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GIUBILEO

Il tempo redento e il dono dei nuovi giorni

Nell'anno bisestile ci viene regalato un giorno in più da vivere. Ma è un'illusione. I giorni si aggiungono nel calendario, ma non nella nostra vita. Eppure sullo specchio del calendario non andiamo a riflettere solo la nostra immagine. Vi scopriamo una miriade di agganci e di riferimenti. 

Editoriali 29_02_2016
Giorgio De Chirico: Gli orologi

Nell'anno bisestile ci viene regalato un giorno in più da vivere. Ma è un'illusione. I giorni si aggiungono nel calendario, ma non nella nostra vita. Eppure sullo specchio del calendario non andiamo a riflettere solo la nostra immagine, come Narciso. Vi scopriamo una miriade di agganci e di riferimenti che ci schiodano dalla tentazione di isolarci in un cerchio solitario e autoreferenziale. 

I giorni scorrono per noi e anche per gli altri, amici o sconosciuti. Lo intravvediamo nella faccia delle persone che ritroviamo dopo anni: ragazzi diventati giovanotti o uomini fatti; adulti inclinati verso la vecchiezza; situazioni che cambiano, si trasformano, si rinnovano; rapporti che si sfaldano come foglie appassite, o che rinascono con inaudito splendore. La fantasmagoria del tempo si accende quando viene a immettersi nel gran fiume dell’anno liturgico. 

Nella stoffa preziosa dei giorni che scorrono si appunta il ricamo di una figura: il mistero di Cristo va a disegnare la tessitura del tempo. Le gocce delle ore non si disperdono nelle pozzanghere del terreno, ma imbevono la buona terra e generano vita. Lo si vede in modo clamoroso nell’anno del Giubileo e nelle settimane della Quaresima. La gente che entra attraverso la Porta Santa ritrova il significato del tempo e il valore delle cose; riporta a unità la dispersione dei giorni e li riconduce al punto che tutto raccoglie. 

Si ricompongono i frammenti dell’anima. Tout se tient, tutto si tiene: il passato e il presente, il lavoro e la casa, il peccato e la tentazione, la misericordia e il perdono, la preghiera e l’azione. Veniamo dolcemente e tenacemente strappati a noi stessi, al nostro desiderio futile, al nostro piacere provvisorio, alle nostre voglie stralunate. 

Troviamo un punto di attrattiva consistente, pienamente umano, come un uccello che torna al nido, come la barca al porto, come il figlio che ritrova la via di casa, come il disperso, ripreso nella compagnia degli amici. Persino una prolungata malattia permette a un prete di assaporare una imprevista “efficacia apostolica”, così come il protrarsi della giovinezza, se da una parte appesantisce il carico dei genitori e rallenta l’entusiasmo dei figli, dall’altra sembra aprire inopinate prospettive. I giorni non accadono improvvisi e futili, annoiati e dispersi o disperati, ma donati, ricercati, amati. 

La liturgia domenicale, in Quaresima ma non solo, si stende come un filo teso che riavvia il cammino: ci incontrano il richiamo alla conversione e l’abbraccio della misericordia, la parola che è luce e sostegno, la comunità come compagnia reale; persino gli avvisi dal pulpito segnano la strada da percorrere. Fra tutti i sette giorni che sgorgano dalla domenica, la giornata del lunedì segna l’inizio del compito che ci è affidato e ci attrae al lavoro dell’intera settimana, che sale tra occasioni e opportunità, fatiche e impegni. 

Abbiamo un certo timore di entrare nel venerdì, che pone davanti agli occhi e al cuore i patimenti del Signore Crocifisso e ci invita a condividere. Ma subito ci prende nuovamente  l’attesa della festa, la domenica, con le persone che vengono a cantare con noi la gloria del Signore: il Signore che redime il tempo e rinnova l’anima.