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Fuori schema
a cura di Andrea Zambrano

conformismo

Il titolista apocalittico

Fuori schema 07_02_2023

Il giornalismo italiano mainstream avrebbe bisogno di fantasia, di coraggio, di amore per le parole e di sganciarsi dal conformismo che ormai è penetrato persino nei titoli. La vita di redazione raggiunge il suo acme nel titolo di apertura. E' un rito quotidiano, una catabasi nel brivido del titolista che sa di giocarsi con poche righe la credibilità di tutto il giornale, dall'editoriale fino all'ultimo annuncio funebre. Ma è anche una delle soddisfazioni più belle di questo lavoro: fare titoli azzeccati, dei quali godere per la precisione, l'intelligenza e la sagacia.

Il fatto che oggi i tre principali quotidiani italiani, Corriere, Stampa e Repubblica, abbiano scelto di utilizzare la stessa parola, apocalisse, per la "prima" dedicata al terribile sisma turco siriano, è indice del conformismo e dell'intruppamento a schiere del giornalismo maistream che non è neanche più capace di uno slancio di coraggio linguistico. 

Anche perché non c'è nulla di più abusato di un termine esageratamente enfatico utilizzato per tutto, dal disastro del Milan in campionato alla morte in un solo istante di almeno 5000 persone schiacciate da macerie. 

Quando ero un giovane praticante ricordo la meticolosa precisione con la quale dovevamo imparare a distinguere, nei titoli, il dramma dalla tragedia. Il primo si utilizzava solitamente se non c'erano morti, la seconda invece interveniva quando il fatto era luttuoso. Guai a definire tragedia un incidente con tre femori rotti. E male chiamare dramma un crollo di una palazzina per fuga di gas con 4 deceduti tra cui un bambino. Una distinzione banale, se vogliamo, ma che mostrava il rispetto che il giornalista deve avere delle parole, del loro significato e del loro significante. 

Oggi anche i quotidiani hanno assunto il linguaggio uniformante della messaggistica telefonica e si sono così piegati a banali didascalie prive di emozioni perché il giornalismo non è più esercizio di scrittura e soprattutto di lettura. Una regola da scuola di giornalismo che non sento mai ripetere è che per imparare a scrivere bene, bisogna imparare a leggere bene. Il giornalismo è anche un lento e umile percorso di emulazione di chi sa scrivere un titolo, un cappello, una conclusione. 

Da ragazzo ricordo che leggevo avidamente i grandi maestri del giornalismo e da loro bevevo letteralmente, la prima scuola di giornalismo si fa leggendo gli altri, quelli bravi, indipendentemente dalla loro collocazione ideologica o politica. 

Non per fare il pignolo, ma semmai il Cyrano de Bergerac, ci vorrebbe un monologo del naso anche per titoli come questi. Ecco cosa avrebbe potuto utilizzare il titolista-redattore capo invece di scivolare nel conformismo servendosi di una parola che, etimologicamente parlando, non riflette nemmeno quel che si vuole comunicare: catastrofe, cataclisma, ecatombe, calamità, carneficina, eccidio, massacro, strage, carnaio.... insomma, la lingua italiana aiuta con una varietà di sfumature.  

Sennò c'è la banalità, c'è il titolista generalista e uniforme, c'è la comune dell'occhiello, la cooperativa del photobox. E' una delle conseguenze del fatto che il giornalismo è al servizio di un potere che non chiede verità, ma conformismo. Magari la prossima volta datevi uno squillo di telefono e confrontate i titoli.