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COMUNISMO CINESE

Il XX Congresso: la ri-stalinizzazione della Cina

Per ironia della sorte, il XX Congresso del Partito Comunista Cinese, apertosi ieri, segna una svolta come il XX Congresso del Partito Comunista Sovietico, ai tempi di Chrushev. Ma la segna in senso opposto. È una “ri-stalinizzazione” della Cina, un ritorno al totalitarismo maoista, con Xi Jinping.

Esteri 17_10_2022
XX Congresso Partito Comunista Cinese

Per ironia della sorte, il XX Congresso del Partito Comunista Cinese, apertosi ieri, segna una svolta come il XX Congresso del Partito Comunista Sovietico, ai tempi di Chrushev. Ma la segna in senso opposto. Se il XX Congresso del Pcus si svolse all’insegna della destalinizzazione e della parziale confessione dei crimini del passato (almeno quelli ai danni dei comunisti stessi), il XX Congresso del Pcc è una “ri-stalinizzazione” della Cina, un ritorno al totalitarismo maoista, incarnato nel nuovo presidente Xi Jinping.

I propositi sono chiari fin dal primo giorno. Di fronte ad una platea di 2300 delegati del Partito, un terzo dei quali in uniforme, il presidente ha annunciato gli obiettivi del prossimo futuro: nessuno sconto nella politica “zero Covid” per eradicare il virus, riunificazione di Taiwan alla Cina con le buone o con le cattive (“La Cina non ha mai promesso di rinunciare all’uso della forza”), normalizzazione di Hong Kong (“dal caos al controllo”) e purga interna (“sono state rimosse minacce nascoste nel Partito”). Nel discorso, durato circa due ore, “sicurezza” è la parola ripetuta più volte. E per questo il presidente Xi ha annunciato che proseguirà il potenziamento delle forze armate, per le quali il budget è raddoppiato nell'ultimo decennio. Invertita anche la politica del figlio unico: avere una prole più numerosa è ora funzionale agli obiettivi del regime comunista. Se prima la Cina stava rischiando l’inverno demografico, ora prevale il principio opposto: “Stabiliremo un sistema di politiche per incrementare i tassi di natalità e perseguiremo una strategia nazionale proattiva in risposta all'invecchiamento della popolazione”.

C’è un ruolo per tutti, anche per le religioni ammesse ufficialmente. I protestanti, inquadrati nella Chiesa delle Tre Autonomie, hanno prodotto un documento, in vista del Congresso, in cui fissano le linee guida su come il cristianesimo debba essere “sinizzato”: separare le confessioni cinesi dall’influenza occidentale, sia nella forma che nella dottrina. Il cristianesimo deve essere reso “compatibile con il punto di vista marxista sulla religione”, fino a diventare una “teoria religiosa del socialismo con caratteristiche cinesi”. Se i protestanti ufficiali sono così espliciti, c’è da attendersi che direttive simili vengano adottate anche dai cattolici ufficiali (leggasi: dal Partito per i cattolici) dell’Associazione Patriottica.

Nel suo lungo discorso, Xi non ha accennato alle difficoltà economiche della Cina, che pure ci sono. La crescita prevista per quest’anno è del 2,8% (secondo le stime della Banca Mondiale), circa la metà rispetto all’obiettivo fissato dal governo. Ma quanto conta la crescita nella nuova linea politica? L’enfasi è stata posta piuttosto su una visione autarchica dell’economia: produrre in Cina tutte le nuove tecnologie necessarie alla vita moderna, a partire dai semiconduttori. Il Partito, nel passato recente, non ha lesinato punizioni a grandi aziende e ricchi imprenditori (come Jack Ma, di Alibaba) rei di essersi troppo internazionalizzati e di non essere sufficientemente allineati. Anche la politica “zero Covid”, che ha gravemente danneggiato l’economia (arrivando a bloccare l’attività di porti commerciali di importanza mondiale come Shanghai), è la dimostrazione che il potere del Partito ha la priorità sulla crescita economica.

Al giro di vite sul partito e sulla società ha sicuramente contribuito la lunga pandemia. Con la politica “zero Covid”, nelle regioni e nelle megalopoli colpite è stata applicata una sorveglianza totale, un totalitarismo perfetto. Ma le ambizioni di Xi di ritornare al pieno controllo della società cinese risalgono alle sue origini politiche. Sin dalla sua ascesa al potere nel 2012, grazie alle sue campagne anti-corruzione, si era presentato come l’uomo forte del Partito ed aveva eliminato, per via giudiziaria, i suoi rivali ed ex amici. Dall’inizio del suo secondo mandato non aveva fatto mistero di voler essere rieletto anche per un terzo, spezzando una tradizione che era ormai in uso da quarant’anni per evitare un’eccessiva personalizzazione del potere. Alla fine di questo Congresso, Xi Jinping potrebbe ottenere il suo terzo mandato. Lo otterrà, salvo imprevisti. E si entrerà in un terreno non ancora mappato, quello di una nuova figura autocratica all'interno di un Partito che ha già il monopolio assoluto del potere in Cina. Praticamente, avremo un nuovo Mao.