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PERICOLO TERRORISMO

Immigrazione, anche l'Africa adesso si muove

I trafficanti nascondono dei combattenti dello Stato Islamico nelle imbarcazioni dei migranti. Lo ha dichiarato il 17 aprile alla Bbc Abdul Basit Haroun, un consigliere del governo libico. Il fatto è che la polizia europea non è in grado di distinguere gli uomini dell’Is dagli emigranti. In Africa però qualcosa sta cambiando.

Esteri 19_05_2015
Barcone di clandestini in fuga dall'Afrioca

I trafficanti di uomini che organizzano la traversata del Mediterraneo partendo dalle sponde della Libia nascondono dei combattenti dello Stato Islamico nelle imbarcazioni gremite di emigranti. Lo ha dichiarato il 17 aprile alla Bbc Abdul Basit Haroun, un consigliere del governo libico. All’inizio dell’anno l’eventualità della presenza di miliziani del Califfato mescolati agli emigranti clandestini era stata avanzata dall’agenzia Frontex e dall’ambasciatore egiziano a Londra. 

Quest’ultimo aveva ammonito che, senza un’azione da parte della comunità internazionale, imbarcazioni cariche di terroristi avrebbero raggiunto le coste europee. La risposta di esperti e politici interpellati era stata che l’eventualità era plausibile, ma impossibile da accertare per l’ovvia ragione che i terroristi non si fanno certo riconoscere quando sbarcano in Europa. Il fatto nuovo è che Abdul Haroun sostiene di basare le proprie affermazioni su conversazioni da lui avute con dei trafficanti in alcune parti del Nord Africa controllate dal Califfato. Haroun ha dichiarato che l’Is si serve delle imbarcazioni dei traghettatori «per i propri uomini che vuole mandare in Europa, approfittando del fatto che la polizia europea non è in grado di distinguere gli uomini dell’Is dagli emigranti». Inoltre, ha detto Haroun, nei territori sotto il proprio controllo, l’Is consente ai traghettatori di continuare le attività in cambio della metà dei loro incassi, il che gli consente di guadagnare milioni di euro. 

Si sa che altri gruppi armati partecipano al traffico di esseri umani, condividendone i profitti, lungo le rotte della tratta attraverso il Sahara fino alle coste del Mediterraneo.  In Africa però qualcosa sta cambiando. Da alcuni anni il Marocco tenta di contrastare la tratta di esseri umani che, attraverso una delle rotte africane più pericolose, porta decine di migliaia di persone fino alle sponde dell’Oceano, in Mauritania, e a ridosso delle enclave spagnole di Ceuta e Melilla. A febbraio la polizia, come già altre volte, ha smantellato un centro di raccolta degli emigranti irregolari in attesa di penetrare nell’enclave di Melilla e da lì raggiungere l’Europa. Al tempo stesso, in nome di quella che le autorità hanno definito una «nuova politica migratoria dal volto umano», dallo scorso anno sono state avviate iniziative in favore degli emigranti a cui è stato concesso di restare nel paese invece di essere rimandati in patria. Tra l’altro è stato varato un piano di scolarizzazione per le diverse migliaia di bambini subsahariani arrivati clandestinamente in Marocco, circa il 90% dei quali analfabeti. 

Del Mali e della campagna governativa contro l’emigrazione illegale – “Mon Eldorado c’est lo Mali”, “Il mio Eldorado è il Mali” – La Nuova Bussola ha già parlato altre volte.  Dopo l’esecuzione dei 28 emigranti etiopi, uccisi ad aprile dai miliziani dell’Is in Libia, anche l’Etiopia ha giurato di moltiplicare l’impegno contro il traffico illegale di esseri umani e per mettere in guardia la popolazione dal rischio di finire preda di trafficanti: «sia chiaro», ha detto il ministro etiope Hailemariam Desalegn il 24 aprile scorso, «che ciascuno dei nostri connazionali ha il diritto di vivere e lavorare in qualsiasi parte del mondo. Ma l’emigrazione illegale che porta a sofferenze e morte che si potrebbero evitare deve finire».  Dalle parole ai fatti. Il 18 maggio il governo ha annunciato l’arresto di 200 persone sospettate di coinvolgimento nella tratta. Altri 80 trafficanti sono ricercati con l’accusa di effettuare operazioni oltremare: non solo nel Mediterraneo, ma anche nel rischiosissimo Golfo di Aden.

Il 6 maggio dal Senegal Amsatou Sow Sidibé, Ministro consigliere del presidente Macky Sall, ha lanciato un appello all’Unione Africana affinché si attivi contro «la schiavitù dei tempi moderni», invece di limitarsi a chiedere generiche «soluzioni durevoli concrete e globali» come aveva fatto il 19 aprile il presidente della Commissione dell’Ua, Nkosazana Dlamini-Zuma. Sow Sidibé, proponendo un vertice dell’Ua a Dakar, capitale del Senegal, ha denunciato: finora «il silenzio è stato totale e gli Stati africani non hanno preso coscienza delle loro responsabilità di fronte ai giovani frustrati di non avere lavoro né prospettive». 

Il 13 maggio è stato il Niger a prendere l’iniziativa con una legge senza precedenti in Africa. Le regioni settentrionali del Paese sono infestate da bande e gruppi armati che ne fanno terra di transito di droga, armi e ed emigranti irregolari. Il governo nigerino ha proposto una legge contro la tratta, approvata all’unanimità dal parlamento, che prevede per i trafficanti la confisca dei veicoli, pene da uno a 30 anni di carcere e multe da 4.500 a 45.000 euro.  Il 15 maggio scorso inoltre, nella capitale nigerina Niamey, si è svolto un vertice a cui hanno partecipato alcuni Paesi del Sahel: Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger e Ciad. L’obiettivo dell’incontro era dar vita a un coordinamento regionale capace di combattere terrorismo, criminalità organizzata e tratta di persone.