abbassare i toni e farli abbassare. Un giorno venne la polizia chiamata dall’ospedale, avvicinò don Oreste dicendogli di andare via e lui disse: “Ma come? Volete arrestare me? Ma è dentro che stanno ammazzando i bambini, non qui”. Con la sua mitezza e fermezza sapeva dialogare e resistere.  

E la Chiesa locale? 
Il vescovo Caffarra ci scrisse dopo la contestazione, quella più forte del 2014. Ci incoraggiò a continuare, lui era molto vicino a noi, quelli erano anche i suoi temi. 

Non le fa paura mettere in conto di essere arrestata, un domani non troppo lontano? 
Chi non avrebbe paura? Ma credo che siamo in tempi in cui è finita la libertà, non so che cosa farò, ma so che sono una pellegrina di speranza, visto che siamo nell’anno giusto, non posso fare altrimenti. 

E dentro la Comunità che clima c’era? 
Don Oreste ricevette qualche critica, ma lui sostenne la bontà del Rosario a spada tratta. Fece mettere a verbale che se nessuno della comunità si fosse presentato, lui sarebbe andato da solo. Poverino, lo vedevi visibilmente che gli piangeva il cuore.  

E lei Paola, in questi anni come è cambiata?  
Io sono passata dall’aver paura di essere presa a male parole ad essere consapevole dell’enormità di che cosa significhi un aborto. Incontro mamme disperate che non hanno più voglia di vivere, che sono senza forze. Ecco, io sono diventata più forte per loro.  

Ma poi alla fine, perché don Oreste ebbe proprio l’intuizione di andare proprio lì, davanti agli ospedali? Non bastava andare in una chiesa?  
C’è questa caratteristica che è indispensabile e dà la ragione della nostra scelta: stare con chi è nel travaglio, noi siamo lì per questo. Quello è il luogo in cui viene ucciso un innocente. Non è una manifestazione. Come Maria stava sotto la croce e non faceva altro che pregare, anche noi stiamo sotto la croce. E non scappiamo.  



Il testo

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