Il vescovo: no a comunione e funerali per "sposi" gay
Niente comunione e funerali per i “coniugi” omosessuali. Non è un divieto di qualche bigotto e rancoroso fariseo, rinsecchito nella sua mancanza assoluta di buonismo, bensì l’applicazione concreta di alcune norme del Codice di Diritto Canonico. A ribadirlo il vescovo di Springfield negli Usa, Thomas Paprocki.
Niente comunione e funerali per i “coniugi” omosessuali. Non è un divieto di qualche bigotto e rancoroso fariseo, rinsecchito nella sua mancanza assoluta di buonismo, bensì l’applicazione concreta di alcune norme del Codice di Diritto Canonico (CDC).
Mons. Thomas Paprocki, Vescovo di Springfield, nell’Illinois ha dato precise indicazioni pastorali in merito alle persone che hanno contratto un “matrimonio” omosessuale, facoltà permessa negli Usa. Il vescovo dichiara: “La Chiesa non solo ha l’autorità, ma ha anche l’obbligo grave di riaffermare il suo autentico insegnamento sul matrimonio, nonché di preservare e promuovere il valore sacro della condizione nuziale. Stante la natura oggettivamente immorale della relazione intrinseca ai cosiddetti ‘matrimoni’ omosessuali, chi si trovi in tale stato non si presenti per ricevere la Santa Comunione, né vi venga ammesso”.
Una sparata di un reazionario pre-conciliare? No, infatti Paprocki ha solo applicato al caso dei “coniugi” omosex quanto disciplinato dal canone 915 del CDC, fonte normativa post-conciliare: “Non siano ammessi alla sacra comunione […] gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto”. Le condotte omosessuali rappresentano un peccato grave, il “matrimonio” omosessuale indica perseveranza nel rimanere in questo stato peccaminoso ed eleva addirittura ad ufficialità il peccato contro il Sesto comandamento perché riceve il timbro dello Stato. Quindi è pertinente applicare tale divieto indicato dal CDC agli omoconiugi (la cui sostanza, tra l’altro, è applicabile anche al caso dei divorziati risposati).
Il canone successivo non chiude le porte della misericordia in faccia al peccatore ed infatti, banale a dirsi, permette l’accesso alla confessione: “Colui che è consapevole di essere in peccato grave, non celebri la Messa né comunichi al Corpo del Signore senza avere premesso la confessione sacramentale”. Ovviamente la confessione perché sia valida deve soddisfare i criteri inerenti alla contrizione (o almeno all’attrizione) per il male commesso e al serio proposito di emendarsi, dunque di interrompere la convivenza con l’altro partner e vivere castamente.
Se il “coniuge” omosessuale fosse in pericolo di morte, continua la nota del vescovo, può comunicarsi previo pentimento di tutti i propri peccati, compresi quelli legati alla pratica omosessuale. Se ciò non avvenisse la comunione deve essere vietata e costoro «devono essere privati dei riti funebri ecclesiastici». Ed infatti il can. 1184 § 1, n. 3 precisa che “Se prima della morte non diedero alcun segno di pentimento, devono essere privati delle esequie ecclesiastiche […] gli altri peccatori manifesti, ai quali non è possibile concedere le esequie senza pubblico scandalo dei fedeli”.
Paprocki poi ricorda che i “coniugi” omosex non possono essere padrini nei battesimi. Il canone 874 § 1, 3° recita che “perché qualcuno sia ammesso all’ufficio di padrino, è necessario […] che conduca una vita conforme alla fede e al compito che sta per assumere”. Questa disposizione vale anche per i padrini dei cresimati. Il vescovo ha poi escluso che le persone omosessuali “sposate” possano svolgere le funzioni di accolito, lettore, amministratore straordinario della Comunione.
Il CDC in merito ai requisiti richiesti per ricoprire questi ruoli rimanda alle determinazioni di ciascuna Conferenza episcopale (can. 230 § 1) e anche in questo caso Paprochi applica i criteri di ammissione previsti dalla propria Conferenza episcopale. Interessante leggere cosa dispone invece la nostra Conferenza episcopale in materia: “Le doti fondamentali richieste dai candidati […] sono: maturità umana, buona fama nella comunità cristiana, pietà, adeguata preparazione teologica-liturgica, collaudata attitudine all’impegno pastorale, disponibilità per il servizio della diocesi”.
Quei sacerdoti poi che decidessero di celebrare le “nozze” gay, precisa ancora il prelato, incorreranno “in un giusto castigo”. Di contro invece Mons. Paprocki incoraggia tutti i suoi sacerdoti ad incontrare privatamente le persone omosessuali per invitarli alla conversione.
Poi c’è il capitolo dei figli di coppie gay. Il minore può ricevere il battesimo, ma al pari di tutti gli altri, solo se c’è “fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica” (can. 868 § 1, n. 2). E sempre usando uguale trattamento per tutti i candidati alla Comunione e alla Cresima, i bambini – scrive il vescovo - devono essere «formati e disposti in modo adeguato», proprio come richiedono il can. 913 § 1 per la Comunione e il can. 889 § 2 per la Cresima. Compito dei pastori, continua la nota episcopale, è «usare la dovuta discrezione nel capire la convenienza o meno di una celebrazione pubblica».
Queste disposizioni del CDC disegnano il perimetro invalicabile entro cui la pastorale della misericordia per le persone omosessuali può muoversi. Tali norme non esauriscono di certo le infinite modalità per riportare alla casa del Padre quanti tra le persone omosessuali se ne sono allontanati, ma richiamano alcuni limiti pastorali che non possono venire superati perché – e qui entriamo nel campo dottrinale – non si farebbe il bene della persona stessa, si svilirebbe la santità dei sacramenti – che non possono venire intesi come aiuti umanitari ai peccatori da distribuire in modo indiscriminato – e offenderebbe Dio.
Le indicazioni prima riportate possono apparire alle graziose orecchie dei cattolici cresciuti nella bambagia e nel buonismo come norme dure e senza cuore. Ma vi sono medicine amare che fanno un gran bene. Questi medicamenti sono quanto mai necessari oggi anche in Italia per la pastorale delle persone omosessuali e in specie per quelle che hanno contratto le unioni civili.
Sono altresì il farmaco ideale, ma ovviamente non l’unico, per contrastare la montante omoeresia ecclesiale che invece vuole aprire, in modo incondizionato, la porta di molti sacramenti a tutte le persone omosessuali anche e soprattutto agli impenitenti. In breve abbiamo da una parte la Chiesa che chiede a tutti, comprese le persone omosessuali, pentimento e conversione di vita per accedere alla Comunione, alla confessione ed ad alcuni ruoli all’interno della liturgia perché è necessario presentarsi davanti a Cristo per riceverlo e servirlo con la veste immacolata. Su altro fronte l’omoeresia, anche ufficializzata da alti prelati, vorrebbe invece svendere i sacramenti e alcune funzioni e così poter acquistare l’omosessualità e tutta la teoria del gender per poi rivenderla a noi, poveri fedeli, nella pastorale ordinaria.