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Il virus fa paura, boom di ascolti per le preghiere in tv

Il Rosario per l'Italia e la benedizione Urbi et Orbi di papa Francesco hanno fatto un boom di ascolti in tv, dato che si presta a diverse considerazioni ma certamente indica che molte persone sono in cerca di qualcosa di vero per la vita quando tante false sicurezze crollano.

Attualità 31_03_2020
La benedizione Urbi et Orbi del Papa

I fenomeni mediatici si chiamano così, giustamente, perché fanno notizia e di solito hanno la loro brava risonanza. Eppure, benché la cosa sia ormai sotto gli occhi di tutti, sembra esserci una singolare prudenza – forse per via di un certo politicamente corretto - nel riconoscere che queste settimane di emergenza sanitaria stanno consacrando un successo sorprendente: quello degli ascolti televisivi delle funzioni religiose, con vette di share che, su questo versante, non si ricordano da tempo e non paiono spiegabili dalla sola, temporanea impossibilità di recarsi fisicamente in chiesa.

Un primo assaggio di tale successo lo si era avuto nel fine settimana dal 14 e 15 marzo scorso, quando la celebrazione di papa Francesco a Santa Marta, il sabato, ha fatto registrare il 9% di share, salito a quasi il 10% il giorno dopo. Ascolti ancora più elevati sono andati al Rosario per l’Italia andato in onda il 19 marzo su Tv2000, evento che ha fatto registrare 4 milioni 200.000 persone e oltre il 13% di share: più di Canale 5, il doppio dei talk show di La7 e Mediaset; in pratica, quella sera l’iniziativa promossa dalla Cei è stata superata solo da Don Matteo, che non è esattamente una serie tv atea o laicista, anzi.

L’apice degli ascolti religiosi, per così dire, si è però raggiunto venerdì scorso, con la benedizione eucaristica Urbi et Orbi di papa Francesco in San Pietro che, sommando i dati delle varie emittenti da cui era trasmessa in simultanea, ha visto la bellezza di 15 milioni e mezzo di italiani (senza conteggiare quelli sul web) in ascolto. Questi, non fosse già chiaro, sono numeri di ascolto davvero eccezionali, sbalorditivi, che si può serenamente definire «sanremesi». Ora, che cosa suggerisce tutto questo?

Le chiavi di lettura, evidentemente, sono molteplici e non si escludono a vicenda. La prima considerazione - la più sociologica – riguarda la forte permanenza di attenzione al tema della fede. Il che non pare banale se si pensa che veniamo da decenni che hanno convinto molti che il declino della presenza alla Messa domenicale equivalesse, ipso facto, all’abbandono della credenza religiosa. Non è vero. La religiosità italiana si è invece purtroppo individualizzata e «privatizzata» cambiando pelle, anche se fino ad un certo punto, come appunto provano gli incredibili ascolti delle Messe.

Un secondo aspetto da considerare, che il fenomeno in parola dimostra, riguarda il fatto che la società laica e secolarizzata – quella spesso tronfia e forte dei progressi medici e scientifici – è in realtà molto più fragile di quanto appaia. Tanto è vero che il coronavirus ci ha messo davvero poco per far emergere il bisogno di tornare a pregare, perfino tra gli anticlericali. Emblematico, al riguardo, è l’intervento apparso giorni fa sul The Globe and Mail a firma di Jason M. Opal, docente universitario di provata fede laicista, non avendo manco battezzato i figli, il quale tuttavia ha ammesso, consapevole del paradosso dell’affermazione: «Sono ateo, ma col coronavirus ora prego».

Una terza valutazione che il boom di ascolti delle Messe fa emergere è un monito alla Chiesa e, nello specifico, al mondo cattolico. Da anni, infatti, si era fatta largo l’idea secondo cui, per attirare fedeli – o almeno per non perderli –, fosse necessario condire le proposte pastorali con conferenze, convegni di «esperti» e non meglio precisati «momenti di incontro». Quasi che la Santa Messa, il Rosario e l’adorazione eucaristica fossero vecchi arnesi da accantonare o da aggiornare sul piano liturgico, pena una definitiva desertificazione della fede popolare.

Peccato che le funzioni religiose seguite da milioni di italiani in questi giorni non abbiano visto alcuna presenza di «esperti», di dotte disquisizioni teologiche né l’accompagnamento musicale di qualche band di grido. Al contrario, si è trattato di riti tradizionali e a volte scarni, insomma essenziali; e ciò nonostante, lo si è ricordato, seguitissimi. Chi di dovere è bene quindi che si faccia qualche domanda e, possibilmente, prenda nota. Perché non sono né lo show né simpatici convegni in salsa ecumenica, ma è la fede – i numeri hanno tanti limiti, ma non mentono – ciò che davvero manca e che fedeli vecchi e nuovi, oggi più che mai, ricercano.