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Realtà vs ideologia

Immigrazione, quante fandonie da parte della Cei

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In un comunicato diffuso per difendere i finanziamenti a favore di Mediterranea, la Cei inanella una serie di affermazioni senza fondamento, dall’immigrazione illegale ai corridoi umanitari.

Attualità 11_12_2023

I flussi migratori illegali devono essere fermati, sono un fenomeno dagli effetti sociali ed economici devastanti, insostenibili. Tollerare l’emigrazione illegale è inaccettabile, tutti ne dovrebbero convenire. Nei primi dieci mesi del 2023 sono entrati in Europa via terra e via mare più di 331 mila emigranti illegali. A fine anno quindi il totale supererà il record del 2022, 332 mila. Numeri così elevati non si registravano dal 2016. L’incremento più vistoso e costante si sta verificando in Italia. Dal 2019, quando gli ingressi illegali erano stati 11.471, gli arrivi si sono moltiplicati ogni anno. Dall’inizio del 2023 al 7 dicembre se ne sono registrati 153.071. Tutti sappiamo che fine faranno la maggior parte di quelle persone e quali ulteriori problemi porranno a chi è costretto a ospitarle.

Eppure esiste una diversa visione dei fatti secondo la quale la gente ha diritto di decidere dove andare a vivere e non deve essere respinta. A creare tanti problemi e sofferenze è il rifiuto di accogliere, di far spazio che caratterizza i Paesi europei scelti come destinazione. Per evitare che il Mediterraneo diventi sempre più un cimitero bisogna «combattere l’illegalità con la legalità», si legge in un comunicato della Conferenza episcopale italiana (Cei) diffuso l’8 dicembre per legittimare i finanziamenti disposti a favore di Mediterranea Saving Humans-APS, un’organizzazione non governativa che nel Mediterraneo raccoglie gli emigranti in viaggio verso l’Italia e di cui Luca Casarini è capo missione. In altre parole la soluzione, sorprendente, è semplice. Basta smettere di considerare illecito il fatto di entrare in un Paese senza documenti. Illegale e clandestino sono parole da dimenticare.

Ancora più sorprendente è la successiva affermazione della Cei: «La Chiesa – prosegue il comunicato – è l’unica istituzione a finanziare attualmente con continuità e ingenti risorse progetti di sviluppo nei Paesi poveri o in situazioni di particolare difficoltà: circa 80 milioni di euro l’anno». Ma nel mare, anzi nell’oceano di finanziamenti a progetti di sviluppo e umanitari realizzati nell’ambito della cooperazione bilaterale e multilaterale 80 milioni di euro all’anno sono una goccia. Le agenzie delle Nazioni Unite destinano miliardi a tale scopo ogni anno. Il bilancio dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati da solo supera i dieci miliardi di dollari per l’anno in corso, quello dell’Organizzazione mondiale della sanità per il biennio 2022-2023 è di 6,7 miliardi; quello del Programma alimentare mondiale è di 11 miliardi per il 2023. Gli Stati Uniti per la sola Africa prevedono contributi per otto miliardi di dollari nel 2024. L’Italia ha appena annunciato, durante la COP28 di Dubai, un ulteriore contributo di 100 milioni di euro per aiutare i Paesi più poveri e vulnerabili nell’ambito del Fondo Loss & Damage. La Fondazione Bill & Melinda Gates a gennaio, per il 2023, ha stanziato per le proprie iniziative umanitarie 8,3 miliardi di dollari.

Di una terza affermazione, infine, dire che è sorprendente non basta. La Chiesa, secondo la Cei, sarebbe anche l’unica istituzione a «sostenere e promuovere insieme ad autorità di Governo e altre Istituzioni i corridoi umanitari – tre sono in arrivo proprio in questi giorni – unica alternativa legale e sicura ai viaggi della morte».

I corridoi umanitari si formano dove si combatte quando ai contendenti si chiede, e loro accettano, di consentire il passaggio in sicurezza di mezzi e personale per trasferire al sicuro delle persone o per portare loro soccorso. Per la Cei e per la Comunità di Sant’Egidio invece vogliono dire portare in Italia dei rifugiati. Ad esempio, nel 2021 sono arrivati in Italia su loro iniziativa 600 afghani che erano rifugiati in Pakistan, Iran e Turchia. Il punto da sottolineare è che quelle persone già detenevano lo status di rifugiato in tre Paesi, due dei quali confinanti con l’Afghanistan, che glielo avevano conferito secondo quanto prevede la Convenzione di Ginevra. Non sono stati “salvati”, non avevano bisogno di ricorrere a organizzazioni criminali per raggiungere un luogo sicuro. È possibile che desiderassero essere riallocati in un altro Paese, che forse non era neanche l’Italia. Ma potevano farne richiesta ricorrendo all’Unhcr che include tra i servizi offerti ai rifugiati l’assistenza nell’espletamento delle procedure per il trasferimento in un Paese terzo. Se e quando, per carenza di personale o per qualsiasi altro motivo, l’Unhcr non riesce a prestare questo servizio, che gli compete, ne deve rendere conto e deve essere messo in condizione di farlo piuttosto che si pensi di sostituirsi ad esso.

Oltre a non essere «l’unica alternativa sicura e legale ai viaggi della morte» per i rifugiati, i «corridoi umanitari» della Cei sono ovviamente irrealizzabili per le centinaia di migliaia di persone sparse nel mondo che invece vogliono venire in Italia non per sfuggire a persecuzioni e guerre, ma perché attratte dall’idea di vivere in un Paese dove pensano che la vita sia più facile e il benessere a portata di mano. Anche in questo caso comunque sarebbero superflui perché per emigrare in sicurezza senza affrontare «viaggi della morte» basta seguire le vie legali esistenti, come fanno in tutto il mondo decine di milioni di persone che ogni anno emigrano munite di documenti e visti.



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