Il vescovo Crepaldi e le profanazioni del Natale
Questo Natale, come ha ampiamente documentato la Nuova Bussola, è stato funestato da profanazioni e bestemmie oltre che dalla distruzione di numerosi presepi nelle chiese. Non sono stati tanti i vescovi che hanno denunciato queste volgarità da parte di un ateismo ridotto ad azione terroristica. Spesso prevale ancora la convinzione che sia meglio evitare di condannare e di contrapporsi. Per fortuna, però, qualche alto esponente della Chiesa cattolica ha reagito. Tra di essi il vescovo di Trieste, Mons. Giampaolo Crepaldi.
Questo Natale, come ha ampiamente documentato la Nuova Bussola, è stato funestato da profanazioni e bestemmie oltre che dalla distruzione di numerosi presepi nelle chiese. Non sono stati tanti i vescovi che hanno denunciato queste volgarità da parte di un ateismo ridotto ad azione terroristica. Spesso prevale ancora la convinzione che sia meglio evitare di condannare e di contrapporsi. Per fortuna, però, qualche alto esponente della Chiesa cattolica ha reagito. Tra di essi il vescovo di Trieste, Mons. Giampaolo Crepaldi.
Nell’omelia della Santa Messa nel giorno della festa dell’Epifania, l’arcivescovo, dopo aver enunciato le eterne verità di fede contenute nella narrazione evangelica dei Magi, ha dolorosamente lamentato l’“attacco senza precedenti” verificatosi “durante le feste natalizie” che “è andato dispiegandosi in varie forme: dalla volgare e blasfema identificazione della persona [di Cristo] con l’essere gay, pedofilo e “sardina”, fino a più sofisticate interpretazioni dei testi scritturistici che lo hanno privato della natura divina”.
La festa dell’Epifania è una festa religiosa, ma con un carattere assolutamente pubblico. Il Salvatore si manifesta al mondo come Re e Signore affinché tutte le nazioni lo adorino. Il prostrarsi dei Magi davanti a lui e i doni sacerdotali e regali da essi offerti testimoniano il riconoscimento della signoria del Bambino sul cosmo e sulla storia. Il presepe mantiene questo significato pubblico, sia esso fatto in casa, in chiesa o in qualsiasi altro luogo. Ed anche le distruzioni dei presepi, i video blasfemi fatti circolare da Saviano oppure le irriverenti e corrosive frasi di Dacia Maraini, hanno un significato pubblico: dimostrano la storia che rifiuta il Salvatore, il mondo che “non lo ha riconosciuto”, le tenebre che “non l’hanno accolto”. Non si tratta di atteggiamenti personali riprovevoli ma isolati, è il mistero della perdizione e della salvezza, che attraversa i cuori ma anche le istituzioni storiche e i poteri (non solo politici) pubblicamente operanti nella società.
L’intervento di Mons. Crepaldi sembra tenere conto di questa dimensione che riguarda quindi anche la Dottrina sociale della Chiesa. In gioco non c’è solo l’incredulità o l’immoralità privata, ma l’empietà pubblica. L’arcivescovo infatti era già intervenuto in passato sulla questione del significato pubblico del presepe e di quanti lo negano e lo vogliono impedire. Se la questione fosse solo di comportamenti individuali riguarderebbe la morale, ma vista in questo senso riguarda la Dottrina sociale della Chiesa.
Nell’omelia dell’Epifania, Mons. Crepaldi ha poi denunciato le nuove letture dei Vangeli che sono state espresse durante queste festività tese a negare che il Bambino sia Dio. Esse “sono state proposte in genere, da intellettuali liberal che, convinti di essere i depositari di non si sa quale arcana verità, pretendono di esercitare autorevolmente la missione di liquidare la regula fidei su Cristo alla quale ci riferiamo noi cristiani con la recita del Credo”. Particolarmente taglienti le parole del vescovo: “Sempre loro e sempre quelli, ogni anno a spararla più grossa, spacciando patacche cristologiche in nome del progresso”. Questa accusa di Mons. Crepaldi è di notevole peso, senz’altro maggiore della stessa accusa rivolta alle blasfemie del fronte laicista. Essa riguarda infatti l’interno della Chiesa e alcune strampalate esegesi bibliche prodotte dalla teologia progressista, ovvero da quei teologi che parlano “in nome del progresso umano di cui solo loro possiedono le chiavi di accesso”. È il dogmatismo della lotta al dogma, ossia a “quella regula fidei su Cristo che una luminosa e santa tradizione ecclesiale custodisce e tramanda”. È il falso dogmatismo di chierici e dottori di cui il popolo cristiano non ne può più.
La conclusione dell’omelia dell’Arcivescovo riguarda noi cristiani, invitati a imitare i Magi “che adorarono il Dio vivente in quel Bambino, povero, umile, che giaceva in una mangiatoia e meritava tutta la loro adorazione, la loro fede e la loro preghiera, convinti che la vera signoria – quella che libera, promuove e salva – stava proprio lì e solo lì, in quell’umile Bambino, il Verbo fatto carne”.