Il tragico destino di Didone (e di Medea)
La storia di Didone è in parte basata su quella di Medea: anche Didone, come Medea, ha dato ospitalità ad un forestiero; anche la cartaginese ha tradito persone care (il marito Sicheo) come Medea ha tradito il padre e il fratello.
Approdato a Cartagine, terra della regina Didone, Enea racconta in un lungo flashback la distruzione della città di Troia, la peregrinazione attraverso terre lontane e a lui sconosciute, dalla Tracia fino a giungere alle coste africane. Tanti sono gli episodi di cui Didone è resa partecipe, tanti gli incontri che Enea ha fatto: Polidoro, le Arpie, Eleno, Andromaca. Non rimane all’eroe troiano che sintetizzare le ultime insidie affrontate.
La flotta dei Troiani supera le pericolose acque di Scilla e Cariddi e i compagni di Enea approdano nelle terre del ciclope Polifemo. Qui incontrano il greco Achemenide, giovane compagno d’armi di Ulisse, che li scongiura di portarlo via da quei luoghi, piuttosto lo uccidano che lasciarlo lì, dove i Greci lo hanno “dimenticato nell’antro del Ciclope/ sentina di putredine e di cibi che gocciano sangue”. Polifemo si nutre del sangue e delle viscere degli uomini. Ulisse non ha tollerato il comportamento del ciclope e, appena il gigante si è addormentato ebbro di vino, i Greci trivellano il suo solo occhio con un palo aguzzo. Polifemo non è l’unico ciclope di quei luoghi, tanti altri li abitano e da mesi Achemenide rifugge da loro nei boschi. I Troiani ripartono con Achemenide, circumnavigano la Sicilia lungo le coste meridionali in senso orario finché non giungono a Drèpano (nei pressi di Trapani). Lì, Enea perde il padre Anchise, “sollievo a tutti i dolori/ e tutte le disgrazie. Nessuno aveva predetto all’eroe questo lutto, né Eleno né l’Arpia Celeno. A quel punto i Troiani giungono a Cartagine. E finisce così anche il lungo racconto delle vicissitudini di Enea a Didone.
Nel quarto libro, affascinata dall’eroe troiano e presa dal racconto, Didone si innamora di lui e lo sposa. In sogno, però, Mercurio invita Enea ad abbandonare quella terra per lidi lontani. La sua partenza provocherà il suicidio della regina, che prima di morire lancerà una maledizione sulla discendenza di Enea e profetizzerà l’inimicizia tra il proprio popolo e quello dell’eroe troiano.
Proprio per questo motivo, tra i lussuriosi Dante vede una lunga teoria di anime simili a «gru», che sono le anime di “coloro che la ragione sottomettono al talento” e che hanno concluso la loro vita con una morte violenta. Tra questi Virgilio addita Didone che tradì la fedeltà giurata sulle ceneri del primo marito Sicheo risposandosi con Enea. Quando l’eroe troiano ripartì per le coste italiche, richiamato ai suoi doveri dal dio Mercurio apparsogli in sogno, Didone si suicidò («L’altra è colei che s’ancise amorosa,/ e ruppe fede al cener di Sicheo»).
Se Virgilio racconta il suicidio nel IV libro dell’Eneide, allo stesso modo Boccaccio mille quattrocento anni più tardi riserverà la quarta giornata del Decameron all’argomento amoroso con esito tragico: i personaggi non possono vivere la storia sentimentale con la persona amata, perché avversati da un destino avverso.
L’archetipo della donna sedotta e abbandonata nella letteratura occidentale non è, però, la Didone virgiliana, ma Medea, uno dei personaggi femminili più celebri. Il tragediografo Euripide (485 a. C. – 409 a. C.) non la rappresenta più solo come una maga dalle azioni disumane, ma anche come un’eroina cosciente del proprio proposito omicida e bramosa di attuarlo con lucida consapevolezza. Lo scrittore ellenistico Apollonio Rodio (295 a. C.- 215 a. C.) e l’autore romano Valerio Flacco (45 d. C.- 90 d. C.) si soffermano molto sul conflitto psicologico della donna, lacerata tra i doveri nei confronti della patria e del padre e l’amore sorto per lo straniero Giasone approdato nella terra della Colchide. Nel poeta latino i conflitti psicologici sono complicati da turbamenti religiosi.
Giunto nella Colchide con gli argonauti per impadronirsi del Vello d’oro, Giasone riesce nell’impresa solo grazie all’aiuto di Medea, figlia del re della regione e maga dal grande potere. La donna s’innamora del greco, scappa con lui ed arriva a fare a pezzi il fratello Apsirto e a spargerne i pezzi in mare, pur di ostacolare e frenare l’inseguimento del padre che vuole reimpossessarsi del Vello. Giasone approda così a Jolco insieme agli argonauti e a Medea e consegna il Vello allo zio Pelia che, però, si rifiuta di concedergli il trono, come promesso. Medea allora aiuta ancora l’amato, dona una pozione ai figli di Pelia con il pretesto di far ringiovanire il padre, ma, in realtà, con lo scopo di ucciderlo tra atroci sofferenze. Morto Pelia, Giasone e Medea sono banditi dalla città e si rifugiano a Corinto dove si sposano e hanno due figli. Passati alcuni anni, il re di Corinto Creonte offre la figlia in sposa a Giasone, che accetta per divenire il successore al trono. Medea mette allora in atto la sua vendetta. Dona alla futura sposa un mantello intriso di veleno a causa del quale muoiono sia la donna che il padre di lei. Infine, Medea uccide i due figli.
La storia di Didone è in parte basata su quella di Medea: anche Didone, come Medea, ha dato ospitalità ad un forestiero; anche la cartaginese ha tradito persone care (il marito Sicheo) come Medea ha tradito il padre e il fratello.
Il racconto di Enea è riuscito a sedurre una donna che ha rifiutato per anni la corte di importanti regnanti africani. L’amore ha preso ormai possesso del suo cuore:
ma la regina, trafitta ormai da uno spasimo sordo,
alimenta la piaga col sangue, divorata da un fuoco cieco.
ll grande valore dell’uomo, la grande gloria del casato,
le ricorrono in mente; quella faccia, quelle parole le stanno
piantate nel petto; lo spasimo non le concede la pace del sonno.
Racconteremo nella prossima puntata l’amore di Didone per Enea, dal suo sorgere fino alla tragica fine della regina cartaginese.