Il Vittoriale, memoria di un uomo
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Una visita al Vittoriale permette non solo di immergersi in un contesto affascinante dal punto di vista paesaggistico, ma anche di conoscere più da vicino l’ideatore del complesso, quel d’Annunzio che fu emblema del suo tempo e della Belle Époque e, nel contempo, corifeo di quell’esasperata ricerca edonistica che è propria dell’uomo contemporaneo.
Conteso tra le tre province di Trento, di Brescia e di Verona, appartenente a tre diverse regioni, il lago di Garda è il più grande d’Italia.
Sulla sponda bresciana presso Gardone Riviera il poeta Gabriele d’Annunzio (1863-1938) scelse una vecchia villa appartenuta al dottor Thode come sua residenza, all’inizio solo per terminare il suo Notturno, poi come dimora fino alla morte. L’abitazione era dotata già di una ricchissima biblioteca e di un ampio giardino con terrazze in declivio. Ben presto d’Annunzio affidò all’architetto Giancarlo Maroni la ristrutturazione e l’ampliamento del complesso che sarebbe divenuto a tutti noto come Il Vittoriale degli Italiani, un museo costruito a perenne memoria di una vita inimitabile. Ivi il poeta morì il primo marzo 1938.
Una visita al Vittoriale permette non solo di immergersi in un contesto affascinante dal punto di vista paesaggistico, ma anche di conoscere più da vicino l’ideatore del complesso, quel d’Annunzio che fu emblema del suo tempo e della Belle Époque e, nel contempo, corifeo di quell’esasperata ricerca edonistica che è propria dell’uomo contemporaneo.
Figura eclettica e, al contempo, eccentrica, poliedrica e versata in diversi campi, poeta, drammaturgo e romanziere, pubblicista e sceneggiatore, abile self promoter, fu lui l’artista con cui tutti i contemporanei si dovettero confrontare, sia che lo amassero e cercassero di imitarlo sia che lo osteggiassero e lo avversassero apertamente.
D’Annunzio segnò e rappresentò un’epoca, divenendo il modello di tutta quella borghesia che non voleva sentirsi borghese, ma desiderava assumere modi aristocratici.
Era il personaggio più citato, che maggiormente compariva sulle riviste, di cui si parlava nel bene e nel male, per gli scandali, per gli arditi romanzi in cui raccontava le proprie avventure sentimentali, per le spese folli senza le quali non avrebbe potuto condurre una vita quasi principesca, ma che gli provocarono debiti tali che per alcuni anni dovette lasciare l’Italia (1910) trovando rifugio in Francia.
Sarebbe tornato in patria solo quando, scoppiata la Prima guerra mondiale, si fece acceso interventista infuocando il popolo con le sue parole e anticipando così la retorica di piazza mussoliniana.
Il Vittoriale è una memoria storica di tanti momenti della storia d’Italia.
Ricorda la Grande guerra a cui d’Annunzio partecipò non come soldato al fronte, in trincea, ma come personaggio d’eccezione, che voleva distinguersi ed essere protagonista (come nella beffa di Buccari o nel volantinaggio su Vienna).
Possiamo vedere il MAS 96, un motoscafo in legno, dotato di due siluri, di alcune bombe di profondità e di una mitragliatrice. Insieme al MAS 95 e al MAS 94, il MAS 96, capitanato da Costanzo Ciano, partecipò a quella che d’Annunzio stesso definì «Beffa di Buccari» contro un piroscafo austriaco la notte dell’11 febbraio 1918.
Fu un’impresa davvero audace e ardita. Per questo d’Annunzio volle sottolineare che la sigla MAS fosse in realtà l’acronimo del latino Memento audere semper ovvero «ricordati di osare sempre».
Nell’agosto dello stesso anno d’Annunzio volò su Vienna, capitale dell’Impero austroungarico, volantinando manifesti di propaganda sulla città. Nell’auditorium del Vittoriale, nell’area museale più recente, è appeso al soffitto l’aereo biposto S.V.A. del volo su Vienna.
Due anni prima, il 16 gennaio 1916, durante un atterraggio di fortuna dell’aeroplano pilotato dal tenente Luigi Bologna, d’Annunzio rimase ferito all’occhio destro e fu costretto a letto, per mesi, nell’oscurità.
La circostanza divenne l’occasione per creare la leggenda di aver scritto diecimila «cartigli», striscioline di carta utilizzate per stendere i ricordi della lunga convalescenza. In realtà, soltanto alcune centinaia di versi vennero composti in quei mesi. La paratassi prevale sull’ipotassi, le frasi sono brevi, il tono riflessivo prevale sul superomismo.
Non mancano tuttavia pagine improntate all’entusiasmo nazionalista e all’eroismo militare: «(Mia mamma) conobbe con me la trincea, conobbe la servitù del fango e l’ebbrezza del cielo, l’aroma del rogo votivo e l’ora ineffabile quando l’anima e l’ala sono un chèrubo assunto dal soffio dell’Eterno. […] Aveva la sete dell’immortalità per il suo figlio che proteso era a compire i suoi fati. […] E alla sorgente di sangue, che le scrosciava dal mezzo del petto, si dissetavano tutti i soldati».
I toni sono spesso compiaciuti, da poeta vate, come quando d’Annunzio si rivolge a se stesso: «Tu hai dato la pupilla dell’occhio destro a colei che ami: la tua pupilla di veggente, il tuo lume di poeta».
Il poeta decise di dedicare alla Grande guerra, definita da d’Annunzio «la guerra grande e giusta», un intero libro delle Laudi del cielo, della terra, del mare e degli eroi, il quinto, noto comunemente come Asterope.
Nel 1933 la raccolta venne pubblicata una prima volta con il titolo di Canti della guerra latina e una seconda volta col nome di Gli inni sacri della guerra giusta. Perché per d’Annunzio questa guerra era giusta secondo il concetto romano di bellum iustum (guerra combattuta per giuste ragioni)? Perché per lui era la prosecuzione del Risorgimento italiano.
Il Vittoriale è memoria anche dell’impresa di Fiume. Al suo interno campeggiano i ricordi. Conclusesi le operazioni militari nel 1918 e verificato il fallimento della realizzazione della grande Italia, d’Annunzio si fece promotore dell’impresa di Fiume (1919-1920), il canto del cigno prima dell’uscita di scena dal palcoscenico pubblico.
Il Vittoriale è memoria degli amori, dalla musa ispiratrice Eleonora Duse diva del teatro (con cui la relazione si interruppe nel 1904) a Luisa Baccara, ultima amante che si esibiva nella stanza della Musica.
L’abitazione vera e propria del poeta è la Prioria. Espressione mutuata dal mondo dei conventi, indica la casa di «Frate Gabriel priore», ove tutto mostra le impronte del suo stile e della sua vita che lui voleva inimitabile.
Il visitatore che s’inoltra nella Prioria legge sopra l’ingresso: «Dentro da questa triplice cerchia di mura, ove tradotto è già in pietre vive quel libro religioso ch'io mi pensai preposto ai riti della patria e dei vincitori latini chiamato Il Vittoriale».
Richiami sacrali percorrono in maniera ossessiva non solo i romanzi e le poesie, ma anche lo stesso luogo che d’Annunzio scelse come suo ultimo soggiorno, segno di un ampio eclettismo religioso e del profondo fascino provato per la figura di san Francesco, non certo della fede dell’uomo. D’Annunzio in tanti modi profanò la religione cristiana nei suoi romanzi e nei versi.
In maniera aperta, all’amico architetto Maroni che gli porse gli auguri di buona Pasqua, d’Annunzio rispose: «Non augurarmi buona Pasqua, perché da Cristo è stato menomato il mondo». È un giudizio che nasce dalla convinzione che Gesù abbia tolto all’uomo il piacere e la vitalità.
Nella Prioria si trovano oggi oltre diecimila oggetti e più di trentatré mila libri; su architravi e camini si leggono motti con valore allusivo e simbolico. Ampli tendaggi non permettono alla luce di entrare, dato che d’Annunzio era fotofobico in seguito all’incidente aereo avvenuto nel 1916.
Al visitatore lasciamo la scoperta dell’intero complesso del Vittoriale, esteso per nove ettari, imperlato del mausoleo del poeta, della regia Nave Puglia, del laghetto delle danze, del teatro all’aperto, di un vastissimo parco con frutteto, roseto e limonaia, di musei («L’automobile è femmina», «D’Annunzio eroe», «D’Annunzio segreto») e di tanti altri punti di interesse.