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INTERVISTA AL MARITO

"Ilaria morì così: 'Non temete, sono fra le braccia di Gesù'”

Che l’imperfezione, il carattere più o meno spigoloso e la diversità non siano obiezione, ma mezzo affinché sia chiaro che “questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi”, lo dimostra la vita di Roberto e Ilaria, che gravemente malata scrisse lettere di speranza e amore al marito e ai figli: "Si disse certa del Paradiso e di rimanere sempre con noi: 'Senza la malattia non avrei sperimentato l’amore incondizionato. Continuate ad amare Gesù e nulla vi nuocerà'”.

Famiglia 21_03_2021

Che l’imperfezione, il carattere più o meno spigoloso o testardo e perfino la diversità non siano obiezione, anzi mezzo affinché la gloria del Signore si faccia largo, così che sia chiaro che “questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi”, lo dimostra perfettamente la vita familiare di Roberto Suetta e Ilaria Sartori e dei loro due figli.

Roberto, ligure, racconta alla Nuova Bussola che “quando la incontrai in spiaggia nel 1992, avevo 18 anni e lei 15. Poi tornò in Brianza, dove è nata, ma ci ritrovammo nel 1998. Ci siamo quindi frequentati e ci siamo sposati il 22 settembre 2001”. I due coniugi decisero di costruire casa in Liguria: “Ilaria si gettò a capofitto nell’opera del Centro Aiuto alla Vita”. Nel frattempo, dopo due anni di matrimonio, nacque Chiara e tre anni più tardi Emanuele. Ilaria “era una persona solare, delicata e fine, ma molto determinata: lavorava, si spendeva per le donne del Cav senza sosta, faceva la catechista...Per capirci, al momento di entrambi i parti, prese la macchina e andò in ospedale da sola”.

Roberto usa il passato perché tre anni fa Ilaria è salita al Cielo, lasciando una testimonianza incredibile al marito, ai figli, a chi l’ha incontrata e al mondo intero. “Nel febbraio 2010 la malattia si presentò violentemente: la diagnosi era grave: leucemia linfoblastica acuta. Compresi subito che non era disperata ma affidata, perché il suo rapporto con Dio era profondo”. Non era esattamente lo stesso per Roberto che “mi limitavo ad andare a Messa la domenica, perché per Ilaria non esisteva un’altra ipotesi”. Per comprendere il tipo, “il primo regalo che mi fece furono due preghiere, che mi disse di mettere sul letto”.

Dopo la diagnosi seguì un ricovero: “Ci dissero che, vista l'alta probabilità di una recidiva, la sola possibilità risolutiva era il trapianto del midollo: fu trovata compatibile sua madre. A maggio fu di nuovo ricoverata per le terapie preparatorie al trapianto che furono molto violente. Purtroppo anche se l’intervento riuscì sviluppò una reazione autoimmune, la Gvhd acuta, per cui le cellule del donatore attaccano l’organismo del ricevente generando disturbi a tutto l'organismo, potenzialmente anche mortali. Il primo sintomo fu una forte sclerodermia, visibile sul volto e sul petto. Poi ebbe una lesione delle mucose della bocca: anche bere un bicchiere d’acqua era un problema”.

Ilaria non smetteva di affidarsi a Dio, mentre sua madre e suo padre si legarono ad un gruppo di preghiera del Rinnovamento dello Spirito: “Ero un po’ scettico, tanto che quando ci portarono mia moglie non volli andare. Quando tornò dalla preghiera al santuario di Erba mi baciò e mi disse: ‘Non ho più male alla bocca’. Le dissi, ‘sì va beh dai, adesso vai a letto, ci pensiamo domani’”. La mattina seguente Ilaria arrivò a colazione e diede un altro bacio al marito, ripetendo di non provare più alcun dolore, nonostante le lesioni ancora presenti: “Quasi infastidito non risposi. Ma lei prese un biscotto e masticando se lo fece girare in bocca. Una cosa impensabile sino alla sera prima. Da quel momento non ebbe più problemi a mangiare. Non guariva, ma comprendeva che non era sola”. Tanto che non perse la speranza nemmeno quando alla leucemia si aggiunse un angioma inoperabile alla base del tronco encefalico. “Era asintomatico, quindi ci concentrammo sulla lotta alla prima malattia”.

Nell’estate del 2016, però, Ilaria cominciò ad avere mal di testa e capogiri, fino a vedere doppio, scoprendo che l’angioma aveva microsanguinato. “Un mese dopo la terapia cominciarono gli spasmi incontrollabili. Continuare così sarebbe stato durissimo ma accadde un altro miracolo: “Mio fratello era in Alta Savoia e ci mandò la foto della statua della Madonna di Notre Dame de la Gorge con una candela accesa per noi; Ilaria la guardò e improvvisamente le passarono tutti i sintomi. Andammo al santuario, pur con fatica e paura per la malattia (l’anomalia epidermica aveva prodotto anche piaghe sanguinanti ai piedi)”. Ilaria e Roberto volevano ringraziare del sollievo concesso da Dio: un problema ingestibile come il tremore le fu risparmiato.

Furono otto anni di ricoveri, controlli, dolori, peggioramenti e riprese, “ma noi abbiamo vissuto godendo ogni giornata”. Infatti, il bisogno di Dio, l’amore fra Ilaria e Roberto e i figli, sereni nonostante fossero cresciuti con la madre malata “ma presentissima”, spiega Chiara, permise loro di non dare nulla per scontato. Con l’inizio del 2018, però, fu ricoverata nuovamente, dopodiché “passammo cinque mesi veramente faticosi. A maggio, a una settimana dall’ultimo ricovero prima della sua morte, cominciò ad agire come mai aveva fatto, come intuisse quale fosse la sua destinazione. Andavamo a fare l’aperitivo sul porto in tarda serata, andavamo a vedere sbocciare la primavera nella collina dietro casa”. L’amore cresceva e l’umanità di Ilaria e Roberto non lo impediva: “Prima che entrasse in ospedale l’ultima volta passammo qualche giorno di incomprensione, finché una notte mi disse che stava male: in pronto soccorso riuscirono a salvarla, nonostante avesse avuto uno shock settico. Statisticamente in questi casi la mortalità è superiore al 50%, ma lei ce la fece”. Il giorno successivo, il 13 maggio 2018, la dottoressa spiegò a Roberto che Ilaria aveva avuto una crisi respiratoria e che temeva di doverle fare la tracheostomia: “Riuscirono ad intubarla e dopo una settimana si svegliò. Un medico le disse che il suo risveglio era stato contro la scienza. Era completamente immobile per via del coma, ma fino al giorno prima di lasciarci, il 24 giugno, rimase lucida. Potemmo quindi vedere quanto fosse serena, tanto da lasciare tutti stupiti”.

Basti pensare che “una signora molto anziana in stanza con lei non smise mai di mangiare solo perché glielo chiese Ilaria. Una ragazza degente rimase così colpita da lei che un anno le dedicò la tesi di laurea”. Suore, sacerdoti, amici andavano a trovarla, e nella sua stanza si creò un clima di preghiera e amore. Poi Ilaria disse di aver visto una grande luce. “Raccontò tutto ad un’amica: ‘Non so se ero in coma o già sveglia, ma ho visto una grande luce, ho provato un grande senso di pace e di amore: non ho più paura di niente’. Fu così fino alla fine.

L’ultima notte prima di entrare in coma (morì per insufficienza epatica) cominciò la terapia del dolore. “Io, stanco e spaventato, le chiedevo come stava e lei mi diceva: ‘Bene, bene", sempre sorridente. Quella notte mi tornò in mente una preghiera, la stessa del nostro matrimonio. Capii che Dio mi parlava: ‘La donna che hai al fianco...è mia...Ho dei grandi progetti per lei. Te la affido...ne diventerai responsabile. Se la ami sul serio vedrai che ti troverai d’accordo con me nel progetto che ho concepito per lei…’. Era vero: sono addolorato, mi manca ma non sono arrabbiato. Non posso esserlo, per il bene sperimentato”. Verso le 18 Ilaria morì. “Dirlo ai figli non fu facile, ma “li presi per mano e dissi: ‘Adesso siamo noi, ma lei non ci farà mancare nulla’. Abbiamo fatto fatica ma siamo sereni”.

La camera mortuaria si riempì di gente e la famiglia scoprì che Ilaria aveva aiutato tantissime persone: “C’erano dottoresse, infermieri incontrati in questi anni, anche quelli che mi parevano più distanti. Tutti erano rimasti colpiti dalla sua pace”. E’ dopo la morte che Roberto prese piena consapevolezza di chi fosse Ilaria: “Avevo una perla fra le mani e la consideravo una semplice donna. Scoprii poi dei bigliettini e delle buste contenenti denaro, che probabilmente usava per fare beneficenza, ma soprattutto trovai delle lettere scritte per me ed i figli”.

Ad Emanuele scrisse: “Ciao amore mio! Se stai leggendo questa lettera è perché la mamma è volata in cielo. Lo so che è doloroso e che sei triste e arrabbiato, ma io ti chiedo di essere felice perché la tua mamma è ancora con te, più di prima...Lui ci ha creati, ci ama e non farebbe mai qualcosa contro di noi!”. A Chiara: “Sei la mia bambina, il dono più grande che il Signore potesse farmi”.

Il miracolo si vede poi in quanto Ilaria scrisse al marito: “Non so perché sia andata così, ma sappi, e ne sono certa, che io adesso sto benissimo perché sono tra le braccia di Gesù…Adesso hai un compito molto importante che, sono sicura, farai al meglio: crescere i nostri figli…E dopo le raccomandazioni voglio dirti “GRAZIE”! Grazie per i bellissimi figli che mi hai dato, grazie per i meravigliosi anni passati insieme, grazie per avermi perdonata, grazie per avermi protetta, grazie per avermi messa sempre davanti a te, grazie per i tuoi sacrifici ma soprattutto grazie per avermi amata sempre, per avermi amata ancora di più nella mia malattia, che è durata tanti anni, ma non ti sei mai stancato di spronarmi, di starmi accanto, di sostenermi, di rincuorarmi, di sopportarmi mentre dentro di te soffrivi enormemente sentendoti impotente per non riuscire a trovare una soluzione. Ti dico che se non mi fossi ammalata non avrei provato la stessa sensazione, quell’amore vero e incondizionato, senza pretendere nulla in cambio..io ci sono ancora, più di prima, come diceva Gesù ‘io sarò con voi fino alla fine’. Continua ad amarlo e fa che anche i nostri bambini non smettano mai. Se Gesù rimarrà nei vostri cuori niente e nessuno potrà farvi del male...Ti amo con tutto il mio cuore!”.

Eppure, conclude Roberto: “Noi non eravamo perfetti, discutevamo, ma accogliere la volontà di Dio ha operato miracoli. Sono ancora un tipo ansioso, ma ho avuto la prova del fatto che se il chicco di grano muore in Dio dà molto frutto, gioia, amore. Ilaria non è stata forte: questa forza che vince il male e la morte ha un nome e si chiama Gesù Cristo”.

LA VERSIONE INTEGRALE DELL’INTERVISTA PUÒ ESSERE LETTA QUI