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Monastero in cucina/5

Il vino in abbazia: per Dio e per ospitalità

Poiché il vino è la bevanda cristiana per eccellenza, necessaria alla liturgia, ma anche all'ospitalità, si capisce perché i monaci hanno svolto un ruolo così importante nell'espansione e nel miglioramento della viticoltura, soprattutto dopo le grandi invasioni barbariche che hanno rovinato l'immenso vigneto romano: Champagne, Cirò, Greco di Tufo, Riesling, Bardolino, Valpolicella e Lacrima Christi. Ai monaci si deve anche il merito di aver migliorato le tecniche di coltivazione e di aver introdotto il filare indipendente. 
- LA RICETTA: FAGIANO AL VINO ROSSO 

Creato 04_10_2020 English Español

Oggi, in tutto il mondo, numerosi monasteri mantengono un'attività agricola incentrata sulla produzione di miele, formaggi, birra, distillati e liquori, ma anche vino.

Sono numerosi gli ordini a cui si legano i nomi di molti vini anche italiani. I Benedettini hanno contribuito all’affermazione del Cirò, del Greco di Tufo e di Gerace, del Ragnano, della Freisa, del Monsonico e del Santa Maddalena;  ai Cistercensi si deve il Gattinara e la Spanna e soprattutto il Riesling in Germania, che è stato coltivato su larga scala e diffuso fin dal XV secolo dai monaci cisterciensi del monastero di Eberbach; i Cavalieri di Malta hanno dato vita al Bardolino, al Soave, al Valpolicella e ai vini dei Colli del Trasimeno; i Gesuiti ci hanno lasciato il Lacrima Christi e i Templari il Locorotondo; ai Monaci Scalzi dobbiamo il vino dei Colli Euganei ecc.

I monaci, conoscendo il latino, hanno provveduto anche alla trasmissione dei testi agricoli dei romani, riprendendo e migliorando così le tecniche di coltivazione della vite che gli antichi avevano sviluppato. I vitigni coltivati dai monaci nei secoli hanno permesso la creazione di vini di prim’ordine.

Poiché il vino è la bevanda cristiana per eccellenza, necessaria alla liturgia, ma anche all'ospitalità, si capisce perché i monaci hanno svolto un ruolo così importante nell'espansione e nel miglioramento della viticoltura, soprattutto dopo le grandi invasioni barbariche che hanno rovinato l'immenso vigneto romano.

È sempre ai monaci che si devono altre innovazioni: prima di tutto lo Champagne, creato da un monaco, Dom Pérignon. Poi il miglioramento del torchio, la valorizzazione delle migliori annate e territori, la costruzione di muretti, che servivano a togliere i sassi dal terreno, a proteggere le viti dall'assalto del bestiame, prevenire i furti di uva e catturare il calore del sole: così è nato il clos. E soprattutto bandiscono il complantage, che era un modo di piantare le viti alternandole ad alberi da frutto. Ma così facendo si impoveriva il suolo, mentre gli alberi facevano ombra alle viti. Piantando invece solo filari di viti, i monaci ne approfittano per selezionare i migliori vitigni, migliorare la vinificazione e determinare le migliori ubicazioni. Più di cento denominazioni francesi sono di origine monastica. I monaci viaggiavano molto e si scambiavano tecniche per trasmissione orale, da qui una relativa mancanza di informazioni sull’argomento.

La Francia medievale aveva più di mille monasteri tra cui 250 abbazie cistercensi e più di 400 abbazie benedettine. Ma la grande tradizione vinicola francese ha origine sempre nell'epoca romana. Costituito per la maggior parte dalle legioni romane nel I secolo, il vigneto gallico beneficia di un'estrema cura e raffinatezza della produzione. Al giorno d'oggi in Francia ci sono sette monasteri che posseggono vigne, ma solo tre producono vino in proprio.

L'abbazia più visitata è cistercense: Notre-Dame-de-Lérins sull'isola di Saint-Honorat, di fronte a Cannes. Producono diverse  cuvée fra le quali si distingue il Saint-Sauveur, costituito da un Syrah opulento. L’abbazia benedettina di Sainte-Madeleine-du-Barroux produce diverse cuvée interessanti e poco costose di vini di Ventoux.

Ai piedi delle Cévennes, vicino a Uzès, il monastero greco-ortodosso di Solan ospita una comunità di suore viticoltrici che praticano la viticoltura biodinamica e producono splendidi vini scuri, ogni anno migliori: è notevole la loro cuvée Saint-Porphyre, a base di Cabernet Franc coltivato su marna.

Altre comunità hanno affidato le proprie vigne a viticoltori vicini. Ci sono poi anche aziende che hanno recuperato coltivazioni un tempo curate da ordini monastici.

Non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti diversi monasteri producono ottimi vini. Citiamo solo The Winery at Holy Cross Abbey nel Colorado, che produce Viognier, Merlot, Chardonnay, Sauvignon e Riesling, con dei nomi evocatori: Divinity, Revelation, Astrologist, Theurgist, Alchemist. I vini di questa abbazia hanno vinto più di 100 premi per la loro eccellente qualità.

Last but not least, l'Italia non è da meno, anzi.

A Vitorchiano, nel viterbese, in un convento trappista, le suore di clausura producono un ottimo vino naturale, sotto due etichette:  Cœnobium e Cœnobium ruscum. Sono 75 sorelle, che forse non hanno mai pensato che in convento sarebbero anche diventate vignaiole. Ma loro seguono la Regola di San Benedetto, scritta nel V secolo e rinnovata da San Bernardo di Chiaravalle nel XII secolo, che ordina ai monaci di pregare, praticare la lectio divinis e lavorare con le mani.

Ci spostiamo a Venezia, dove i Carmelitani scalzi producono vino dalle 700 viti piantate nel “Giardino mistico”, un angolo di paradiso dove i frati da tempo immemorabile coltivano erbe officinali e producono il vino che utilizzato nel convento. Qui hanno trovato nuova vita 21 varietà di viti antiche di Venezia, impiantate dopo la mappatura genetica svolta nel 2013 grazie alla collaborazione tra il Consorzio Vini Venezia e le Università di Padova e di Milano.

Ne sono usciti due vini da tavola: un bianco (frutto di 23 varietà, tra cui Glera, Dorona, Pinot, Malvasia, Tai e Terra Promessa – una tipologia che un frate portò dal Monte Carmelo tra le due Guerre); e un rosso risultato di 17 varietà, comprese uve Raboso, Cabernet e Pinot.

Rimanendo nel Veneto, troviamo Il Convento dell’Immacolata di S. Pietro di Barbozza che sorge su una collina nel cuore della storica “Strada del Prosecco” che da Conegliano porta a Valdobbiadene, nella provincia di Treviso. Qui si coltiva il Pucinum, un vitigno che ha origini nel II secolo a. C. Lavorato in purezza o con un contributo minimo di Verdiso o altre uve locali dà vita ad un vino secco e mosso dal profumo spiccatamente fruttato che ha un sapore corposo, caratterizzato da una vena amarognola. Dalle uve più pregiate del Convento nascono la DOCG Prosecco Superiore di Valdobbiadene Millesimato Extra Dry, il Millesimato Brut Colle del Santo e la DOC Prosecco Treviso Millesimato Extra Dry Colle dell’Eremo.

In Emilia-Romagna troviamo l'Abbazia San Pietro di Modena, dove i Padri benedettini vivono in comunità dal XII secolo e producono, oltre all’Aceto balsamico tradizionale di Modena DOP e al Parmigiano reggiano DOP, anche un ottimo Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC.

Ad Asciano, nella provincia di Siena, l’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore possiede un’azienda agricola che produce olio, miele, tartufi, birra, distillati e naturalmente vino: Grance Senesi DOC e IGT Toscana Rosso, Rosso Novello, Rosato, Passito e Vermentino. La straordinaria cantina è stata costruita nel 1300.

E l’antica Abbazia benedettina di San Gaudenzio, nel Monferrato, (che oggi non esiste più e il nome è stato raccolto da un’ottima azienda vinicola) ci regala la ricetta che trovate a corollario di questo articolo (fagiano al vino rosso), tratta dal suo ricettario del XV secolo.